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Veronica Pravadelli

La grande Hollywood
Stili di vita e di regia nel cinema classico americano

Venezia, Marsilio, 2007, pp. 287, euro 24

Ridiscutere il cinema classico americano, il cinema hollywoodiano significa per Veronica Pravadelli mostrare l’opacità di una definizione e di una nozione che ha fatto della "trasparenza" narrativa il suo vanto. L’analisi del cinema che viene offerta nel volume La grande Hollywood. Stili di vita e di regia nel cinema classico americano procede cronologicamente dal 1930 al 1960 attraversando i generi e utilizzando come strumenti metodologici teoria, analisi dei film e studi storici sulle dinamiche di gender (Film Studies e Cultural Studies).

Con Bordwell, Staiger, Thompson e il volume The Classical Hollywood Cinema si è diffusa la categoria discorsiva "cinema classico" a indicare un modello normativo e omogeneo il cui dispositivo narrativo, con marche stilistiche non evidenti, si regge su una catena di azioni e reazioni, e attiva un’esperienza spettatoriale cognitiva partecipata. Secondo Pravadelli queste sono caratteristiche del cinema hollywoodiano degli anni Trenta, dopo il quale, negli anni Quaranta e successivi, seguono momenti di rottura rispetto a questo modello.

La scelta del campione di film su cui lavora la studiosa italiana, rappresenta criteri di selezione diversi da quelli di Bordwell, Staiger, Thompson, i quali hanno scelto di includere nella propria analisi film ordinari, comuni, che rispondessero a una campionatura il più casuale possibile, funzionale alla rilevazione del canone paradigmatico. La scelta di Pravadelli risponde invece al criterio di "successo" di pubblico e di critica, poiché viene valutato che è proprio nelle pellicole più viste e più amate che si trovano più efficacemente rappresentati i desideri sociali e gli stili di vita, il circuito tra forme di identità e modi di rappresentazione. Quindi sono stati sottoposti all’analisi interpretativa film molto famosi rappresentativi dei generi più considerati (Venere bionda, Accadde una notte, Susanna, La fiamma del peccato, Notorius, Come le foglie al vento, Gli uomini preferiscono le bionde, Cantando sotto la pioggia).

Veronica Pravadelli propone una periodizzazione diversa rispetto a quella di Bordwell considerando propriamente classico solo il cinema della seconda metà degli anni Trenta. Il modo di rappresentazione classico degli anni Trenta mostra un soggetto centrato, che corrisponde alla ritornata fiducia nell’ordine sociale stabilitosi grazie al New Deal. La commedia, soprattutto screwball, rappresenta in questo senso il genere classico per eccellenza, dove dualità e dicotomie vengono risolte nell’ordine formale e nella normatività dei modelli individuali socialmente condivisi e il rapporto maschile/femminile è riportato ai valori tradizionali del matrimonio (o rimatrimonio). Questi film rappresentano il "classic realist text", imbevuto dell’ideologia dominante, delle regole del sistema stabilito; mentre il "subversive text" ha un rapporto meno passivo e più ambiguo con l’ideologia.

La corrosione del personaggio, dominato dal groviglio contraddittorio delle passioni e dei desideri, apre la fase "post-classica" del cinema hollywoodiano ed è rimarcabile soprattutto in alcuni generi cinematografici: il noir e il woman’s film ("subversive text"). In questi generi infatti, rispetto al modello sintattico di Bordwell emerge una componente semantica forte, che rompe l’omogeneità del paradigma inserendo un grado maggiore di complessità per la cui interpretazione l’autrice propone come strumenti più adeguati la psicanalisi e le tematiche di gender. Il noir rappresenta un soggetto maschile in crisi, perso in un paesaggio metropolitano di cui non si trova al centro, ridefinendo, per difetto, il rapporto individuo (spesso solitario) e spazio. Il woman’s film vede invece protagoniste donne che cercano l’affermazione dei loro desideri e la personale emancipazione attraverso modelli non tradizionali.

La Feminist Film Theory – di cui si serve Pravadelli nell’analisi dei film – fa irrompere nella linearità di lettura del cinema classico le dinamiche di genere, come gioco di ruoli e di potere, mostrando come l’universo testuale del film classico sia articolato sul rapporto maschio/femmina e porti la differenza sessuale iscritta nelle proprie strategie retoriche. In questo la differenza tra la Feminist Film Theory e l’approccio cognitivista di Bordwell è assai profondo: secondo Bordwell l’esperienza spettacolare implica una comprensione a livello cosciente delle dinamiche narrative del film, ma non attiva il procedimento inconscio dell’interpretazione. Il discorso psicanalitico apporta un contributo importante all’interpretazione dei film e dei modelli di vita in essi rappresentati secondo le dinamiche di gender ed evidenzia una inadeguatezza del paradigma cognitivista rispetto all’esperienza emozionale, empatica, di identificazione della spettatrice/spettatore.

L’utilizzo sapiente degli strumenti dei Film Studies unito agli strumenti dei Cultural Studies è ciò che permette all’autrice di fare il salto dalla semplice analisi della struttura testuale del film alla descrizione dei processi sociali, riportando l’esperienza spettatoriale al suo cuore pulsante: il desiderio e l’immedesimazione. Pregio di questo volume non è solo quello di utilizzare, risistemare e a volte far conoscere alcuni scritti teorici americani non sempre noti in Italia, ma anche di centrare l’interpretazione dei film sulle dinamiche uomo/donna, che sono modelli ed esempi di quelle vissute da chi guarda. Una parte molto interessante del libro riguarda la descrizione delle figure femminili (flapper, working girl, show girl, kept woman, gold digger, fallen woman, homemaker) e maschili (breadwinner, rebel, redeemer), che emergono come traccia di riferimento delle dinamiche di coppia tout court: di nuovo il passaggio è dalla struttura ai processi, che riguardano la Storia e la Storia delle donne in particolare (dalla True Womanhood alla New Womanhood).

Il punto di forza del volume non sta dunque nell’interpretazione peraltro illuminante dei film, quanto nell’utilizzo dei film come testi e documenti della trasformazione, come testimoni e al contempo prove dei cambiamenti storici e sociali, nel circuito virtuoso in cui il cinema riporta al vissuto e il vissuto si rispecchia nel cinema.



Anna Gilardelli


Copertina del libro

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