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Cineforum 470


anno 47, n. 10, Dicembre 2007,€ 7,20
Cineforum 470 si apre con due ricchi speciali su Tideland e Ratatouille. Per Jonny Costantino, con Tideland Terry Gilliam mostra di essere un cineasta con una marcata sensibilità pittorica. Forte del riferimento alla tradizione figurativa europea, Gilliam costruisce con gli esterni del suo ultimo film i migliori "en plein air" del suo cinema. Il richiamo a Peter Brueghel, pittore visionario di un’epoca che nel quotidiano esperiva i suoi mostri rivelatori di verità, si gioca sulla ambigua dicotomia tra comico e il tragico. Questa dicotomia è solo la dinamica più accesa della prossimità della morte con la vita. L’universo frammentario di Brueghel, davanti al quale l’occhio si meraviglia e stupisce dell’attrazione del mostruoso grottesco, ben si adatta al cinema di Gilliam. In genere, infatti, l’affinità con la pittura fiamminga è molto marcata nell’opera di quest’autore. Il fiammingo di tutti i tempi, però. Fino a Van Gogh e alle accensioni dello sguardo di quello che, come sottolinea Costantino, Antonin Artaud descrive in questo modo: "ritorno al quadro dei corvi. Chi ha già visto, come in questa tela, la terra equivale al mare? … terra che puzza di vino, e sciaborda ancora in mezzo alle onde di grano…". Mai definizione fu più appropriata. Ne La sottile linea nera Jonny Costantino conversa con Terry Gilliam. Tema della conversazione la disperazione che si accompagna alla gioia dell’arte e della vita. Il coraggio di vivere delle creature di Gilliam somiglia a quello delle creature di Kafka o Bacon, là dove la morte confina con la vita. E poi ancora, l’importanza del mondo delle favole e il rapporto con il romanzo di Cullin da cui il film è tratto.

Ne L’anti-edipo e la bambina, Lorenzo Donghi riflette sui legami di Tideland con Alice nel paese delle meraviglie. Nel paradosso il collegamento tra le due storie, l’eccentricità diventa la misura per rapportarsi al mondo. L’eccentricità dello spazio, soprattutto, che subisce un autentico rovesciamento. Lo spazio, empirico e collocato in Texas, è reso con una serie di inquadrature sghembe sancisce la mancata cesura tra realtà e immaginario. In Monsieur Le Film, Giulia Russo, parla di Ratatouille come di un "film adulto, non tanto per l’età anagrafica dei suoi protagonisti, ma anche e soprattutto per le scelte narrative, il tipo di comicità che lo caratterizza". Il tipo di comicità è infatti quello della screwball comedy, ma temperata da un sapiente equilibrio tra emozione e sorriso, per smorzare gli eccessi.
Mattia Mariotti e Matteo Zambetti si occupano del Favoloso mondo (digitale) della Pixar, e di come la casa sia riuscita a far uscire dal complesso di inferiorità, rispetto ad altri generi, il cinema d’animazione. Con Ratatouille la Pixar ha indicato un nuovo corso per l’animazione di "intrattenimento", fatto di "perfezionismo grafico e narrativo e di piena consapevolezza registica".

Per la sezione Schede: Un’altra giovinezza di Francis Ford Coppola, Giorni e nuvole di Silvio Soldini, La giusta distanza di Carlo Mazzacurati, Ai confini del paradiso di Fatih Akin, Meduse di Etgar Keret e Shira Geffen, You, the Living di Roy Anderson, The Bourne Ultimatum – il ritorno dello sciacallo di Paul Greengrass, I vicerè di Roberto Faenza.
Da segnalare anche l’intervista a Silvio Soldini curata da Fabrizio Tassi, in cui il regista grida contro il tormentone della presunta – secondo lui inesistente – crisi del cinema italiano.
Per Filmese, L’abuffata – L’uomo privato – Angeli distratti – Die Hard.Vivere o morire – Quel treno per Yuma – I guardiani del giorno – Il nascondiglio – Elisabeth: The Golden Age – Lo spaccacuori – La terza madre.

