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Bianco & Nero 560, a. LXIX, n. 1, gennaio-aprile 2008


a. LXIX, n. 1, gennaio-aprile 2008

Il numero 560 di «Bianco e Nero» è da ricordare. Inaugura infatti, con "La prima stanza" dedicata a La Scuola Nazionale di Cinematografia (1931-1935), una serie di numeri monografici dedicati al Centro Sperimentale, la scuola statale di cinema che fin dal 1937, con i suoi "Quaderni mensili", dava vita alla rivista di cui ci occupiamo. La scuola e la sua pubblicazione periodica sono parte attiva nella storia del cinema italiano, ed è venuto il momento di tornare ai documenti. È questo il segno forte impresso dalla rivista - che si presenta con una veste grafica (curata da Stefano Ricci e Lars Kummert) memore di quella originaria - ai suoi contenuti: al fianco dei saggi, compaiono numerosi documenti inediti conservati dall’Archivio Storico dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e dal Fondo Blasetti attualmente conservato dalla Cineteca di Bologna.

Le nuove fonti, offerte agli studiosi di cinema attraverso numerose riproduzioni e attente trascrizioni degli originali, sono interessanti al punto da consentire nuove scoperte. Una per tutte: fra le domande di partecipazione alla Scuola Nazionale di Cinematografia, embrione decisivo da cui sorgerà il Centro Sperimentale nel 1935, spunta la diciannovenne Elsa Morante che chiede di essere ammessa a frequentare i corsi della scuola, all’epoca provvista di due soli indirizzi, per attori e per tecnici (si intuisce facilmente che avrebbe partecipato al primo). Compila lei la domanda anche per il fratello Aldo.

Dovendo scegliere un documento su tutti, il più significativo a mio avviso è la relazione di Anton Giulio Bragaglia, indirizzata nel 1931 al presidente della Corporazione dello Spettacolo, oggi conservata nel Fondo Alessandro Blasetti, intitolata Per una scuola ufficiale di Cinema in Italia. Non esiste ancora all’epoca nulla che somigli a una scuola nazionale di cinema, nel proliferare di una miriade di iniziative private da moralizzare: c’è dunque da improntare il modello formativo. Due sono gli esempi internazionali a cui si può guardare, quello americano e quello sovietico. Nella sostanza Bragaglia indica il secondo, che mostra di conoscere con esattezza sorprendente, come via da percorrere: «La mia proposta, dirò subito, muove dalla conoscenza dei programmi russi, modernissimi». Infatti si tratta di individuare anzitutto a cosa deve servire alla scuola, e la risposta è decisa: alla formazione di nuovi quadri per un’industria nazionale ormai in ginocchio. Così scrive: «Noi, se non ci troviamo al punto in cui erano i russi dieci anni fa poco ci manca. Abbiamo degli operatori cinematografici [registi], ma non sono poi troppi. Avremo, al massimo sei operatori sonori. Ci saranno, o no, quattro sceneggiatori moderni e quattro tagliatori [montatori]. Gli scrittori ancora non prendono sul serio il cinema e non vogliono studiarne le esigenze, quasi avendolo in spregio. Lo considerano seriamente solo se si tratta di ricevere decine di biglietti da mille per una vecchia trama qualunque che non è neppure adatta e che poi bisogna rifare». Ripensando alla domanda di iscrizione della Morante, la situazione si presenterà nei decenni a venire, dopo la costituzione del Centro e di Cinecittà, del tutto trasformata: la Morante, Moravia e Pasolini domineranno dall’alto dei loro scranni letterari un’intensa e floridissima stagione del cinema romano.

