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Close up, 22
Storie della visione

a. XI, n. 22, luglio-novembre 2007, pp 160, € 12,50, ISBN 978-88-8998-19-8
Cinema e web è il titolo monografico di questo numero, che è interamente dedicato ai rapporti tra questi due media, focalizzando l’attenzione non solo sulle nuove forme di cinema che stanno nascendo in rete (su tutti il machinima e il sito www.machinima.org), ma soprattutto quanto quest’ultima stia modificando il concetto stesso di cinema, alla luce del pensiero di McLuhan per cui "le nuove tecnologie trasformano quelle precedenti in forme d’arte e ne fanno proprio il contenuto".

L’incipit della rivista è rappresentato da tre interviste a tre illustri esponenti della cultura digitale: Derrick De Kerchove, direttore del Programma McLuhan di cultura e tecnologia presso l’Università di Toronto; Peter Greenaway, pittore, scrittore, regista e recentemente anche veejay; Krystol Cameron, music producer e tra i fondatori del sito webTV www.simplyme.tv, di cui è un executive.

La più significativa delle tre è, senza dubbio, quella fatta da Cristiano Poian a Derrick De Kerchove, che entra subito nel merito di cosa possa significare oggi, nell’era dell’immagine ridotta a processo binario, la parola cinema. Il digitale ha spostato il senso di questa parola (come ha già fatto con la parola network), per cui "qualsiasi narrazione basata sull’utilizzo di immagini e suoni è cinema. (...) Quello che i ragazzi fanno con le loro videocamere portatili e mettono su Youtube, è cinema a tutti gli effetti". A giustificazione di questa tesi viene portato come esempio l’ormai classico Blair Witch Project, come momento evidente della nascita di una nuova estetica, capace di occupare con successo anche gli spazi tradizionali della fruizione cinematografica. Per De Kerchove "il web aggiunge un ulteriore spazio di fruizione e nuove possibilità per il cinema". Le nuove tecnologie cognitive (o "psicotecnologie"), la loro enorme possibilità di interconnessione, hanno già cambiato la visione del mondo di chi le usa, che non può non sentirsi parte di quella comunità con la quale sta interagendo, dove la vicinanza intellettuale supera le barriere della distanza fisica. Questa interconnessione riflette l’infinita e libera possibilità di associazione che ha la nostra mente, quindi "tutti i media digitali tendono a diventare anymedia", cinema digitalizzato compreso che "può essere interrogato in maniera trasversale e diventare parte di un enorme ipertesto (o ipermedia)." Si viene così formando una nuova figura di spettatore-utente sempre meno passivo, che cerca di interagire a più livelli con l’immagine fornita in tempo reale dal web: lo screttore (l’inglese wreader rende foneticamente molto meglio la crasi tra "scrittore" e "lettore"), cioè un fruitore attivo che cercherà di interferire con i contenuti dello schermo. Tutto questo porterà il cinema a diventare "un genere specifico degli UGC (User Generated Contents), cioè dei contenuti creati dagli utenti stessi" e, di certo, la capillare diffusione delle immagini realizzate per la rete sta, di fatto, creando una nuova estetica che contaminerà sempre di più la produzione cinematografica, visto che chi crea e fruisce di queste immagini non solo è un più che potenziale spettatore di sala, ma rappresenta anche un mercato decisamente appetibile. L’intervista termina con questa frase che suona come un monito molto preciso: "I migliori critici oggi sono le persone che fanno davvero il cinema del web; i ragazzi di Youtube, BlogTV, Net3TV e così via. Sono loro i veri pionieri. I critici e teorici istituzionali dovranno per forza seguire le loro tracce...".

L’incontro con Peter Greenaway risulta più ricco di acute osservazioni ("il 31 settembre 1983 è la data convenzionale in cui il telecomando è entrato nelle case") o di provocazioni del tipo "il cinema, così come lo intendiamo noi, è morto", che di proposte e analisi sulle possibili direzioni future di questo medium.

L’intervista con Krystol Cameron risulta effettivamente un po’ troppo tecnica e legata, soprattutto, alla mission economica del sito SimplymeTV. Sottolinea come il web stia trasformando radicalmente anche la pubblicità, non solo come forma di comunicazione ma come sistema nel suo complesso; infatti registrandosi sul sito si trasmettono dei dati che permetteranno ad una adversting engine di selezionare, in tempo reale, le pubblicità più adatte a quel profilo e non di mandare generici banner, che hanno il solo compito di disturbare la visione dei contenuti (evidentemente chi scrive è un potenziale cliente di una prestigiosa casa automobilistica tedesca). Ecco quindi un campo in cui la profezia di Dick di un giornale empatico si realizza, almeno per quanto riguarda le aspettative dei pubblicitari.

