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Cineforum 471


anno IIL, n.11, gennaio-febbraio 2008, € 7,60
Il numero si apre con le Cronemberg’s promises: quindici dense pagine divise in sei ottimi articoli dedicati al bel film del regista canadese La promessa dell’assassino. Gli scritti in questione, seppur contenendo inevitabili punti di contatto (tutti, per esempio, si relazionano a History of Violence), hanno il merito di affrontare il film secondo punti di vista originali, evidenziandone aspetti diversi, anche se è, ovviamente, sempre il ricco corpus stilistico e poetico delle opere di Cronemberg, la lente attraverso la quale il film viene "sezionato". Se per Giuseppe Imperatore, tra una citazione di Barthes (per cui la moralità è "il pensiero del corpo in stato di linguaggio"), una frase di Dostoevskij (da I demoni) ed una di di Bernhard (da Perturbamento), il film ci racconta la storia dell’uomo come una "storia di violenza rimossa e nascosta tra le sacche oscure della nostra civiltà, accantonata sotto il fondo nero e senza luce di ogni immagine", in cui Cronemberg "denuda la corporea anima violenta dell’uomo e delle istituzioni civili (la famiglia in primis)"; per Jonny Costantino, nell’articolo dal bellissimo titolo Cristalli di carne, è l’idea del doppio che pervade le ultime due opere del regista. History of Violence e La promessa dell’assassino sono visti come due film "siamesi, per quanto eterozigoti", così come i loro personaggi principali: "Mortensen consolida il possesso di un testimone preso idealmente dalle mani di Jeremy Irons (Inseparabili, M. Butterfly)". Costantino si sofferma anche sulla stupenda scena della lotta nella sauna che definisce "un’evoluzione coreutica e fisica", in questo strano gangster movie dove "non si vede una pistola" e in cui l’uso tipicamente horror delle lame, ci fa sentire "il grido dei tessuti che stanno cedendo", in una originale figurazione retorica che viene definita la "metonimia del sensibile".
Il tema del doppio è affrontato anche da Chiara Borroni, che, spostando la sua attenzione verso i personaggi di questo film, sottolinea come tutti mostrino con incontenibile evidenza la loro doppiezza, notando che Cronemberg li fa interagire sempre come "entità di relazione" esclusiva, cioè come "coppie".

Francesco Cattaneo si concentra invece sulla voce over di Tatiana, la ragazza che muore di parto nella prima scena, che viene definita "il vero motore del film" una "presenza nell’assenza" che produce una "sfasatura, in cui accade una continua riapertura del visibile; vale a dire: un continuo spiazzamento di un visibile che tende a imporsi e a rivendicare una perentoria totalizzante, esaustiva presenza."
Andrea Bordoni e Matteo Marino evidenziano le relazioni tra La promessa dell’assassino e l’opera precedente di Cronemberg. Se con History of violence il rapporto si fa addirittura "speculare" (per la scelta del protagonista, la classicità dello stile e del racconto), l’autore non ha comunque tagliato i ponti con il passato , anzi, sebbene con una diversa cifra stilistica, continua a confrontarsi con i temi a lui più cari: il rapporto realtà/simulazione, per esempio, viene direttamente da eXistenZ; ma è soprattutto la riflessione sull’identità (manipolata in Videodrome, annullata in La zona morta, transgenica in La mosca, condivisa in Inseparabili, persa in Crash, smarrita nel delirio creativo in Il pasto nudo, creata in M. Butterfly, impossibile da gestire in Spider) il fil rouge che unisce questo film agli altri. L’inquadratura finale di Nikolai, elegantissimo ed imperturbabile, che, seduto al ristorante, ha evidentemente preso il posto di Semyon al comando della "famiglia" sembra porci una "domanda fondamentale: quanto profondamente il ruolo che ricopriamo arriva a modificare la nostra stessa identità?".

Ho lasciato per ultimo l’articolo di Anton Giulio Mancino perché mette in relazione La promessa dell’assassino con Paranoid Park, che è l’altro film a cui questo numero di Cineforum dedica uno speciale. Mancino vede nell’opera di Cronemberg e di Gus Van Sant una progettualità parallela, per cui con questi ultimi loro film entrambi hanno realizzato quello che, allo stato attuale, è un dittico inscindibile, cioè due coppie di film che dipendono l’uno dall’altro come episodi di un’unica opera: History of violence e La promessa dell’assassino da una parte, Elephant e Paranoid Park dall’altra. Il primo attento al "corpo sociale e alle sue lacerazioni"; il secondo più attento alle nefaste conseguenze che sullo stesso "corpo sociale" può avere lo smarrimento e l’indolenza di un’intera generazione.

Meno esteso (ed anche più controverso) è invece lo spazio dedicato a Paranoid Park di Gus Van Sant: due articoli ed un’intervista al regista. Antonio Termenini in Van Sant in chiaroscuro si lancia in un’analisi del film totalmente contrastante con quella, appena citata, di Mancino; evidenziandone piuttosto la distanza da Elephant (inserito in una trilogia con Gerry e Last Days), notando come, nonostante i due film abbiano avuto la stessa parabola produttivo-tematica (cast di non professionisti reclutati su internet, tematiche adolescenziali, l’omicidio, la scuola), i risultati siano stati profondamente diversi: eccellenti in Elephant, eufemisticamente di "transizione" in Paranoid Park. Termenini sottolinea come, nella prassi, siano venuti a mancare due degli artefici della riuscita della pellicola sulla Colombine: il produttore Dany Wolf ma, soprattutto, il direttore della fotografia Harris Savides. Più schierato dalla parte del regista è invece l’intervento di Alberto Morsiani, incentrato sulla figura del protagonista Alex, messo in relazione non solo con il suo omologo in Elephant ma soprattutto con l’Alex di Arancia meccanica.
Piuttosto di routine l’intervista dove, comunque, emerge come Van Sant consideri questo film qualcosa di diverso e non assimilabile alla trilogia che l’ha preceduto.

