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Segnocinema 149
Rivista cinematografica bimestrale

Segnocinema n. 149, anno XXVIII, gennaio-febbraio 2008, 6.00 euro
«Segnocinema 149» dedica uno speciale al rapporto fiction/non fiction dal titolo Nobiltà e miseria del documentario. Attorno a questo speciale si trovano il saggio di De Bernardinis, Perché di vita ce n’è una sola, sull’esperienza virtuale e l’esperienza sensibile di Second Life e il saggio di Bruno di Martino sulla Pixar e l’abisso della rappresentazione: due saggi che si occupano dell’artificio, della finzione, della forma mimetica dell’irrealtà, a complemento di uno speciale che si concentra invece sullo statuto realistico del documentario.

Il documentario restaura il rapporto "uno a uno", il dialogo con l‘individualità dello spettatore, sostiene Roberto Chiesi. Nonostante il documentario segua diverse contaminazioni (phamplet politico, film-saggio, diario, reportage, film di appunti), ciò che resta tipico del suo registro è la riduzione del distanziamento, il desiderio di sapere e di trasmettere una "verità" allo spettatore. Il documentario sembra spesso muoversi tra due polarità: la propaganda ideologica e il giornalismo di informazione, la manipolazione dell’informazione e il cinema verità. Marcello Walter Bruno propone nel proprio contributo la distinzione tra il macrogenere fiction e il macrogenere non-fiction partendo dalla distinzione fra "montaggio narrativo" – che segue la logica della presentazione basata su un rapporto cronologico lineare di fabula/intreccio – e "montaggio discorsivo" o intellettuale o significante – che produce significati concettuali che seguono la logica della dimostrazione basata su rapporto topic/comment, argomento trattato/opinione relativa –. L’idea che il documentario sia qualcosa che si fa da sé, dove la realtà viene registrata da un oggettivo e imparziale cine-occhio, costituisce un miraggio, che riporta delle immagini asignificanti, come testimone di un tempo reale, telecamera di sorveglianza di un tempo morto. Questo più che documentario è il cinema sperimentale di Andy Warhol: lo spostarsi sino ai limiti percettivi dell’istante uguale a se stesso. I documentari che vengono oggi proposti nei festival e nelle sale cinematografiche seguono sempre un doppio livello di montaggio: discorsivo e narrativo. Il documentario attinge dalla realtà del mondo i temi che possono essere raccontati, attraverso diversi tipi di immagine: immagini di repertorio, interviste in primo piano, inquadrature e carrellate sul paesaggio.

Il documentario oggi informa, documenta o fa cinema? Secondo Alberto Pezzotta il documentario oggi tende sempre di più a intervenire sulla realtà, istigandola, provocandola, creandola e modificandola. E questo è inconfutabile soprattutto se pensiamo ai documentari di successo, quelli che hanno avuto una discreta tenitura nelle sale, ponendosi come concorrenti dei film di fiction, quali: Super Size Me di Morgan Spurlock, Fahrenheit 9/11 e Sicko Michael Moore, oppure Le ragioni dell’aragosta di Sabina Guzzanti. Realtà/finzione, cosa ha portato una nuova ondata di successo per il documentario? Il grado di spettacolarizzazione del quotidiano e di allontanamento dal vero che sembra dominare nella società e nei media oggi? La realtà è sempre in sé interessante o per renderla tale è necessario inserire elementi narrativi, manipolatori, finzionali? In questo senso interessante è il saggio di Andrea Bellavita sul mockumentary, genere che definisce tutti quei film di finzione che utilizzano codici estetici e pratiche linguistiche del documentario per rappresentare storie di invenzione. Il mockumentary lavora su più livelli mettendo sotto la lente critica della parodia ciò che sta raccontando ma anche come lo racconta, riflette sulle marche della realtà, sul loro valore epistemologico e sull’automatica reazione di credulità dello spettatore.

Nella sezione "festival e rassegne" quattro articoli di approfondimento, molto dettagliati, presentano considerazioni sui film e sul clima dell’ultimo Torino Film Festival 2007. Luca Bandirali ed Enrico Terrone avanzano alcune critiche sul nuovo modo di concepire il festival, da sempre ritrovo di cinefili, diventato con la direzione di Moretti un evento glamour; mentre Claudia Azzalin sottolinea il valore estetico e morale dei film presentati in concorso e in anteprima, soprattutto quelli che raccontano la guerra trasfigurandola in metafora e riflessione (Aleksandra di Aleksandr Sokurov, An Seh/Those Three di Naghi Nemati e Bufor di Joseph Cedar); infine Mario Molinari celebra la bellissima e preziosa retrospettiva dedicata a John Cassavetes con un saggio dal titolo Non fidarti della verità, dove sottolinea come Cassavetes si ponesse fuori dal sistema hollywoodiano in modo particolare e complesso, mantenendo sempre forti rimandi tematici alle produzioni "classiche".

In fine ricordiamo le rubriche "actor segno" di Cristina Jandelli e "segno sound" di Paola Valentini. Jandelli propone l’analisi della recitazione di Kim Rossi Stuart, attore-autore, che debuttò giovanissimo in Fatti per gente per bene di Mauro Bolognini, proseguì la sua carriera di attore in teatro sino a giungere nel 2006 all’esordio come regista con il film Anche libero va bene, di cui è anche interprete. Secondo Jandelli la tecnica di recitazione seguita da Kim Rossi Stuart appartiene alla scuola stanislavskijana, seguendo tecniche di immedesimazione piuttosto che di imitazione e mostrando "momenti da Actor Studio in Italia". Valentini per "segno sound" ripercorre il film Zodiac di David Fincher analizzando tutti gli elementi sonori che ricreano un "effetto vintage" in modo innovativo: dall’ideazione di un commento musicale nuovo e originale che rievoca gli anni Settanta, ai rumori dei singoli apparecchi che sembrano dare vita agli oggetti con grande precisione del dettaglio sonoro, dal ticchettio delle macchine da scrivere al rombo del motore delle auto.

Per la rubrica "serie tv" Luca Bandirali e Enrico Terrone analizzano 24, serie televisiva che racconta eventi che accadono in un giorno, seguendo una narrazione in tempo reale dove la sincronia delle azioni è mostrata dalla suddivisione dello schermo in vari riquadri.
Anna Gilardelli


Segnocinema n. 149, anno XXVIII, gennaio-febbraio 2008

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