drammaturgia.it
Home | Cinema | Teatro | Opera e concerti | Danza | Mostre | Varia | Televisioni | Libri | Riviste
Punto sul vivo | Segnal@zioni | Saggi | Profili-interviste | Link | Contatti

cerca in vai


Il tempo a teatro
Attori, drammaturgie, eventi dal Settecento all’età della regia
A cura di Paola Daniela Giovanelli

Bologna, Clueb, 2007 pp. 207, € 18,00
ISBN 978-88-491-2792-8

Il volume è inserito nella collana “Lo studio del Tempo”, inteso come ricerca “dei molteplici aspetti che la dimensione temporale assume nella vita psichica, individuale, collettiva e storico-culturale e nei diversi ambiti del mondo fisico e biologico”. Trasferire questa ipotesi di ricerca nell’ambito dello spettacolo significa inquadrare il problema dal punto di vista della drammaturgia e della messinscena, del lavoro dell’attore in relazione anche ai suoi ritmi psicologici e biologici. Il risultato è un insieme di studi assai pregevoli per rigore scientifico e spessore culturale, raccolti da Paola Daniela Giovanelli cui compete la bella introduzione (Interpretare il tempo).

Apre la serie dei contributi Tempo di fiere, tempo di teatri di Marina Calore, che indaga la consuetudine affermatasi fra la fine dei Seicento e l’inizio del Settecento in alcune città e paesi del Veneto e dello Stato Pontificio, poi diventata tradizione, secondo la quale in occasione delle fiere annuali venivano proposte rappresentazioni di teatro d’opera, sviluppando in questo modo un rapporto di sinergia tra cultura dell’intrattenimento, economia e mercato. Il tempo ciclico e naturale si intreccia con il tempo del denaro e degli scambi ma anche con l’evento spettacolare, il quale, a sua volta, risulta alternativo al calendario della stagione teatrale regolare e ottiene altrettanto successo anche per l’apporto di artisti e attori di qualità.

Il saggio di Gerardo Guccini, Tempi drammatici e tempo vissuto: il caso Monti affronta il tema dello scambio tra la finzione del ruolo scenico dell’attore e quello del personaggio del testo. Dall’analisi della messinscena di Galeotto Manfredi al Teatro Valle di Roma nel 1788 emerge la presenza simultanea di una doppia valenza comunicativa e di una doppia scansione temporale. Nel consigliere Ubaldo in conflitto con Zambrino, affidato all’interpretazione del celebre Giuseppe Zanarini, il pubblico romano rivedeva lo scontro tra lo stesso Monti e Giuseppe Lattanzi, suo acceso rivale, e perciò recepiva nella finzione scenica un preciso messaggio politico e satirico. Mentre agli spettatori non romani di Galeotto Manfredi fu proposta una drammaturgia diversa, non di natura biografica, bensì strutturata sul binario del dramma della gelosia ispirato all’Otello shakesperiano.

In che misura e con quale incisività la drammaturgia europea tra Otto e Novecento abbia inciso, e a volte impostato, i dettami verbali e lo stile di recitazione dell’attore, costituisce l’argomento di Franco Perrelli nel saggio dedicato a Il ritmo tecnico degli attori di Strindberg. Lo studioso, nel ripercorrere l’itinerario creativo del drammaturgo scandinavo, parla di “regia d’autore” che si sostanzia nell’uso della didascalia e nell’elaborazione di un linguaggio finalizzato alla scena e in grado di connotare il gesto, la parola e il respiro dell’interprete attraverso una “punteggiatura eccentrica”. Strindberg opera la rottura delle norme convenzionali di spazio e di tempo adottando la struttura dell’atto unico (“corto e buono, è il motto dei moderni”), caratterizzato dall’uso ritmico della punteggiatura, come ebbe modo di sperimentare nei drammi da camera allestiti nel Teatro Intimo di Stoccolma.

