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Segnocinema
Rivista cinematografica bimestrale

anno XXVII, n. 144, marzo-aprile 2007, € 6,00
ISSN 0393-3865

In occasione dell’uscita nelle sale di 007 Casino Royale, lo speciale di Segnocinema, Duemila 007 Piccola Enciclopedia 007, è dedicato ad un ampia e attenta riflessione al fenomeno James Bond, non solo nel cinema, ma anche nella società, nel costume e nella cultura contemporanea di quasi un cinquantennio. In principio era Hitchcock, come sottolinea il curatore Flavio De Bernardinis introducendo lo speciale, infatti "il protagonista tipo del cinema hitchockiano, un personaggio che è braccato a sua volta, è l’archetipo dell’agente segreto. Il personaggio hitchockiano, infatti è agente segreto di se stesso, al servizio della maestà propria di individuo borghese, gettato in un mondo, un sistema sociale e politico, che è minaccioso, ostile, un’organizzazione spectrale, a maglie e a rete".

A scanso di equivoci lo stesso Sean Connery costituisce il lato oscuro del Cary Grant di Intrigo Internazionale ("Connery assorbe Grant e lo riformula: ne fa affiorare le violenze trattenute e ne traccia il passaggio dall’eros alla sessualità"), caratterizzando fin da subito i termini specifici del rapporto tra attore-divo-icona e personaggio ("Connery non recita Bond, lo agisce") in un’inarrestabile serie di variazioni su tema (Roger Moore lo fa, Dalton lo recita, Brosnan lo esegue, come l’ultimo Craig che è immediatamente Bond, il personaggio senza l’attore, l’icona oltre l’interprete"). Alla voce "Divismo" Cristina Jandelli spiega ancora meglio, storicizzandola, proprio la questione bondiana per eccellenza, quella, appunto, divistica: "Nel Bond di Connery il corpo dell’attore diventa la forma di esibizione più ammiccante, celebra un culto della sensualità maschile così spudorata da diventare prototipo e venire subito imitata dai vip della Costa Azzurra" così come "l’interpretazione autoironica di Connery è un prodotto del cinema moderno, eppure oggi ancor più visibilmente appare proiettata verso il gusto per il gioco e l’autoreferenzialità del postmoderno". Dopo la stagnazione del periodo Moore-Dalton-Brosnan (tutti costretti a reinterpretare il tipo fisso), "con Casino Royale si ridefinisce il personaggio ma soprattutto con Craig cambia il personaggio […]. Il Bond di Craig non è la reinterpretazione del tipo, ma una nuova versione del vecchio prototipo in decisa sintonia con le nuove mode giovanili: un duro in un corpo muscolare e nervoso da action hero".

Le altre voci di questa speciale enciclopedia servono, come da manuale, a ricostruire la figurazioni del personaggio e della serie sotto molteplici aspetti ("I film di Bond non sono film di genere, ma sono un genere: il Bond-movie). Particolare attenzione è rivolta alla componente acustico-musicale dall’inizio ("John Barry è l’architetto sonoro del film della serie, l’inventore continuo di una miriade di soluzioni, di frammenti, di pagine, di temi, di sfondi, di effetti senza i quali quei film medesimi oggi non sarebbero concepibili e il personaggio di 007 nemmeno"; "Il tema musicale di 007, il James Bond theme fu composto nel 1962 dall’inglese Monty Norman, compositore all’epoca 34enne con alle spalle un paio di horror-fantasy di serie B, che azzeccò con questo tema l’esempio più assoluto, inossidabile e immediato di associazione, diciamo pure in sintonia, fra un character e un leit-movie musicale nell’intera storia della musica cinematografica") fino all’ultimo tema musicale, quello di Vesper, così ricco di riferimenti sonori e visivi all’avanguardia storica. Non meno centrali appaiono le voci dedicate alla dimensione socio-culturale di 007 (alla voce "Citizen Bond: "Bond da impiegato segreto si trasforma in una star del jet-set internazionale, in un play-boy con la pistola, un fine dicitore e buon gustaio, un MegaBond, un personaggio che è esaltazione, critica e parodia di se stesso. Un manuale di modi e di stile che servirà da modello a più di una generazione"), alla componente erotica, la femminilità e le bond girls, "vere e proprie meteore del desiderio misogino" ("lo strumento di comunicazione, e di diffusione dell’eros bondiana, come ai tempi del cinema muto, e come accade nella filmografia di Hitchcock, è il bacio. Tutto lo spazio erotico, in termini di azione, è occupato dal bacio, che indica, e sostituisce, qualsiasi altro tipo di contatto. […] Il mondo post atomico di Bond è in preda a un’eccitazione permanente").

