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Alice Guy. Memorie di una pioniera del cinema


Bologna, Edizioni Cineteca di Bologna, 2008, pp. 205, euro 10.00
ISBN 978-88-95862-07-1

Leggendo le memorie di Alice Guy, una delle pioniere del cinema, fin dalle primissime pagine si è immediatamente spinti a porsi una domanda: come faceva una donna tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento a sopravvivere in un ambiente così spiccatamente maschile come quello della produzione cinematografica? La risposta la troviamo alla fine della lettura. In appendice a Alice Guy – Memorie di una pioniera del cinema, volume edito dalla cineteca di Bologna e curato da Monica Dall’Asta, sono raccolte una serie di testimonianze su madame Blaché (questo il cognome da sposata della regista), che come la Alice di Carroll non ha paura di seguire il coniglio bianco del suo sogno verso un mondo sconosciuto. H. Z. Levine la descrive come "un esempio sorprendente di donna moderna che si mette in affari e che lavora come un uomo"; la rivista Motography le dedica, nell’ottobre del 1912, un articolo dal significativo titolo, Fatti e fantasticherie di una donna che vale la pena di conoscere. E vale davvero la pena di conoscere questa donna che da semplice dattilografa arriva ai vertici della produzione cinematografica, soltanto con un duro lavoro e una non comune capacità di "sentire" il cinema e il suo pubblico.

Procedendo nella lettura di questa illuminante autobiografia non si può fare a meno di avvertire la chiara coscienza che Alice Guy aveva del proprio ruolo o, meglio, come scrive Monica Dall’Asta nel saggio introduttivo " una volontà del tutto consapevole di riscrittura della storia del cinema e un’altrettanto ferma aspirazione al riconoscimento personale". La prima pubblicazione delle memorie di questa pioniera del cinema risale al 1976, fu l’inizio di una affascinante e necessaria scoperta, quella di una storia del cinema letta in una prospettiva femminile. Qui la sfera privata e quella pubblica si confondono, scivolano l’una nell’altra, la prima acquista senso nella seconda e viceversa, Alice è stata donna e regista, nello stesso momento, con passione, senza mai arrendersi all’oblio, con la caparbietà delle grandi personalità,. A lei, in prima persona, si deve la ricostruzione della sua filmografia, messa insieme con fatica quando, nel corso degli anni Trenta si progettava la pubblicazione di un volume sulla storia della Gaumont.

Da Parigi agli Stati Uniti al comando della Solax Alice fu un vero punto di riferimento per il cinema dell’epoca, dotata di una attitudine al comando e all’ organizzazione da autentico leader del set, oggetto dell’attenzione dei giornali, "moderna" anche nei suoi rapporti con i mezzi di comunicazione, in grado cioè di trarre, molto spesso, il massimo del beneficio dalla stampa: "Quale non fu il mio stupore nel constatare l’interesse che il pubblico e la stampa avevano per la mia modesta persona. Raramente passava una settimana senza che fossi intervistata. Se non mi era possibile ricevere il giornalista, l’articolo veniva scritto ugualmente, e allora scoprivo dei dettagli assolutamente insospettati sui miei inizi, sulla mia famiglia, sui miei antenati". Alice è completamente immersa nel suo lavoro, in prima linea nel dirigere gli attori e nel guidarli attraverso le riprese, come quando, dovendo girare una scena con alcuni serpenti, per far superare la paura a un membro del cast del film, si avvolge attorno al collo uno dei rettili.

Con lo stesso coraggio ha scritto questa autobiografia, cosciente, molto probabilmente di mostrare "l’altro lato", come direbbe Kubin, di una storia affollata, fino a quel momento, di uomini. La sua storia di "donna" è invece quella di una totale dedizione al cinema, quella di una lavoratrice che sa e vuole sporcarsi le mani con il "mestiere".

La biografia è piena di aneddoti, di racconti, di storie curiose o meno divertenti, sorprende come Alice sorvoli in maniera delicata e gentile sui suoi affari strettamente personali, il marito che la lascia per un’altra donna, i figli, il rapporto con i genitori. Anzi forse non sorprende più di tanto, perché questa è la storia di una "donna di cinema", o, almeno, è questa la storia che Alice ha voluto raccontarci rivendicando la "maternità" del proprio lavoro.

Il volume riporta anche per l’Italia l’attenzione all’importantissimo lavoro di ricerca che da un po’ di anni una rete di studiose e studiosi riuniti sotto la sigla Women’s Film History International, sta facendo per ridare luce alle tracce, più o meno visibili, della partecipazione delle donne all’industria cinematografica degli anni del muto. Un lavoro, questo, che non può essere rimandato, per cercare di comprendere finalmente il considerevole apporto del lavoro femminile (quello delle "grandi personalità" come quello dell’ "operaia invisibile") agli sviluppi della storia del cinema.



Lucia Di Girolamo


Copertina

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