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Bianco & Nero


a. LXVIII, n. 3, settembre-dicembre 2007,pp. 228, € 24.00
«Bianco & Nero» 559, curato da Adriano Aprà e Giulio Bursi, offre un interessantissimo panorama sull’attività di Vittorio Cottafavi, autore degno di una nuova riscoperta da parte degli storici del cinema e della televisione.

Adriano Aprà inaugura la classica Prima Stanza, raccontando di come, quando aveva solo diciotto anni, gli capitò di scoprire la messa in discussione dei principi, già sovversivi, dei Cahiers. Uno dei nomi invocati come esempio di cambiamento era proprio quello di Cottafavi. Aprà indica questo numero monografico di «Bianco & Nero» come il primo, organico tentativo, almeno in Italia, di guardare il regista con occhi nuovi, poiché restano da indagare molti aspetti dell’opera di Cottafavi. Giulio Bursi continua l’introduzione del numero monografico riflettendo Du coté de Cottafavi e rilevando la consistente, e per questo entusiasmante, mole di lavoro che resta da fare, non solo attorno al Cottafavi cinematografico, ma anche a quello televisivo. Gli archivi da sondare sono numerosi e, stando alle parole di Bursi, generosi – ma si sa gli archivi, se li si rispetta con le giuste domande, lo sono sempre – nel restituire aspetti inediti di una personalità sottovalutata.In Cottavi Segreto, Simone Storace indaga su i tre periodi di apparente "sospensione" dell’attività di Cottafavi dal lavoro di regista: 1944-48, 1950-51,1955-57. Che fosse editore, agente di distribuzione o sostituto regista, Starace dimostra che gli archivi possono illuminare periodi considerati "oscuri" e di stasi. Dalla mancata, ma cercata con tutte le forze, partecipazione a Ladri di biciclette, alla eredità di Sangue sul sagrato di Goffredo Alessandrini, Cottafavi si impone oggi agli occhi dello storico come un instancabile "lavoratore" del cinema italiano.Secondo Tullio Masoni, attraverso imelodrammi degli anni cinquanta Cottafavi si è impegnato a guardare alla condizione sociale della donna. L’autore del saggio ci ricorda che il pensiero di Cottafavi a proposito di questo genere si può sintetizzare in poche parole: "A partire dal melodramma io cercavo qualcosa di interiore, qualcosa di vero. Cercavo di riprendere col cinema l’anima, i sentimenti segreti". Roberto Calabretto affronta, invece, un argomento di cui, a proposito del cinema del regista, si è parlato raramente: la musica. Gli anni cinquanta rappresentano un momento di rinnovamento per la musica da film, che comincia ad accogliere significative novità. Molto produttive le collaborazioni con Renzo Rosselini per Una donna ha ucciso e Giovanni Fusco per Traviata 53, connubi che portano a interessanti risultati, come per il secondo caso, in cui la musica diventa elemento espressivo per far risaltare la psiche della protagonista. Per Luc Moullet, Una donna libera del 1954 è un film dalle molte sfaccettature, "specchio" di una nuova Italia che si stava affacciando e studio antropologico sulla condizione della donna. La protagonista è un personaggio molto moderno, contraddittorio e imprevedibile, che vive il gioco dell’emozione attraverso gli elementi tipici del melodramma, dalla coincidenza insolita al flashback passando per il gioco degli specchi. In La storia e la mitologia in sintesi. Cottafavi alla conquista dei generi, Giacomo Manzoli riflette su come il cinema di genere rappresenti per l’autore la possibilità di creare prodotti audiovisivi utilizzando un linguaggio completamente nuovo. Il genere storico-mitologico, nello specifico a partire da un film come La rivolta dei gladiatori, è il terreno su cui si realizza una dicotomia fra il film "analitico" e il film "sintetico", tra televisione e cinema. Proprio in questi anni, 1957, Cottafavi sta meditando di frequentare un corso alla RTF per intraprendere la carriera di regista televisivo. Sono gli anni della svolta, dove alla personale voglia di novità e sperimentazione si accompagnano i cambiamenti in atto nel panorama della produzione audiovisiva.

