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Agostino Lombardo

Cronache e critiche teatrali 1971-1977

A cura di Giorgio Melchiori e Fabio Luppi

Roma, Bulzoni, 2007, pp. 235, 12 euro
ISBN 978-88-7870-245-5

In seno alla «Piccola Biblioteca Shakespeariana» (all'attivo 39 pubblicazioni a partire dal 1992), fondata da Agostino Lombardo (Messina, 1927 - Roma, 2005) che ne è stato il direttore per oltre vent'anni e attualmente diretta dalla sua allieva Nadia Fusini, ecco venire alle stampe, a occupare il quarantesimo posto della collana, un volume che, come annuncia il titolo, raccoglie le principali «cronache e critiche teatrali» scritte da Lombardo tra il 1971 e il 1977, e pubblicate soprattutto su «Sipario» e «Biblioteca Teatrale». Si tratta, tuttavia, non solo di recensioni di spettacoli teatrali vari, più o meno d'avanguardia (dall'Arden di Feversham diretto da Aldo Trionfo nel 1971 al Mercante di Venezia diretto da Mario Scaccia nel 1973), più o meno noti (dal Re Lear strehleriano all'Antony and Cleopatra diretto da Giles Havergal), ma anche di recensioni di film (i Racconti di Canterbury di Pasolini, del 1972) e di libri (per esempio il volume che raccoglie cinque drammi di John Ford tradotti da Enzo Giachini, ed. 1971), e infine di veri e propri saggi.

Di Agostino Lombardo, ovvero di uno dei maggiori anglisti e americanisti italiani, si potrebbe dire che sta alle messe in scena delle opere shakespeariane come Dario Del Corno sta agli adattamenti delle tragedie classiche, Truffaut ai film di Hitchcock, Longhi agli affreschi di Piero della Francesca e l'Artusi ai piatti tipici della cucina tosco-romagnola: vale a dire che nessuno meglio delle variabili x potrebbe essere in assoluto un miglior critico di quelle identificabili come y.

Non solo massimo esperto di Shakespeare ma anche ottimo conoscitore del mondo dello spettacolo italiano contemporaneo, Lombardo finisce con lo sfornare recensioni di rappresentazioni teatrali che si rivelano preziose occasioni per entrare meglio nell'universo poetico del più grande drammaturgo inglese come anche in quello degli autori (da John Webster a Thomas Middleton fino all'anonimo dell’Arden) di altre opere proposte sulle scene nazionali dal 1971 al 1977 e da lui prese in esame. Tutt'altro che contrario alla sperimentazione, prova ne sia la sua stroncatura del «mattatoriale» Mercante di Venezia diretto da uno Scaccia reo d'essersi posto «in atteggiamento di qualunquistico rifiuto nei confronti dell'intera regia contemporanea», Lombardo si mostra affascinato da tutti i tipi di licenze, anche molto audaci purchè opportune e interessanti, che registi come Giancarlo Nanni o l'inglese Giles Havergal scelgono di prendersi. Ai critici che, per esempio, si mostrano restii a comprendere Il Diavolo Bianco di Webster messo in scena da Nanni nel 1975, si rivolge con queste parole: «dato che la ragion d'essere dei gruppi sperimentali sta proprio nello sperimentare, nello stravolgere e magari distruggere un "codice" per tentare di crearne un altro, non mi pare scandaloso che Nanni abbia fatto quel che in fondo ci si aspettava da lui; malgrado gli annunci ufficiali, si sapeva che avrebbe messo in scena non tanto il White Devil di Webster quanto il Diavolo Bianco della Compagnia del Teatro La Fede, e il problema critico quindi non era tanto quello di rilevare la misura della sua fedeltà a Webster quanto quello di verificare la sua fedeltà a se stesso e alla propria concezione dello spettacolo» (p. 115).

A suo avviso - si legge - per chi voglia in Italia mettere in scena Shakespeare, ci sono due sole strade aperte; «quella di una radicale e rigorosa fedeltà al testo, e quella di un'altrettanto radicale e rigorosa rinuncia a esso per creare una nuova immagine teatrale» (p. 76): entrambe, se ben percorse, se imboccate da registi che riescono comunque a comunicare il senso profondo delle opere da loro scelte, possono portare a risultati degni di memoria.      

Le sue recensioni lusinghiere diventano legittimi motivi di vanto per registi e attori, quanto alle sue stroncature, severe ma quasi mai incondizionate e sempre prodighe di ricchi e inconfutabili apparati argomentativi, sono vere e proprie illuminazioni: nella sintesi vede l'analisi, individua poi il punto dolente dell'ingranaggio e al paziente, redatta nello stile elegante che gli è proprio, consegna subito la diagnosi perfetta. 