Per quanto riguarda la sezione Saggi e interventi, il primo è dedicato all’opera di uno dei più originali autori del cinema contemporaneo, Michel Gondry, artista a tutto tondo, la cui multiforme carriera, attraverso varie forme d’arte cha vanno dal cinema (lunghi e corti), ai videoclip, allo spot pubblicitario, al brano musicale, all’installazione artistica, Andrea Bellavita descrive in maniera completa come non solo un mondo sospeso tra varie forme di rappresentazione, ma come un universo artistico continuamente sospeso tra due registri di interpretazione: quello del sogno e quello del ricordo infantile.

Di grande interesse è il secondo saggio di Giovanni Bottiroli I registi sono alleati preziosi, un’acuta interpretazione psicanalitica di Mulholland Drive di David Lynch. La prima parte è una premessa teorico-metodologica che recupera il concetto freudiano del "perturbante", inteso qui come emersione del Reale lacaniano ("In ogni caso l’alterità ci devasta: e questa alterità non viene soltanto da fuori; essa abita il nostro interno come un’estimità, un’intimità esteriore") per non estenderlo però alla nozione di "figurale" (l’irrapresentabile nella rappresentazione): "a una descrizione che enfatizza il non-rappresentabile, l’informe, i buchi nel linguaggio, preferisco un’analisi che si ispira all’idea di soggetto diviso". Bottiroli si spinge dunque in avanti, parlando non solo di ciò che sfugge al linguaggio, ma delle scissioni che determinano l’identità delle persone, e dunque anche dei personaggi di una storia di finzione. E’ intuibile, quindi, come, da tale prospettiva, il film di Lynch appaia come un esempio "quasi obbligato e comunque inaggirabile". E così Bottiroli ci guida all’interno delle dialettiche testali e visive del film, dando importanza lacaniana ad una precisa cesura del film ("che ci mostra due storie che non devono saldarsi – le disavventure di un regista, l’incontro tra due ragazze - , altrimenti Camilla morirà"). Si segue cioè un chiaro processo onirico (che l’autore spiega nel paragrafo Il sogno non pensa, non calcola, si limita a trasformare), per quello che viene a delinearsi come un racconto apiretico ("Il problema estetico che Lynch ha dovuto risolvere può essere schematizzato così: conferire una piena coerenza a una storia dominata da emozioni conflittuali , e in primo luogo da un conflitto tra il ricordo e il desiderio, desiderio impossibile che si manifesta troppo tardi"). Questo tipo di conflitto, naturalmente, resta nella sfera dell’irrapresentabile. Dopo aver ricostruito la trama Bottiroli attribuisce una funzione e un significato a una vasta serie di scelte linguistiche operate da Lynch, tra cui quella delle soggettive senza soggetto. La conclusione non è altro che la definizione di questo carattere scissionale dell’identità, cioè un conflitto tra forze della memoria e forze del desiderio, la sostanza cioè di cui sono fatti i sogni.

Da segnalare infine l’intelligentissima recensione di Inland Empire proposta da Andrea Bellavita.




Marco Luceri


"Segnocinema, n. 144, anno XXVII, marzo-aprile 2007"

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