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Bianco & Nero 557/558


a. LXVIII, nn. 1-2, gennaio-agosto 2007, € 45,00

B/n 557/58 dedica la sua Prima Stanza, curata da Luca Mazzei e Mariapia Comand, ai soggetti italiani a stampa. Significativa la frase scelta per comparire in esergo, una dichiarazione rilasciata da Suso Cecchi d’Amico a Mariapia Comand: "No…ma quei soggetti li si scrivevano per il produttore". Frase che spiega molto sulla – scarsa - qualità "letteraria" di alcuni, in verità qualche centinaio, dei soggetti ritrovati per caso (ma succede sempre così) nei fondi librari del catalogo della Biblioteca Nazionale di Firenze. Il fortunato ritrovamento è stato fatto da Luca Mazzei che, in Me lo dica in quattro pagine, opera una attenta analisi storico-critica dei soggetti. Interessante che inizi con l’interrogarsi sul significato del sostantivo "soggetto". Ne emerge una sostanziale confusione che con l’avvento del sonoro sembrava scomparire, per poi scoprire invece che, per dirla con l’autore del saggio, il sistema è ancora sfilacciato. Permangono infatti alcune domande aperte, come, per esempio, "qual è d’altronde il confine fra soggetto, sceneggiatura e trattamento in Italia agli inizi del cinema sonoro?". Domande ancora aperte a cui solo una attenta riflessione e una scrupolosa ricerca possono dare risposte chiare. Tornando ai soggetti ritrovati a Firenze, essi presentano una certa omogeneità dal punto di vista bibliografico, anche se vi possono essere vari ibridi, soprattutto per quanto riguarda la lunghezza, alcuni sono lontani dall’essere brevissimi e di sole quattro pagine. Sono inoltre ricchi di errori di stampa, poco curati dal punto di vista della qualità letteraria, non erano infatti destinati né agli esercenti né al vasto pubblico, ma ai produttori. Data quest’analisi, a cui si aggiunge in più l’omogeneità della scrittura, come se questa rispondesse a formule e schemi prestabiliti, Mazzei avanza l’ipotesi, molto fondata, che in molti di questi testi ci sia lo zampino del produttore. L’autore dell’articolo conclude con una domanda che illumina nuovi terreni di ricerca: 250 o più di mille? Quanti saranno i soggetti a stampa nelle biblioteche italiane? Un interrogativo a cui il futuro della ricerca darà, sempre che ci siano volontà e mezzi, una risposta.

Dopo questa ricca riflessione/analisi, B/n continua con la pubblicazione di quattordici soggetti che vanno dal 1939 al 1964, da Corte d’Assise a Il Magnifico straniero.

In Figure Giacomo Manzoli si occupa di Iconografia western all’italiana. Una iconografia che è molto più ricca di quanto si pensi. D’altronde, come osserva lo stesso autore, se il genere è stato in grado di produrre nel giro di una decina d’anni circa 520 film anche "l’iconografia deve aggiornarsi continuamente e sperimentare varianti". Un buon risultato per un genere che nasce quasi come brutta copia di quello classico, quello americano, e poi, con il passare degli anni e dei fotogrammi, acquista una propria identità.

Con La notte. Blues all’alba, Andrea Ciccarelli si interroga sul ruolo del compositore nel film di Michelangelo Antonioni del 1961. Ciccarelli segnala La Notte come un lavoro che ha coinvolto in un processo creativo unico i due ruoli del compositore e del regista. La prima novità è stata quella di eliminare il commento musicale extradiegetico. L’autore sottolinea che " la musica non si pone scopertamente come annotazione indiretta degli stati d’animo dei personaggi. al contrario la propria natura dietetica, o acusmatica, la rende assolutamente staccata dai personaggi, estranea a qualsiasi funzione pleonastica che si potrebbe attribuire a certa musica da buca". Molto adatto alle atmosfere de La Notte e alla "poetica" di Antonioni l’osservazione che il musicista milanese Giorgio Gaslini si muova alla ricerca di un paesaggio musicale che sia al contempo visivo e spirituale. La musica nel film è presenza ombrosa e fantasmatica, "espressione dell’inesorabile e dell’indicibile".

