«Non fu mai il più piacevole e capriccioso uomo di Giovanfrancesco... Si aveva fatto domestico un istrice, che stava sotto la tavola com un cane... Aveva unaquila, e parendo un corbo che dicea infinite cose schiettamente, che parea una persona... Avendo murato una stanza quasi a uso di vivaio, ed in quella tenendo molte serpi, si prendeva grandissimo piacere di stare a vedere i pazzi giuochi chelle facevano, e la fierezza loro... consumandosi la vita e i denari dietro a cercare di congelare mercurio... attese anche alle cose di negromanzia, e mediante quella fece strane paure ai suoi garzoni e familiari: e così viveva senza pensieri». Le parole scritte da Giorgio Vasari per ricordare nelle sue vite Giovan Francesco Rustici, scultore allievo di Verrocchio e compagno di Leonardo nella splendida stagione artistica degli orti oricellari ben descrivono quel mix di talento e di scapigliatura che caratterizzò gli anni intensi del tardo Quattrocento e del primo Cinquecento fiorentino. Allartista dedica ora una pregevole e imponente monografia Tommaso Mozzati, storico dellarte di scuola perugina e, come i migliori e più aperti storici dellarte cinquecentisti, ben conscio dellimpossibilità di cogliere il senso di unopera senza radicarla profondamente nel contesto sociale.
Proprio questa ricchezza di contaminazione di studio rende con sapienza il quadro articolato dellattività dellingegno bizzarro la cui opera risulta comprensibile se la si innesta in quel ricchissimo tessuto di vita che caratterizzò la Firenze medicea tra governo familiare, cacciate e restaurazioni. La monografia pone certo i riflettori sullopera dellartista ma con ricadute rilevanti sia per la storia dellarte sia per quella dello spettacolo, per la quale traccia finalmente con convincente ricchezza documentaria e presa di posizione critica un itinerario che dà il giusto rilievo allassociazionismo della città (decisivo per segnarne il volto sociale). Sì che, per la storia dello spettacolo, acquista ancora maggior rilievo ciò che viene posto come sottotitolo del lavoro: e cioè lo studio approfondito di due tra le più importanti compagnie del tempo, Quella del Paiuolo (che aveva tra i suoi iscritti Andrea del Sarto, il Varchi e il Firenzuola, e tra i suoi passatempi quello della teatralizzazione dei convivi ) e quella della Cazzuola che vedeva affiliati i più brillanti rampolli della città e che vide rappresentate La Calandria, I suppositi, La Cassaria e, nellospitale casa del sodale Bernardino Giordano al canto di Monteloro, le “prime” della Clizia e della Mandragola dellaffiliato Machiavelli.
Messa forse un poco in ombra dalla fortuna storiografica degli studi sul teatro dellepoca granducale, questa ricchissima fase di sperimentazione sta ora prendendo il giusto posto nel generale riequilibrio storiografico che assegna finalmente alla continuità di azione delle compagnie civili un ruolo non meno importante della più clamorosa ma intermittente spettacolarità di corte. Perché lassociazionismo fiorentino ebbe da sempre una vocazione teatrale (confermata già ai tempi di Boccaccio e poi riemersa nella matura fase secentesca) come dimostra la ricchezza di relazioni che il saggista mette in campo nella sua investigazione, dove il vivere e loperare quotidiano legano pittori, musici, attori, ecclesiastici e aristocratici. Epoca mitica, intorno alla quale si tende a dire sempre un po le stesse cose, viene ora illustrata in modo nuovo, con linserimento delle due compagnie nella politica di restaurazione medicea successiva al 1512 individuandone, soprattutto per quella del Paiuolo, le valenze innovatrici che tanto contribuirono poi a determinare la modalità delle più note accademie cinquecentesche.
di Sara Mamone
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