Dopo aver letto una monografia esemplare si resta in genere con molte considerazioni interessanti acquisite e alcune domande da porre, come questa: e se Ghione fosse lArlecchino del primo cinema italiano? Lotti ricorda che la sua maschera è erede della tradizione italiana dellarte, ma spiega anche che si tratta di allargare il concetto allintero corpo dellattore: «può essere malato e sofferente, o scaltro e agile». Ghione è maschera e nello stesso tempo marionetta craighiana dai movimenti secchi, arpionata sulle lunghe gambe ossute e scattanti, vivificata dal volto scheletrico e dagli occhi febbrili.
Scrive Ghione a mò di incitamento rivolto a se stesso: «Cammina, attorno osserva la vita, impara conoscere uomini e cose: imprimiti nel cranio donne, eleganti, poveri, borghesi. Nulla tralascia, nulla ti sfugga; inchioda nella tua scatola cranica le visioni vere, serbale intatte. Verrà giorno che le farai rivivere, e le vivrai tu stesso». Si tratta di unefficace descrizione della tecnica maggiormente utilizzata dagli attori dellimitazione, losservazione della realtà come canovaccio per la costruzione di un personaggio esemplare che – se riuscito - può annetterne infiniti altri. È la linea che parte dalle maschere dei primi professionisti, i comici dellarte, poi proseguita in Italia lungo tutto il novecento cinematografico, nellasse che da Petrolini arriva a Totò, Sordi e perfino Benigni, Verdone e Moretti.
I creatori di maschere cinematografiche hanno un padre in Italia ed è Ghione, indiscutibilmente. Uno fra i primi attori-artisti del cinema e il primo (insieme al Maciste di Bartolomeo Pagano) a servirsi del repertorio costruito sul movimento del corpo nella nuova arte cui manca la parola. Ecco che tutte le antiche tecniche riacquistano un senso nella costruzione di una maschera dotata di autonomia performativa, cioè pronta per lesportazione - i comici attraversavano lEuropa parlando lingue immaginarie, per lo più fonetiche e i film di Za la Mort vengono comprati a scatola chiusa dai distributori europei. Questo per lattore cinematografico significa, allinterno dellinquadratura, dominare il piano attraverso lesibizione dellintero corpo, investire ogni centimetro della pelle con la minuta osservazione preliminare di unumanità variegata: per Ghione apache parigini ma anche santi emaciati barocchi, azzimati in frac e mefistofeli, rivoluzionari francesi e marajà. Ma non cè costume, ambientazione ed epoca che riescano a sviare gli spettatori del primo cinema dalleffigie inconfondibile di Ghione (identificato dal pubblico degli anni dieci e venti per lo più con il personaggio seriale di Za la Mort). Nella tradizione arlecchinesca la maschera si traveste per mettere alla prova la resistenza della propria identità ad ogni camuffamento e così facendo ne rivela loriginalità: il trucco è la delizia gli spettatori felici di riconoscerla e sempre pronti a seguirla in tante diverse avventure. La maschera resiste al tempo e insieme investe il suo tempo di una forma rappresentativa pronta ad ogni uso sociale. Ma dopo gli anni dieci e venti il novecento mostra scarso interesse per Ghione, inghiottito nel buco nero del crollo della produzione cinematografica nazionale e ricordato solo dagli intellettuali (Zavattini, Sanguineti) ma non dalle istituzioni che se ne tengono volentieri alla larga specie dopo il secondo dopoguerra, a causa del modesto contributo reso da Ghione alla fascistizzazione del cinema italiano, come scrive Gian Piero Brunetta nellintroduzione al volume.
Dopo un interesse crescente, risvegliato alla fine degli anni settanta da una retrospettiva della Mostra di Venezia ed alcuni contributi riepilogativi, come il recente volume del compianto Vittorio Martinelli, siamo oggi alluscita di una monografia in grado di revisionare integralmente loriginale contributo reso da Ghione al cinema italiano, non solo come attore ma anche in qualità di divo, regista e scrittore, secondo la formula «Larte mia». Denis Lotti titola così la sezione più interessante del volume che invita alla scoperta di una personalità sorprendente in grado di sposare modernità e cultura pittorica, istrionismo e adesione al milieu sociale dellalta borghesia, cinema commerciale e letteratura dappendice. Uno snob autodistruttivo dagli squarci visionari che illuminano il suo cinema con luci rasenti puntate sul volto ossuto (il cospicuo contributo iconografico del volume è di per sé pregevole). Lotti ricostruisce con sottile acume la recitazione di Ghione, dotata di un ritmo singolare: gesti secchi e convulsi si alternano a momenti di stasi, una fissità di tre quarti, come nota lautore, «di grande valore iconologico e comunicativo».
Ghione va oltre la tipologia del vilain, ne rende, con Za la Mort, una declinazione personale, ben compresa da Mario Serandrei quando ne mette in luce a sorpresa il candore (che lo faceva tanto piacere anche a Zavattini): «Il suo viso. Un poema plastico fatto di linee e di piani, che fedelissimamente interpretano il suo mondo spirituale nei suoi mille mutamenti. Un viso macerato dalle sofferenze, aspro nei contorni, duro, irregolare, superlativamente espressivo, illuminato da due occhi buoni, il cui sguardo sa penetrare fino in fondo all'anima tua. La sua anima, che provò il male in tutte le sue tristi incarnazioni, riuscì miracolosamente a rimanere ingenua come quella di un fanciullo». Lotti non manca di analizzare questa peculiarità quando ne riordina la produzione seriale seguendo la metamorfosi del personaggio di Za la Mort dallapache nobiluomo al giustiziere pietoso, dal conflitto manicheo fra lo Za buono e quello cattivo allultimo tentativo di rinnovamento con il detective-reporter. Divo della sua epoca, Ghione è attore e personaggio, intercambiabilmente buono e cattivo, in frac (come Ghione) e in calzamaglia (come Za la Mort). Lantitesi si avvita su se stessa fino a risucchiare lattore-regista in una vertiginosa mise en âbime della sua biografia (Ghione contro Za la Mort). Lultimo capitolo della fittissima ricognizione di Lotti è infatti giustamente riservato al personaggio che ha finito per fagocitare lattore: Za la Mort è investigato dallorigine del nome alla nascita cinematografica, dai suoi tratti pertinenti ai due "romanzi cinematografici" scritti da Ghione, di cui uno parzialmente autobiografico, o meglio, secondo Lotti, metacinematografico come uno dei suoi primi film, Dollari e fracks (1919). E il cerchio di unesistenza dannunzianamente inimitabile si chiude su se stesso. Completano un volume di indubbio rilievo scientifico, edito nella nuova collana della Cineteca di Bologna curata da Paola Cristalli, filmografia, bibliografia, indice dei nomi e dei film.
di Cristina Jandelli
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