Ritorna la sezione Book, più ricca che mai. Questa volta tocca a Joseph Losey. Ne Il Servo. Maughan, Pinter, Losey, Tullio Massoni ci parla dell’ultimo atto della triologia del regista, Il Servo, appunto, dei suoi rapporti con il romanzo e del modo scelto da Losey per risolverlo in immagini, dalla soppressione del narratore alla resa del potere misto a trasgressione e impossibilità di realizzazione. Sullo sfondo di un’ambientazione angosciante le figure esprimono la derealizzazione nel disfacimento dei loro contorni fisici e morali.
Il tema dello specchio è invece analizzato da Bruno Fornara per riflettere sulla mutazione lenta e allo stesso tempo repentinamente rivelata dal precipitare improvviso dei rapporti di classe e di potere in Il Servo. Lo specchio deforma i personaggi, li stringe in una prospettiva che rimescola le coordinate spazio-temporali. Essi diventano l’uno il riflesso dell’altro, e proprio in quanto riflesso nessuno è più stesso ma neanche l’altro.
Giorgio Cremonini ripensa al motivo dell’estraneità, che è stato l’elemento di maggior legame tra Losey e Pinter. La sensazione di non trovarsi mai nel posto giusto ha fatto la sua comparsa già nelle opere americane di Losey, come Il ragazzo dai capelli Verdi. Se ne Il Servo l’elemento perturbante è rappresentato dallo specchio, ne L’incidente è il luogo conosciuto e, all’inizio, confortevole che diventa un labirinto straniante.
Per L’incidente Andrea Zanetti ci parla invece della "sordidezza" della corruzione delle azioni nel mondo borghese. La sordidezza sta nel fatto che questa corruzione mantiene sempre un margine di sicurezza. All’interno di questi margini L’incidente è un film su un certo tipo di aberrazione temporale. Come scrive Zanetti "l’analisi trascende singoli e psicologie: mostra un funzionamento. Losey, per superare una simile esperienza, si sarebbe volto a Proust: il tempo ritrovato. Il fallimento del progetto su la Recherche e l’impasse di molti film successivi testimonia la smisuratezza dell’impresa e l’inanità di un "corpo a corpo" con il presente".
Paolo Vecchi invece ci racconta di un’intervista a Losey, al Lido, condita di Vodka e della capacità del regista di deviare da domande professionalmente preparate per scivolare verso una piacevole e istruttiva conversazione.
E se Tullio Massoni, in Fazzoletti, scrive di una parabola racchiusa nella brevità di due sequenze (potenza del cinema di Losey), Roberto Chiesi ci parla di due film dimenticati, Cerimonia segreta (1968) e L’assassinio di Trotsky (1972). Tra spazi di finzioni e intrusi occulti le due opere sono segnata dall’ambiguià, che è, come osserva Chiesi, "una tinta che si addensa nelle nervature del racconto, investendo le identità dei personaggi che non si cristallizzano mai in un’unica maschera, ma sono invasi dalle derive delle loro contraddizioni".

Per il Premio Ferrero Laura Busetta scrive de I corpi cosmici di Ciprì e Maresco. Corpi che "producono nello spettatore un effetto disorientante". Il cinema dei due registi siciliani si risolve nel residuo e nel dettaglio, nella scomposizione del corpo grottesco, mostruoso ed esilarante allo stesso tempo,. Il grottesco avvicina l’uomo alla bestia, salvo poi respirare di fronte alla possibilità di risollevarsi dall’inferno come accade nel finale di Totò che visse due volte.

Nella sezione DVD si segnalano l’uscita di Rybczynski, La più grande avventura di Ford e Il gusto del Sakè di Ozu.
Concludono il numero le oramai storiche rubriche Tivutargets di Cremonini e Le Lune de Cinema di Lorenzo Pellizzari.




Lucia Di Girolamo


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