A proposito del Giulio Cesare diretto da De Lullo nel 1971, trova che siano stati inflitti troppi tagli al testo ma che tuttavia non sia del tutto da disprezzare il fatto che i personaggi siano stati inseriti all'interno di una dimensione molto domestica; a proposito dell'Arden allestito da Trionfo nel 1971, osserva che il regista, invece di limitarsi a stravolgere il tono dell'opera senza toccare nè la struttura né il testo, avrebbe dovuto compiere interventi più radicali e non assumere una posizione così di compromesso; quanto all'esotico Antony and Cleopatra messo in scena da Giles Havergal puntando su una lettura omosessuale della tragedia (Cleopatra è interpretata da un uomo), ne individua il lato positivo nel fatto di mettere in risalto l'importanza di una figura, da sempre trascurata, come quella di Ottaviano; della prima prova registica di Lavia, l'Otello del 1975, critica invece il fatto di aver trasformato la vicenda in una sorta di «tragedia dello zio Tom» ma salva però la «splendida prova» di Herlitzka nei panni di Jago: persino nel Measure for measure diretto da Dinu Cernescu e nel Coriolano diretto da Enriquez, ovvero in due spettacoli i cui registi sembrano aver perso di vista il significato dei testi d'origine ed essersi presi la libertà di sovrapporsi a Shakespeare, Lombardo trova degli aspetti positivi; come il rigore scenico di Cernescu e l'interpretazione di Paolo Graziosi nel Coriolano.

Altri spettacoli li loda invece senza alcuna riserva ed è allora il caso del Macbeth (1971) e della Bisbetica domata (1974) diretti da Enriquez, del Re Lear strehleriano (1972), della Partita a scacchi di Middleton diretta da Ronconi nel 1974, del Peccato che sia una sgualdrina (1974) e del Troilo e Cressida (1975) diretti da Roberto Guicciardini, dell'Amleto antiretorico e antimattatoriale (1974) della coppia Scaparro-Micol e anche del complesso Misura per misura (1976) di Squarzina. Lodati senza alcuna riserva sono soprattutto quei registi che riescono a mettere in luce il fatto che, in ogni opera di Shakespeare come anche in quelle dei maggiori autori inglesi suoi contemporanei, l'unico valore che viene salvato in un mondo che va alla deriva, dove i sentimenti sembrano non avere la possibilità di esistere, è quello dell'arte, della teatralità («ad esistere è solo la rappresentazione», si legge al termine della recensione a Peccato che sia una sgualdrina): oltre al merito di dare molta importanza al tema del "teatro nel teatro" così presente nelle opere shakespeariane, questi registi sono quasi sempre gli stessi che, suscitando l'infinita stima di Lombardo, sono in grado di cogliere tutta la ricchezza delle tragedie e delle commedie di Shakespeare, la loro pluralità di significati e di punti di vista dai quali possono essere osservate.

«Quale è il migliore dei drammi di Shakespeare? - scriveva sintomaticamente Keats - Voglio dire, in quale stato d'animo e con quale accompagnamento il mare vi piace di più?». Le parole di Keats in mente, nelle pagine dedicate al Re Lear di Strehler, Lombardo nota: «la riduzione dell'opera ai suoi personaggi, per grandi o addirittura immensi che siano; non l'accentuazione di temi particolari, da quello della "ingratitudine filiale" […] a quello della pazzia; non la costrizione, e quindi lo snaturamento, dell'opera in uno schema precostituito che la veda soltanto da un punto di vista politico o religioso o psicanalitico: ma un'esplorazione, una ricerca, un viaggio […] nel gran mistero marino di un dramma che quei temi, quei punti di vista, tutti li comprende e tutti li supera in una rappresentazione "totale" che dunque esige una "totalità" di visione» (p. 85).

A partire dal 1977, Lombardo mise fine alla sua carriera di recensore di spettacoli teatrali: Strehler gli chiese di fornirgli una versione della Tempesta in italiano. Nella sua traduzione, La Tempesta di Strehler andò in scena con enorme successo nel 1978. Lombardo ormai era parte integrante dello spettacolo, era dentro e non più fuori, protagonista e non più spettatore, e poteva svolgere il proprio ruolo di critico a priori e non più a posteriori: tradurre i testi, infatti, come scrive Giorgio Melchiori nella Presentazione del volume, era la forma più attiva, quindi creativa, perciò perfetta e a lui più congeniale di interpretazione critica.



Giulia Tellini


copertina

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