La sezione Schede prende in esame Nella valle di Elah di Paul Haggis (con due interessanti e lunghi articoli di Antonio Tremenini e Sergio Di Lino); Irina Palm di Sam Garbaski; Caramel di Nadine Labaki (dove Chiara Borroni torna a parlare di "corpo sociale", legato ai personaggi che frequentano il salone di bellezza della protagonista/regista); Lars e una ragazza tutta sua di Craig Gillespie; Lasia perdere,. Johnny! di Fabrizio Bentivoglio (dove Emiliano Morreale nasconde tra le righe l’interessante idea di una specie di house style della Fandango e cioè l’uso della voce off "giovane"); Leoni per agnelli di Robert Redford; Lussuria di Ang Lee (dove Marco Della Gassa vede, giustamente, nel film vincitore a Venezia 2007 la messa in scena di una partita di mà jiàng); Halloween: the beginning di Rob Zombie (qui Pier Maria Bocchi vede un’opera fortemente autoriale da relazionare all’ultimo Tarantino, allo Psycho di Van Sant e, soprattutto, alla produzione di Miike Takashi)

Molto interessante è la documentata riflessione di Francesca Betteni-Barnes Doumerc, dal titolo La cornice aperta dell’inizio, sull’evoluzione dell’uso del logo della casa di produzione all’inizio del film e come questo, da asettico marcamento del territorio, sia passato ad essere parte integrante dell’opera; assumendone ora i colori prevalenti (come nel caso del viraggio in verde del marchio Warner Bros in Matrix), oppure interagendo con elementi del prologo del film (sempre WB per la serie Harry Potter), oppure ancora venendo modificato da un tratto caratteristico del film (i Rayban di Men in Black fatti indossare nientemeno che all’algida e storica dama della Columbia). Molti, vari ed interessanti sono gli esempi citati che evidenziano come il film cerchi sempre di più di occupare tutti gli spazi della proiezione e come niente sfugga alla voglia di novità dei produttori, compresa la sempre più frequente "contaminazione" dei titoli di coda con elementi più o meno costruiti del backstage.

Decisamente bello l’intervento di Sergio Arecco su Totò intitolato Il cinema e il suo doppio dove si prendono in esame tre film, tratti da altrettante opere teatrali di Eduardo Scarpetta, che, per accuratezza e raffinatezza, rappresentano un corpus a sé stante nella seriale produzione dell’attore negli anni ’50: Un turco napoletano, Miseria e nobiltà e Il medico dei pazzi. Cinema che si fa doppio del teatro tanto da assumerne, al suo interno, i tratti caratteristici (sipario, scenografie dipinte, tipo di recitazione).

Per Filmese vengono recensiti Across the Universe, Gli arcangeli, Mein Führer,Come d’incanto,L’assassino di Jesse James, L’età barbarica, Triplice inganno, Factory Girl, La leggenda di Beowulf.
Segue un lungo inserto sul rinnovato Festival del Cinema di Torino, all’interno del quale si trova l’articolo L’attore come autore, il cinema di John Cassavettes, di Alberto Morsiani, decisamente più interessante nel titolo che nel suo svolgimento, in quanto si ferma ad una disamina dell’opera del regista come autore.
Festival e rassegne parla di "France Cinéma 2007" a Firenze, la "Festa del Cinema" di Roma, "Cinema muto" a Pordenone, la retrospettiva dedicata a Francesco Rosi all’interno di "Primo piano sull’autore" ad Assisi, "Torino GLBT Film Festival" sul cinema gay, "Montpellier 2007".

Nella sezione DVD si segnala l’uscita della trilogia panica di Fernando Arrabal Viva la muerte, Andrò come un cavallo pazzo e L’albero di Guernica, poi di Chi ucciderà Charley Varrick? di Don Siegel, Il massacro del giorno di San Valentino di Roger Corman e infineChapiteau di Umberto Asti.
Tra i libri si segnalano le seguenti uscite: Anime perdute – il cinema di Miike Takashi , a cura di Dario Tommasi (ed. Il Castoro); Il vento e la città – il cinema di Amir Naderi di Massimo Causo e Grazia Paganelli (ed. Il Castoro); Schermi di pace a cura di Marco Bertozzi (ed. Ediesse); L’immagine di Jacques Aumont (ed. Lindau); Lo specchio e il simulacro di Paolo Berretto (ed. Bompiani); L’arte di guardare gli attori di Claudio Vicentini (ed. Marsilio); Patrick Tam. Dal cuore della New Wave a cura di Alberto Pezzotta (ed. Udine Far East Film); Pasolini, Callas e Medea a cura di Roberto Chiesi (ed. Ta Matete); Pier Paolo Pisolini. Poet of Ashes a cura di Roberto Chiesi e Andrea Mancini (ed. Titivillus); Tracce – Documenti del cinema muto torinese nelle collezioni del Museo Nazionale del Cinema a cura di Carla Ceresa e Donata Pesenti Compagnoni (ed. Il Castoro).
Concludono il numero le rubriche Tivutargets di Giorgio Cremonini e Lune di Cinema di Lorenzo Pellizzari.
Luigi Nepi


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