Il superamento del realismo e della verosimiglianza del teatro borghese conobbe in Italia strade diverse dalle traiettorie tracciate da Strindberg, come illustra Stefano Scioli in Appunti sul tempo mitico nel teatro di Gabriele D’Annunzio. Il Vate, sostenuto da Eleonora Duse, cullò il sogno di un luogo scenico ideale, il teatro di Albano, per restituire allo spettacolo il suo antico carattere di cerimonia e di mistero. La riattualizzazione del mito tragico, progetto nato dopo il viaggio in Grecia, produsse la ricerca di un sottile e difficile equilibrio tra il tempo della contemporaneità e della storia e il tempo rarefatto del mito. Il trasferimento nell’opera teatrale di questa dialettica, ossia dialogo e amalgama drammaturgia tra il tempo storico di oggetti e ambienti e il tempo mitico di fatti e passioni, fu operazione estremamente complessa, che riuscì ne La figlia di Iorio, rappresentata il 2 marzo 1904 al Teatro Lirico di Milano con Ruggero Ruggeri nel ruolo di Aligi e Irma Gramatica nella parte di Mila di Codra.

Il Tempo e lo Spazio “non” morirono ieri, titolo del contributo di Lorenza Minetti, si addentra nell’avanguardia futurista per illustrare lo scardinamento dell’intreccio drammaturgico del binomio spazio e tempo proprio del teatro protonovecentesco, contrapponendo una concezione fondata sull’”eterna velocità onnipresente”, come scrisse Martinetti nella Fondazione e Manifesto del Futurismo, che si espresse nell’uso del verbo all’infinito, privo di soggetto e connotazioni temporali. La forma letteraria privilegiata è la brevità, talvolta fulminante, dell’atto unico, che permette di sostituire il verbale con il visuale, di puntare sulla “sorpresa” e di annullare l’attore convenzionale fino a ridurlo a segno. Di particolare interesse e utilità è l’analisi di una pantomima inedita, La fisarmonica antiaerea del poeta e attore Michele Leskovic, meglio conosciuto con lo pseudonimo Escomadè.

Il rapporto tra la percezione della vecchiaia biologica e il trascorso artistico, attraverso il filtro della memoria, è il tema del saggio di Laura Mariani, L’attrice e la vecchiaia nel Novecento italiano. La studiosa si basa su una serie di interviste fatte, tra le tante, a Mimy Aylmer, Tina Lattanzi, Vera Vergani, Laura Adani, Rosalia e Giustina Maggio, dalle quali “non emerge la realtà teatrale della prima metà del Novecento, ma il suo ricordo: un mondo evocato […], una strana miscela di cose essenziali, spazi vuoti, dettagli brillanti, pensieri fissi” (pp. 143-144). Il problema affrontato dalle attrici è come rapportarsi “teatralmente” allo scorrere del Tempo, proponendosi ugualmente al pubblico e abbandonando i ruoli sostenuti nel passato, oppure lasciare la scena e trasformare il contatto con la vecchiaia in un rapporto intimo e privato.

La questione annosa della ripresa dei testi classici per “ri-conoscerli” nostri contemporanei, individuando nelle pieghe narrative i segni testuali significativi per interpretare il tempo attuale, è discusso da Noemi Billi nel saggio Il presente in-attuale della critica. Si analizza la traduzione del moleriano Malato immaginario operata da Cesare Garbali nel 1974 e diventata copione della messinscena di Giorgio De Lullo con Romolo Valli nei panni del protagonista (Festival dei Due Mondi di Spoleto, 1974). La commedia è letta come allegoria politica e Argan diventa citazione di Molière, unendosi in una “comune vocazione immaginaria, la loro separazione dalla realtà”.

Chiude il volume un’intervista di Paola Daniela Giovanelli a Claudio Meldolesi (Polifonie e chiaroscuri della prima regia italiana), dalla quale emergono molti e preziosi argomenti di riflessione sui ritardi dell’avvento del regista, tratteggiando un percorso storico che da Luchino Visconti e al primo Strehler, arriva ad Eduardo e continua con Carmelo Bene e Leo De Berardinis.











di Massimo Bertoldi


Copertina libro

cast indice del volume


 



 
Firenze University Press
tel. (+39) 055 2757700 - fax (+39) 055 2757712
Via Cittadella 7 - 50144 Firenze

web:  http://www.fupress.com
email:info@fupress.com
© Firenze University Press 2013