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Maria Callas

Seducenti voci. Conversazioni con Lord Harewood 1968

A cura di Camillo Faverzani

Roma, Bulzoni Editore, 2006, pp. 208, euro 15,00
ISBN 88-7870-157-2


Già edita una decina d’anni in compact disc all’interno d’una delle tante “Callas Edition” discografiche, e più di recente diffusa in DVD, questa doppia intervista (15 e 23 dicembre 1968) teletrasmessa dalla BBC approda ora sulla pagina scritta in traduzione italiana. I callasiani di stretta osservanza sapranno già benissimo di cosa si tratta. I semplici appassionati e tutti quegli studiosi – cui, in primo luogo, sembrerebbe rivolgersi il volumetto – che si accostano all’arte del soprano greco attraverso un’indagine più interdisciplinare che vociologica (la seconda parte del libro è dedicata al rapporto Callas-Pasolini e Callas-Montale) troveranno motivi di curiosità.

Tutto sommato la parte più debole è la prima, quella cioè che offre il titolo al libro. La Callas non aveva verità sapienziali da rivelare ai contemporanei o ai posteri: quel che aveva da dire, l’ha detto con il suo canto. Le affermazioni inanellate durante queste conversazioni televisive (il ruolo di mentore che ebbe per lei Tullio Serafin, la riscoperta di un tipo di “soprano assoluto” che travalicasse le categorie vocali, l’intuizione – poi sposata da Franco Zeffirelli – di concepire La traviata come un immenso flash-back sul letto di morte della protagonista...) appartengono ormai al risaputo, né l’intervistatore le offre il destro per toccare argomenti insoliti.

Forse al lettore italiano non dirà molto il nome di Lord George Harewood, curioso personaggio di maniacale collezionista d’antichi cimeli discografici e infaticabile viaggiatore, imparentato con la famiglia reale d’Inghilterra, importante operatore culturale nella Gran Bretagna degli anni Sessanta e Settanta (consulente artistico al Covent Garden e alla English National Opera, direttore del Festival di Edimburgo, curatore della rivista inglese Opera), autore tra l’altro d’una accattivante autobiografia mai tradotta in italiano. La sua indubbia personalità non gli suggerì però, in quest’occasione, domande che potessero contribuire a un inedito ritratto della Callas: d’altronde, il fatto di essere registrata nel ’68 – ovvero a tre anni dal suo ritiro dalle scene – pone l’intervista in una zona di confine tra attualità e ricostruzione storica che non illumina né l’uno né l’altro profilo. Senza contare che i continui accavallamenti di battute tra intervistatore e intervistata, che forse in video davano l’idea d’un dibattito movimentato, trascritti su pagina spezzettano faticosamente ogni discorso.

È invece affidata interamente alla penna del curatore – Camillo Faverzani – la seconda parte che, in realtà, potrebbe tranquillamente costituire un volumetto autonomo, tanto poco ha a che fare con le “conversazioni” del titolo. Faverzani cede spesso la parola a Montale, beninteso in veste non di poeta ma di critico musicale: e certe considerazioni dell’autore di Ossi di seppia (come un cronista operistico non un dilettante di genio, quale poteva esserlo Stendhal, ma un ferratissimo tecnico che in gioventù aveva studiato da baritono) dicono sulla Callas assai più di quanto sappia fare la diretta interessata. Anche se il “cuore” di questa parte del libro è dato dall’incontro con Pasolini e dalla sua Medea cinematografica (1970): una Medea senza opera e senza canto, estrema resa della Callas alla sua afasia canora.

Per il resto, qui come nella prima parte, il curatore innesta una generosa messe di note a pié di pagina: i melomani le troveranno pleonastiche, ma non è solo a loro che si rivolge il volume. Tanta puntigliosità non gli impedisce d’incorrere (p. 162) in uno strafalcione tecnico: il “canto a mezzavoce” significa tutt’altro che cantare sottovoce, o semplicemente accennare, come qui invece parrebbe, forse a causa d’una traduzione maccheronica dell’inglese della Callas. Ma è un peccato veniale, davanti a un lavoro altrimenti assai minuzioso.

Tutto sommato, però, l’aspetto più interessante del libro è l’introduzione: con mossa avveduta qui l’editore cede la penna a Raina Kabaivanska. In realtà, al di là d’alcune considerazioni tutt’altro che banali (un parallelo tra la parabola callasiana e quella di Maria Malibran), la prefazione sembra più un’autoanalisi della Kabaivanska che un ricordo della Callas. Ma non è fuor di luogo, in un libro dedicato alla più grande cantante del ventesimo secolo, lasciare spazio e voce anche alla maggiore cantante-attrice dell’ultimo trentennio.


Paolo Patrizi


copertina

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