La seconda parte de La prima stanza è aperta da Donatello Fumarola e dedicata all’attività televisiva di Cottafavi. Se il regista ha tentato, durante tutta la sua carriera, senza arrivare a risultati veramente sorprendenti, di definire lo specifico filmico, riesce in ogni caso come autore televisivo a conquistare un posto in questo scenario. Non tanto per l’impossibilità di definire i suoi sessantuno film per la televisione, ma, soprattutto, per la coerenza nel continuare ad uscire dai confini, come era accaduto anche per il cinema. In Appunti su Maria Zef, Paolo Vecchi ripensa i rapporti tra l’opera di Cottafavi e quella letteraria di Paola Drigo osservando come, tra i tanti, l’elemento che il regista tende a sviluppare di più è quello tragico, imbastito di reminescenze antropologiche e simboliche, per l’uso sommesso, nel secondo caso, "che il regista fa dell’insegnamento di artisti che, da Millet ai macchiaioli".

Seguono una serie di singolari documenti: un’intervista e alcune riflessioni teoriche dell’autore de La rivolta dei gladiatori. Nel 1965 Maurizio Ponzi intervista Cottafavi sulla Electronic-cam, sui vantaggi e gli svantaggi tecnici ed economici, e sulle ripercussioni estetiche del sistema che era stato inventato dallo stesso regista. In L’estetica brechtiana e la tv Cottafavi analizza il possibile rapporto che può sussistere tra l’idea di straniamento e la realizzazione televisiva. L’oggetto dell’analisi del testo è Operazione Vega, un originale radiofonico di Dürenmatt adattato alla televisione. In La Conquista dell’immagine Cottafavi si interrogava sul linguaggio della televisione e sul suo eventuale sviluppo, suggerendo che "quest’immagine [televisiva, ndr] divenga indispensabile, che il senso, il significato di ogni spettacolo TV non sia comprensibile se privato della sua immagine significante, esclusiva e irripetibile". In Prolegomeni provvisori invece auspica la nascita di un nuovo tipo di spettacolo in cui si "affrancherà l’uomo dai falsi miti, dagli schemi preconcetti, dalle inconsce paure secolari, accompagnandolo nel lungo viaggio temporale dell’evoluzione che dovrà portarlo ad essere l’ "io" totale e cioè partecipe di tutti i possibili "altri".Dopo la utile filmografia di cinema e tv curata da Bursi, Fumarola e Starace, questo denso numero di B/n continua con altri documenti, ricordi, riflessioni tra cui Mon ami Vittorio Cottafavi di Bertrand Tavernier pubblicato nel 1998 su «l’Unità», e, sempre di Tavernier, No Kezich, non ho esagerato, «l’Unità», 1999.

Concludono il numero Giulio Bursi con Nascita di un cineasta. Vittorio Cottafavi da allievo del csc all’esordio e Stefania Giovenco, Rileggere. Rivedere. Riguardare. Le novellizzazioni italiane e francesi dei melodrammi di Cottafavi. Bursi è andato a sondare l’archivio personale di Cottafavi, composto dalle carte, dalle memorie e dagli appunti messi insieme negli anni giovanili, dal CSC alle prime concrete esperienze, anni formativi, ma anche di concepimento di alcuni nuclei "poetici" che esploderanno nella variegata galassia della sua produzione. Illuminante il panorama che la Giovenco costruisce attorno alle novellizzazioni francesi ed italiane dell’opera di Cottafavi, partendo sempre dal presupposto che, come scrive l’autrice, "nei tagli, negli eccessi quanto non nelle assenze, negli interstizi, si sedimenta quella che è stata efficacemente definita come la voce dello spettatore. In quest’ottica lo studio delle novellizzazioni può servire anche a delineare lo scarto, la distanza tra il regista e il suo pubblico".



Lucia Di Girolamo

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