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Moltiplicare l'istante. Beltrami, Comerio e Pacchioni tra fotografia e cinema

A cura di Elena Dagrada, Elena Mosconi, Silvia Paoli

Milano, Il Castoro, 2007, pp. 237, ill., € 22.00
ISBN 978-88-8033-434-7
I Quaderni della Cineteca Italiana sono soliti percorrere sentieri affascinanti e poco battuti della storia del cinema. Ma quest’ultima pubblicazione, dal titolo Moltiplicare l’istante. Beltrami, Comerio e Pacchioni tra fotografia e cinema, curato da Elena Dagrada, Elena Mosconi e Silvia Paoli (rispettivamente docenti di cinema alla Statale e alla Cattolica di Milano, e conservatore del Civico Archivio Fotografico di Milano), se possibile compie un passo ancora più deciso verso i percorsi inesplorati della materia. Infatti non si può certo dire che simili indagini interdisciplinari, condotte con metodo e rigore, e poste alla confluenza dei due medium e delle due arti sorelle – fotografia e cinema – siano frequenti, almeno in Italia.

Se ne sente invece un gran bisogno. Anche perché - come l’argomento del volume ben individua attraverso una serie di saggi che a raggiera si stringono attorno alla ricostruzione dell’opera di tre celebri fotografi-cineasti milanesi - alle origini fotografia e cinema appaiono nuovi mezzi espressivi che l’ottocento, il secolo che li ha generati, fatica a tenere separati e disgiunti. Inutile ricordare che "l’invenzione senza futuro", cioè il cinema, si deve a due fotografi lionesi, i fratelli Lumière, che la storia del cinema pone al termine di una lunga fase in cui, a partire dalla fotografia, si procede verso la resa illusoria del movimento e la sua scomposizione per giungere infine alla messa in serie delle immagini.

Come spiega nel prezioso contributo teorico che apre il volume Elena Dagrada, non solo Louis Lumière, o il pioniere-teorico polacco Boleslas Matuszewski (autore di fondamentali indagini sull’occhio dell’operatore che, cogliendo il vero, è pronto a generare nuova storia e nuovi archivi), ma anche Comerio e Pacchioni erano e restano prima fotografi che cineasti. E all’inizio del novecento è ben chiaro cosa accomuni fotografia e cinema: la loro specificità – rispetto alle arti tradizionali - sta nella genesi "meccanica" dell’immagine che permette alla pellicola di conservare una traccia fisica dell’oggetto e dell’evento foto-cinematografato. Ciò conferisce, alla riproduzione fotografica prima, e a quella cinematografica poi, «una credibilità che nessuna opera pittorica potrà mai possedere». Ma non si vede perché tali argomenti, accantonati - dopo l’epoca gloriosa delle teorie di Bazin - dalla messa in crisi del concetto di realismo, debbano essere considerati estinti oggi che, come spiega l’autrice, «sul piano psicologico (l’unico che conti davvero) non è cambiato l’impatto che le immagini "dal vero" producono sullo spettatore. Anzi l’avvento delle tecnologie digitali ha reso ancor più accessibile e diffusa la tentazione di vivere le nostre vite filmando tutto come instancabili turisti, per riempire di provviste audiovisive il nostro sarcofago in una sorta di mummificazione fai da te». Eppure, tristemente, oggi - negli studi come nella prassi artistica - fotografia e cinema si incontrano sempre più raramente.

La ricca introduzione teorica segna l’inizio del percorso che procede attraverso una serie di saggi e che si conclude con puntuali schede biografiche e una esaustiva ricognizione delle opere, fotografiche e cinematografiche, di Beltrami, Comerio e Pacchioni conservate in archivi, musei e cineteche. Silvia Paoli introduce i profili dei tre fotografi-cineasti milanesi collocandoli all’interno del secondo ottocento che, con la scoperta della fotografia istantanea, produce il desiderio di un nuovo sguardo sulla realtà e sul mondo, mostrando qualcosa "di non visto prima". Beltrami, Comerio e Pacchioni sono accomunati da una predilezione per la fotografia istantanea (come mostra l’esauriente corredo fotografico posto al centro del volume) e quindi legati, come operatori, «alle esperienze che portarono alla nascita del cinema». Ad Elena Mosconi spetta invece il compito di riportare in vita, attraverso un saggio di piacevole lettura quanto finemente documentato, la Milano delle origini del cinematografo: i suoi pubblicisti e i più interessanti operatori ma anche i luoghi deputati alle proiezioni, la composizione del pubblico e infine la breve – ma decisiva – stagione della produzione che vede la Saffi-Comerio realizzare il primo lungometraggio della storia del cinema italiano, l’Inferno da Dante.

Dopo un ulteriore excursus storico firmato da Aldo Bernardini troviamo alcune note, molto stimolanti, di Roberta Basano che per la prima volta indaga un settore ancora ampiamente inesplorato quanto decisivo per la comprensione dello stretto legame che verrà evolvendosi nei decenni successivi fra cinema e fotografia (a loro volta legate alla tradizione teatrale): le foto di scena, considerate anche in seguito «semplice surrogato del film» e al contrario documento reticente e controverso, complesso e cangiante che varrebbe la pena di cominciare ad analizzare con attenzione. Ancora ad Elena Mosconi si deve una rievocazione della figura dell’operatore cinematografico di soggetti dal vero che, all’inizio del secolo e soprattutto negli anni Dieci, durante la grande guerra, si scopre al centro della "fabbrica del consenso", cioè sospinto ai margini di quegli eventi reali che invano tentava di documentare. Mentre Livio Gervasio si sofferma sulla dimenticata stagione del colore "naturale" nel cinema - di cui Comerio fu l’importatore italiano – e Aldo Bernardini enumera le numerose società costituite dal fotografo-regista, le riviste si trovano al centro di due interessanti scambi di prospettive: Alessandro Oldani rintraccia in quelle di fotografia l’eco del vasto dibattito sul cinema che impegnò la comunità dei fotografi milanesi fino dalla sua nascita, e Mario Giori al contrario documenta la presenza di numerosi articoli sulla fotografia nella vasta pubblicistica cinematografica che fiorì in Italia a partire dal 1907. Il volume si chiude come si era aperto, con un contributo teorico dello studioso francese Roland Cosandey dedicato a Matuszewski e alla sua determinante partecipazione al dibattito sulla nascente settima arte con «la prima legittimazione colta del cinema».

di Cristina Jandelli


Copertina del libro

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