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Biblioteca teatrale
Intersezioni. Teatro / fotografia / cinema / nuovi media

n. 81-82, gennaio-giugno 2007, pp. 303, € 25,00
ISSN 0045-1959
Intersezioni. Teatro / fotografia / cinema / nuovi media è il titolo del numero di gennaio-giugno 2007 (n. 81-82) della rivista «Biblioteca teatrale». Questa volta, il minimo comun denominatore dei saggi (undici in tutto, di cui quattro non sono altro che sintetiche rielaborazioni di tesi recentemente discusse alla Sapienza di Roma) è il fatto di proporre, come oggetti delle proprie indagini, molteplici esempi di "intersezione" fra i media cosiddetti "vecchi" (come il teatro, la musica, le arti visive) e quelli "nuovi" che, «a base tecnologica» (come la fotografia, il cinema, il video), hanno subìto un vero e proprio cambio di "identità" in seguito all'avvento della famosa «rivoluzione digitale» (vexata quaestio: ma non si tratta di una «falsa rivoluzione»?), e quindi un radicale cambiamento dei loro dispositivi e supporti. «Con l'introduzione delle tecnologie informatiche, - si legge in quella sorta di contributo introduttivo che è il saggio di Giacomo Daniele Fragapane - la produzione audiovisiva contemporanea ha visto mutare profondamente le sue procedure tecniche e le sue forme linguistiche […] configurandosi, in molti casi, come un terreno sperimentale non soltanto di nuovi modelli di rappresentazione e nuove forme narrative, ma anche di sinergie, ibridazioni e convergenze mediali inedite. Questa mutata condizione ha di fatto avviato, negli studi critici, un processo di generale revisione degli strumenti e dei paradigmi metodologici, suggerendo confronti, nessi, intersezioni tra ambiti anche molto distanti fra loro» (p. 13).

E se Fragapane si sofferma, nella seconda parte del suo contributo, sul rapporto fra fotografia e new media (e quindi sulla radicale metamorfosi che ha rappresentato il passaggio dalla «camera oscura a Photoshop», p. 29), ecco che Luca Ticconi studia il rapporto fra cinema e videogiochi notando come il primo si sia inaspettatamente lasciato contaminare dal linguaggio dei secondi, abbia visto perciò messa in crisi la propria funzione narrativa e si sia trasformato infine, in certi casi (vedi, per esempio, Star Wars: Episode I – The Phantom minace, 1999), in un'«esaltazione della pura percezione» (p. 155). Pasquale Antonio Lorusso analizza poi il «fenomeno televisivo Blob» e lo vede come un programma basato su un modus operandi più che altro cinematografico: pesca infatti inquadrature e scene nell'orribile «flusso invasivo, spossante e ininterrotto» di immagini in onda quotidianamente su tutti i canali della televisione italiana e le "monta" insieme «in modo da produrre un senso "altro" rispetto a quello che ognuna di esse esprimerebbe singolarmente». Fenomeno postmoderno quant'altri mai e quant'altri mai figlio del suo tempo, Blob testimonia, secondo Lorusso, una «proterva volontà» di "possedere" il linguaggio, ossia in pratica il montaggio, cinematografico (p. 178) e ha il palese intento, dopo averla uccisa (Pasolini docet che il montaggio è come la morte), di nobilitare la tv "cinematografizzandola": donando un senso e quindi una vita all'informe.  

In un articolo di segno marcatamente metodologico e rivolto più che mai agli addetti ai "lavori teorici" teatrali, Desirée Sabatini prende in esame il problema della «ricostruzione audiovisiva» dell'evento scenico (documento-monumento per eccellenza di uno spettacolo, oltre ad altri come testi, copioni, foto, programmi di sala) e si prodiga in un'enumerazione dei vantaggi della tecnologia digitale nel campo del "teatro filmato" (telecamere migliori, più semplici da usare e anche più economiche rispetto alle cineprese tradizionali). Da Nicol Vizioli viene invece studiata l'opera di Floria Sigismondi, artista italo-canadese multimediale per eccellenza e - alla base della sua arte una contaminazione continua di video, pittura e fotografia - famosa soprattutto per i videoclip realizzati per Marilyn Manson (The Beautiful people, 1996), David Bowie, Leonard Cohen, Björk, Christina Aguilera e molti altri.