Il machinima (si legge ma-shee-nee-ma, come riportato sul sito www.machinima.org) ed il cinema videoludico sono gli argomenti dell’articolo di Cristiano Poian, che vede in questa nuova forma di filmaking digitale l’anello di congiunzione tra "il cinema nel web e il cinema del web". In poche parole si tratta di sfruttare le potenzialità offerte da alcune piattaforme di videogame (una su tutte il classico "picchiaduro" Quake), per sviluppare percorsi narrativi originali, che esulano dalle finalità del gioco stesso, per diventare veri e propri film, storie all’interno di un ambiente dato, dove, grazie a programmi di screen capture e script-driven, personaggi preconfezionati si muovono e vengono ripresi secondo le indicazioni del regista/giocatore, che realizza così un vero e proprio film. Secondo Poian il machinima "costituisce un nuovo medium capace di generare affascinanti circuiti crossmediali e di problematizzare due relazioni in particolare: quella tra cinema e videogioco da una parte, e quella tra audiovisivo e web dall’altra". Ed è proprio questo stimolo di carattere prettamente teorico la parte decisamente più interessante dell’operazione machinima. Lo stesso Poian, nonostante l’entusiasmo pionieristico con cui presenta questo tipo di opere, ne evidenzia, tra le righe, i limiti: grafica primitiva troppo legata all’evoluzione del videogioco, la necessità di conoscere la piattaforma di partenza per poterne apprezzare a pieno le storie realizzate, la mancanza di una progettualità di diffusione fuori dagli ambienti già iniziati a questo tipo di fruizione/produzione, tanto che una delle poche apparizioni del machinima fuori dal web è stata in un episodio del cartone animato Southpark, dal titolo Make Love Not Warcraft, dove si ironizza pesantemente su chi si lascia catturare da questi giochi di ruolo on line. In effetti entrare nel mondo machinima non è semplice per chi non possiede o non conosce determinati ambienti di videogioco, anche se BloodSpell di Hugh Hancock, il primo lungometraggio prodotto con questo medium, è facilmente rintracciabile sul web e presenta momenti molto interessanti (il pianosequenza iniziale, in pseudo-soggettiva, all’interno del castello dove si sta svolgendo un vero e proprio massacro, ricorda sia l’inizio di Omicidio in diretta di Brian De Palma, che i trip psichici di Strange Days di Kathryn Bigelow, così come è pregevole la scansione dei piani ed il ritmo delle inquadrature). A questo proposito c’è comunque da dire che, già da alcuni anni, Fuori Orario propone le schermate di videogiochi (da Final Fantasy a quelli "diretti" da registi del calibro di John Woo o Kinji Fukasaku), riconoscendogli un valore cinematografico assoluto.

Decisamente interessante l’articolo di Daniele Dottorini sul Lynchweb e di come David Lynch abbia trovato una sua strada per incrociare cinema e web, in quel compendio di nuova grammatica che risulta essere Inland Empire; dove l’interdipendenza tra i due media, permette, da un lato, di dilatare il frammento web ampliandone la scena e mostrando il fuori campo, mentre dall’altro permette di moltiplicare i mondi che il cinema può inglobare in sé "modificandoli e modificandosi".

Più convenzionali sono i tributi di Antonio Pezzato (Il cinema su Youtube) , Ninì Canalino (La progettazione variabile della produzione digitale), Alessandro Amaducci (L’animazione in rete) e Alessandra Colucci (Economia del cinema e forme di visibilità nel web), mentre originale è il punto di vista di Giovanni Menicocci sul cinefonino, per cui "l’unico video realizzabile col telefonino è illegale", in quanto strumento ideale per riprendere soggetti ignari di essere filmati. Infine sono veramente approfondite le analisi di Veronica Innocenti sulla migrazione delle forme seriali verso il web e di Cosetta G. Saba su come il web e, più in generale le tecnologie digitali, rendano ri-programmabile il cinema (sia come riproposizione che come rilettura).




Luigi Nepi


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