Una festa dellintelligenza e del pensiero. Difficile definire altrimenti lultima pubblicazione di Jean Starobinski, classe 1920, una delle poche teste pensanti di oggi per le quali è doveroso scomodare e senza alcun sottotesto negativo o limitativo la qualifica di “intellettuale”. Se è vero, come scriveva Guido Piovene a proposito delle intuizioni di Goethe sulla pittura del Veronese, che “la vera linfa della critica è nelle osservazioni dei dilettanti di genio”, Le incantatrici è uno di quei casi in cui un non addetto ai lavori (ma Starobinski legge benissimo la musica) porta un contributo fondamentale alla pubblicistica musicale degli ultimi ventanni.
Non che il volume contenga tutto materiale nuovo: al contrario, la maggior parte dei capitoli proviene da lavori (per lo più articoli pubblicati in occasione di rappresentazioni al Grand-Théβtre di Ginevra, qui riproposti con qualche modifica e integrazione) scritti tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta. Quello dedicato al Don Giovanni, tra laltro, lo si poteva già leggere nei programmi di sala di alcuni teatri italiani che hanno recentemente allestito lopera di Mozart. Tuttavia, è notevole il modo con cui lautore riconduce a un corpus unitario testi eterogenei, utilizzando un collante in fondo alquanto vago (il concetto dincanto e seduzione nella letteratura operistica), ma che grazie al primo e al magistrale ultimo capitolo, scritti ad hoc appare duna logica stringente.
La forza di attrazione che esercita il melodramma, scrive Starobinski, “risiede nel fatto che essa ha trasformato gli incantesimi di un passato leggendario in un incantesimo attuale, giocato sullonda dellistante in cui si svolge lazione e si ascolta la nota cantata”: sicché, prosegue lo studioso ginevrino, “nelle più belle rappresentazioni operistiche si coglie la duplice energia di una memoria che persevera e di unimmaginazione che inventa”. A leggere tra le righe, si tratta di un Jaccuse verso gli eccessi “attualizzanti” di certe regie odierne (su cui lautore tornerà in altra parte del libro): il magnetismo che propagano questi incantamenti deriva proprio dalla loro diacronia tra passato e presente, qualunque tentativo di radicarli nelloggi per sottolinearne lattualità li banalizza e, per ciò stesso, li sottrae alla qualifica dincantesimo. Ma chi, a questo punto, volesse tacciare Starobinski di conservatorismo in materia di messinscena sarebbe fuori strada: nel capitolo dedicato al Flauto magico ammette il proprio debito intellettuale verso certe regie intelligentemente anticonformiste, sottolineando come la sua visione dellestremo capolavoro mozartiano si sia arricchita dopo aver visto, a Bruxelles, lallestimento firmato da due padri fondatori del regietheater come Ursel e Karl-Ernst Herrmann. E sono proprio i disegni realizzati da questultimo per le scene e i costumi di quello spettacolo a contrappuntare il capitolo, con una decina di tavole che hanno valore non esornativo, ma di pendant rispetto alle parole dellautore.
Tuttavia lincantesimo del melodramma non è uno, ma trino. Il primo è quello di certe grandi figure femminili, e la casistica appare quanto mai ampia: il libro dedica singoli capitoli alle grandi incantatrici, dalla Poppea di Monteverdi allAlcina haendeliana a Manon, e occasionalmente anche ai grandi incantatori (Don Giovanni), né trascura pur senza dedicare loro un apposito primo piano Carmen, Kundry e Venere del Tannhäuser. Appare semmai un po forzato linserimento, in tale compagnia, di Elettra, intesa come seduzione mortifera: ma è comunque unoccasione per leggere una manciata di pagine illuminanti sulla poetica di Strauss e Hofmannsthal. Il secondo incantesimo è quello della Grande Seduttrice per eccellenza, ovvero la forza ammaliante della musica. Il terzo direttamente correlato al secondo, ma che nellopera lirica assume specificità propria è quello del canto: daltronde, sottolinea lautore, sia in francese (la lingua in cui scrive Starobinski) sia in italiano (lottima traduzione è di Carlo Gazzelli) chant e enchantement, canto e incantesimo hanno la stessa radice, e non a caso il primo capitolo del libro intitolato Cantare, sedurre offre una personale rivisitazione del mito delle sirene.
Ma è soprattutto il capitolo conclusivo a incentrarsi sulla malia del canto, attraverso il suo veicolo più suadente e ambiguo: le voci dei grandi castrati. Le ultime settanta pagine del libro, intitolate Ombra adorata, prendono spunto dallomonima aria celeberrima, a cavallo tra Sette e Ottocento composta ed eseguita, per la “prima” del Giulietta e Romeo di Zingarelli (1796), dal mitico evirato cantore Girolamo Crescentini, che conferì alladolescente Montecchi il proprio timbro asessuato e stilizzatissimo: dunque, in unottica neoclassica e postbarocca, oltremodo incantatore. Starobinski indaga intrecciandoli i percorsi dei tre scrittori che, di lì a qualche tempo, sarebbero tornati sulle tracce di questaria: Stendhal, nella sua Vita di Rossini; Hoffmann, che volle fare di Ombra adorata il titolo dun proprio racconto; il Balzac di Massimilla Doni, dove il nocciolo estetico della novella uno degli Studi filosofici è la diversa emotività richiesta, per il cantante chiamato a interpretarli, dal Mosè rossiniano e dal vocalismo abbacinante della pagina di Crescentini. Ne sortisce un puzzle tutto da ricostruire, una sorta di eruditissima indagine poliziesca che sarebbe piaciuta a Sciascia; e riponendo il volume la sensazione è quella del termine di un viaggio, come accade alla fine dogni grande e piccola avventura intellettuale.
di Paolo Patrizi
|
|