In Processo a Gesù: un progetto cinematografico? Emanuele Nepesca riflette su un progetto mai realizzato, la versione cinematografica del testo teatrale che ha consacrato Diego Fabbri drammaturgo. Molto avventurosa – forse come sempre in questi casi – la scoperta di queste intenzioni di Fabbri. Lavorando sul testo teatrale sono stati ritrovati ventisette foglietti contenenti un proposito di realizzazione cinematografica. Da una serie di indizi Nepesca ipotizza che questi appunti potessero addirittura precedere la messa in scena del dramma. E sembra che Fabbri abbia davvero visto profilarsi all’orizzonte la realizzazione del film nel 1949, un film che, almeno da quanto si evince dal solo trattamento originale, si annunciava carico di sorprese.

Per Mappe, in Convenzionalità e interpretazione Giorgio Tinazzi si interroga sulle scelte di periodizzazione della storia del cinema. Dietro ogni scelta c’è sempre, come osserva l’autore, una presa di posizione. Tuttavia le cose, in questo momento della ricerca e della storiografia, stanno cambiando e proprio perché la ricerca ha aperto nuove strade alla storiografia. Si sono profilate all’orizzonte possibilità di indagare in cineteche, fondi e archivi mai considerati prima. Ogni atto di nascita è dubbio e se qualsiasi scelta è una interpretazione, una strada potrebbe essere quella di arricchire i racconti dei contesti con molteplici articolazioni, al di là di meri espedienti di sapore scolastico come, per esempio, la divisione in decenni.

La due Stanze della Memoria sono occupate da Thomas Ballhausen e Anna Barenghi.
Con I cinegiornali di guerra austriaci Ballhausen racconta della rappresentazione della violenza e della guerra in Austria durante il primo conflitto mondiale. Il film bellico contribuisce a un’opera paradossale, quella della civilizzazione, se non, in casi aberranti e aberrati, normalizzazione della guerra. In pieno conflitto quest’opera è fondamentale. Documentare le azioni belliche contribuisce a una disciplina della violenza che non solo la rende più accettabile, ma può dare un apporto alla costruzione dello spirito patriottico. Il consenso, è stato questo lo scopo e l’obiettivo di produzioni come i cinegiornali.

In La struttura e la sperimentazione RAI, dal 1968 al 1987 Anna Barenghi ci parla di un particolare e trascuratissimo settore della produzione televisiva nazionale, quello sperimentale. Già a un anno dall’avvento italiano della televisione, Carlo Ludovico Raggianti auspicava la costituzione di un settore sperimentale, che si occupasse del rinnovamento del linguaggio televisivo. Questo settore è esistito in maniera attiva fino alla fine degli anni settanta, poi con l’arrivo degli edonistici anni ottanta è diventato qualcosa di sempre più marginale sino a scomparire. In realtà, pare che l’esistenza di questa sezione sperimentale sia stata piuttosto tormentata. Era un’istituzione-ghetto dove imbrigliare le energie creative e troppo innovative. Seppur nato sotto i migliori auspici – si coinvolsero, all’inizio, nomi come quelli di Umberto Eco e Eugenio Carmi – non fu facile lavorare, e si produsse poco. Nonostante le idee non mancassero, le poche realizzazioni non furono mai pienamente valorizzate.

Per Luoghi e pubblici, con Tecnologia, ideologia: il Circarama, Federico Vitella analizza la breve storia del Circarama, il suo impatto sul pubblico e il peso di nuovi valori e vecchie identità. Vitella si interroga sul ruolo avuto, nelle celebrazione del centenario dell’unità nel 1961 a Torino, l’installazione del disneyano Circarama. Nell’ipotesi dell’autore il fascino dei sistemi panoramici è stato sfruttato per alimentare il mito della nazione. Le particolarità tecnologiche delle riprese multicamera incidono sulla stilistica del film. Realizzare una immagine che circonda lo spettatore a 360 gradi presuppone, per esempio, la riduzione ai minimi termini del fuori campo. Lo spettatore era immerso in questo visibile totale e il film realizzato per l’occasione, Italia ’61, perfettamente rispondente alla formula del travelogue, la dice lunga sugli obiettivi di esaltazione del territorio e della storia nazionale a cui si voleva dare spazio in quell’occasione. In definitiva, quel particolare uso del Circarama dimostra come "i sistemi speciali per schermo largo possano essere proficuamente impiegati per rinegoziare l’immagine simbolica di uno stato nazionale".

Lucia Di Girolamo

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