Luigi Avantaggiato si occupa di Samuel Beckett, drammaturgo spesso alle prese con linguaggi e media differenti (come la radio e il cinema), e di alcune delle più interessanti produzioni artistiche contemporanee a lui ispirate e realizzate facendo uso dei new media (vedi la web performance sperimentale Waiting for Go.com, 1997). Emanuele Muscolino individua vari tipi di soggettive cinematografiche e si dedica ad analizzare in modo particolare la cosiddetta «psico-soggettiva»; Massimiliano Foscati propone un consuntivo del progetto Storie immaginate in luoghi reali (mostra fotografica che, inaugurata nell'ottobre del 2007 a Cinisello Balsamo nel Museo di Fotografia Contemporanea, ha visto esposte, fino all'aprile del 2008, le opere di otto artisti cui era stato chiesto di interpretare liberamente un luogo a scelta purchè situato in Lombardia); Maia Giacobbe Borelli parla dei pluripremiati filmati dell'archivista e documentarista ungherese Péter Forgacs (classe 1950) che, formati da materiale di repertorio amatoriale e montati con un occhio all'Arte e uno alla Storia, si situano, come genere, al limite «tra arte figurativa, spettacolo televisivo e documentario» (p. 297); Luigi Gariglio sceglie infine come oggetto d'indagine la figura del «"neo" fotografo occasionale»: tipologia umana di nuovissimo conio (d'ambito quindi più o meno adolescenziale) che, munita di smartphone o di videotelefonino, produce fotografie con una frequenza che nessun esponente delle precedenti generazioni ha mai potuto raggiungere e che ha dunque una confidenza con le immagini che mai prima è stata così intensa e quotidiana.  

In un periodo in cui si fa un gran parlare di contemporaneo (vedi il convegno Arts e Medias: penser, chercher, ecrire le contemporain, Firenze, Villa Finaly, 7-2 giugno 2008), nessun argomento come questo affrontato dal numero di gennaio-giugno 2007 di «Biblioteca teatrale» può essere meno inattuale, a sproposito o fuori tema. L'unico contributo ospitato nella rivista che ci ha lasciati un po' perplessi è quello di Sergio Giusti (La terza pillola. L'incontro col reale nel fotografico contemporaneo, pp. 81-104), che ci ha resi facile preda della frustrante sensazione di riuscire a intuire quanto il contenuto della trattazione (volta a illustrare la filosofia che sta alla base dei cosiddetti rendering, ovvero «immagini fotorealistiche totalmente simulate», p. 89) possa essere interessante (ma lo è?) e quanto, nello stesso tempo, il contenitore (un'apparentemente compiaciuta prosa ai limiti dell'incomprensibilità) voglia mantenerlo nascosto. Il sonno della convinzione che la chiarezza comunicativa sia il fine ultimo della scrittura saggistica ha generato mostri (soprattutto in forma di frustranti sensazioni in chi legge) e continua a generarne.

In procinto di rideglutirci La terza pillola per la quarta volta (quanta buona volontà, oltretutto!), ci pare addirittura che chi scrive nutra una specie di complesso di superiorità nei confronti dei suoi lettori. Perciò, Grillo permettendo, alla lista dei destinatari di un virtuale prossimo "V-day", mi prenderei la licenza di aggiungere anche quanti, scrivendo su carta stampata, riescono a provocare frasi così: «la prassi dell'informe psicotico, una volta accettata dal grande Altro dell'arte […] rischia di trasformarsi in uno schermo ancor più potentemente subdolo di quello dell'idealizzazione che questa vorrebbe infrangere. […] dare un credito incondizionato a queste pratiche significherebbe assumere una sorta di tychofarmaco. Qualcosa che è un surrogato per eccesso dell'incontro col reale. Invece di farmaci supposti curare la psiche, farmaci supposti agganciare la tyche» (pp. 92-93). «La semplicità è la forma della vera grandezza», disse quel tale (Francesco De Sanctis).


Giulia Tellini


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