Il punto è che il contributo di Blasetti (direttore della Scuola dal 1933) alla creazione dei primi quadri del "nuovo" cinema sonoro, frutto di una caparbietà giovanile e di una resistenza alla fatica encomiabili, è fin troppo noto: dirigeva film, dirigeva la scuola e dirigeva una rivista assai prestigiosa, «cinematografo» (con stivali alti così). Ma che le basi della Scuola Nazionale di Cinematografia, e di riflesso del Centro Sperimentale, poggiassero solidamente sulle spalle dell’avanguardia italiana non era poi così scontato. Grazie all’illuminante saggio di Dunja Dogo, intitolato Il mito bolscevico, che segue la lunga appassionata ricostruzione delle origini della scuola firmata dai curatori Alfredo Baldi e Silvio Celli (Una scuola sperimentale di cinema: da Bottai a Ciano), conosciamo ora le origini teoriche della scuola: l’influsso dei russisti gravitanti nella cerchia del Teatro degli Indipendenti e di alcuni funzionari dell’ambasciata sovietica sulle proposte teoriche di Bragaglia è certo, come altamente probabili sono i nomi delle persone a cui si devono le parti più tecniche della relazione, quelle relative allo stato dell’arte in Unione Sovietica. Uno è il drammaturgo e letterato, direttore della rivista «La Bilancia», Umberto Barbaro, poi pilastro teorico della prima fase della rivista «Bianco e Nero» nonché primo traduttore di Pudovkin. L’altro è Vinicio Paladini, madrelingua russo, scenografo e redattore della rivista avanguardista «La Ruota Dentata». Bragaglia, Barbaro e Paladini appartengono tutti all’epoca al movimento artistico detto Immaginismo che nasce nel 1927 come fusione del futurismo declinante con l’arte metafisica. Paladini si reca a Mosca nel 1928 dove raccoglie una ricca documentazione sulle condizioni dell’industria cinematografica in URSS. Fino ad oggi realmente non si conoscevano i pilastri artistici che sorreggevano l’edificio in via di costruzione del Centro Sperimentale, quelli su cui a sua volta Blasetti costruirà i propri insegnamenti resi fruttuosi dalla partecipazione degli allievi della scuola, in assenza di Cinecittà ancora di là da venire, ai suoi film: Blasetti impiegò subito, sul set di Vecchia guardia (1934) gli allievi come aiuti (i tecnici) e come attori.

Proprio la formazione dell’attore si può utilizzare come cartina di tornasole dei vari passaggi, dal modello sovietico al modello Bragaglia (che detto per inciso suggerisce di reclutare gli attori presso le classi sociali elevate) e infine alla pratica d’insegnamento di Blasetti. Prendiamo, più in dettaglio, la preparazione sportiva suggerita da Blasetti per gli allievi. La filiazione appare la seguente: dalla scuola di Leningrado, i cui studenti praticano la boxe, la ginnastica e la biomeccanica secondo l’insegnamento di Trauberg, secondo quanto riferito da Bragaglia nella sua relazione, si passa alla scelta di Blasetti di dedicare ore di insegnamento, per gli attori, alle attività fisiche e alla scherma (scandalosamente poi condotte in costume da bagno, come mostra un documento). Ma in seguito, per la cronica inadeguatezza dei fondi, ci si limiterà a suggerire agli allievi l’iscrizione autonoma ai corsi di scherma statali. E intanto Blasetti è andato oltre, ha reso gli allievi partecipi di un’esperienza sperimentale che riguarda una pratica oggi più nota come training per gli interpreti provenienti dall’Actors Studio che come percorso formativo ideato da un regista italiano di regime per cancellare negli allievi «il fasullismo teatraloide (…) derivante dal peggiore divismo cinematografico ancora sopravvissuto». Il regista con gli stivali nell’estate del 1933 condusse i suoi allievi «al manicomio, alle carceri, all’obitorio, per mostrare come sono i veri pazzi, i veri galeotti, i veri cadaveri» (e qui un’attrice svenne). Dall’avanguardia sovietica così si giunge a una sperimentazione condotta un po’ per soddisfare le nuove esigenze di realismo del cinema, un po’ – molto all’italiana - per supplire la carenza cronica, nella scuola, di occasioni pratiche di impiego dei futuri attori cinematografici, specie quando la crisi colpisce la Cines negando loro l’accesso ai set.


di Cristina Jandelli


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