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Segnocinema
Rivista Cinematografica Bimestrale

n. 143, anno XXVI, gennaio-febbraio 2006, € 6,00
ISSN 0393-3865
Il numero 143 di Segnocinema, dopo la conclusione della rubrica Mamme in attesa, si apre con una nuova, Senza Fine, che porta la firma di Morando Morandini; tra le ultime uscite, sono due i film italiani degni di nota per l’anziano critico: Il vento fa il suo giro (2005) di Angelo Diritti e L'aria salata (2006) di Alessandro Angelini: "Nessuno dei due è un film difficile. Il primo non ha attori, ma interpreti con le facce giuste, il secondo, storia di un tormentato rapporto tra padre e figlio, ha al centro due professionisti di prim’ordine" (p. 2). Un pregio certamente, ma questo fa pensare che "gli attori italiani di cinema attivi nel nuovo secolo sono, specialmente nel settore femminile, una categoria mediamente superiore a quella degli sceneggiatori e dei registi" (ibidem). Come dare torto a Morandini? Basti pensare che, ad esempio, è stato proprio il film d’esordio (Anche libero va bene) di un attore, Kim Rossi Stuart il film italiano più importante del 2006, ma anche al fatto che i nostri attori riescono ad avere brio e a fare gioco di squadra, come nei film Romanzo Criminale e Le rose del deserto, ai quali riescono a dare uno spessore altrimenti irrimediabilmente compromesso.

Molto interessante il saggio di Flavio de Bernardinis, Barbaramente vostri, che trae spunto dall’ultimo libro di Alessandro Baricco, I barbari, uscito a puntate sul quotidiano "La Repubblica"; seguendo la traccia di questo scritto (che descrive una società occidentale in preda all’assalto di orde culturali che detestano la riflessione solitaria e lo scandaglio in profondità, a beneficio del movimento in superficie, delle spinte a cambiare incessantemente luogo e tempo), De Bernardinis si chiede se terreno privilegiato di questa mutazione sia il cinema, e in particolare quello italiano, diviso tra "i barbari" dell’esperienza e i "classici" della forma: "Nella scissione tra cinema e film, buon film/cinema pessimo, sfrigola il tratto barbarico per eccellenza dell’arte contemporanea, dove l’esperienza ha meglio sulla forma" (p. 5). Prendendo come paradigmi Rossellini (cha assomma in se l’essere padre e l’essere figlio), Fellini (i mille mondi che incrociano La dolce vita romana), i due registi più "barbarici" e i due più "formali" di tutti, Antonioni e Visconti, con i rispettivi "barbarici" figli Argento e Bertolucci, per arrivare fino a Leone, l’autore ricostruisce un’originale breve tassonomia seguendo le due forma sopra indicate, arrivando alla fine a concludere che "il cinema italiano, almeno, si scuote dalle sbarre del paradosso del non. Sì, il cinema italiano è una cosa ancora sostanzialmente barbarica" (p. 7).

Proseguendo nella linea editoriale della rivista, sempre attenta all’evoluzione tecnologica del cinema e ai suoi metodi di fruizione, si inserisce il saggio di Enrico Terrone, Dalla ciambella al mulo, che prende in esame le novità tecnologiche nel campo dei formati e dei supporti, in questo caso il Dvd e il DvX. La materializzazione dell’oggetto-film rilancia dunque fondamentali questioni teoriche: dov’è, qual è, che cos’è, per chi è, di chi è il film sono le domande che Terrone riformula seguendo la traccia di una nuova fruizione del film attraverso la novità dei supporti, che impongono dunque la creazione di un nuovo senso del film, ma non al di là del testo stesso: "Il testo anziché essere l’oggetto di analisi e di riflessioni approfondite, si riduce a pretesto: per gli autorialisti, occuparsi di un film significa semplicemente ricondurlo con le buone o con le cattive alla poetica dell’autore; per i pragmatisti, le uniche cose che contano sono l’atteggiamento del pubblico e le condizioni di fruizione, investite di un potere esplicativo spropositato. Ad assorbire l’interesse è insomma quel che viene prima del film (l’autore) o quel che viene dopo (lo spettatore): quel che sta nel mezzo, il film nella sua materialità e nella sua esteticità, pare ormai soltanto un passatempo per outsider nostalgici" (p. 9).

Al saggio di Pezzotta sull’analisi dei tre cinepanettoni (il marchio vuoto con cui un’industria in crisi promuove se stessa) dell’anno appena passato firmati da D’Alatri, Parenti e Vanzina, segue lo speciale Il cinema in mano – Teoria e simbolo delle mani al cinema, dedicato alla significazione della mano nel testo filmico, non di poco conto, come scrive Orio Menoni: "Le mani spesso collaborano con l’occhio alla costruzione dello sguardo e dello spazio cinematografico. Lo sguardo del cinema non è fatto soltanto di occhi e di spazio percepito, ma anche di direzioni, deviazioni, occlusioni negazioni" (p. 15). Su questa traccia si muovono i due interventi più interessanti, da un punto di vista analitico, dello speciale. Andrea Bellavita in Mi sembra di avere gli occhi bagnati, ricostruisce il percorso tattile-visivo in alcune celebri sequenze tratte da L’avventura e Blow-up di Antonioni, Blow-out di De Palma, Psycho di Hitchcock e il remake di Van Sant; lo stesso Menoni riprende il filo del discorso in una compiuta analisi testuale di un film esemplare in cui la significazione della mano produce senso attraverso le figure retoriche della rappresentazione, e cioè in Caccia al ladro di Hitchcock.

Per la rubrica Festival&Rassegne, un bilancio del Festival di Torino, in quella che è stata per Adelina Preziosi un’edizione al contempo classica e borderline, con tante anteprime di prestigio e opere altrimenti invisibili, mentre monta la delusione di Bandirali e Terrone per la sezione "Fuori concorso" e "lo sconsolante stato confusionale in cui versa attualmente il cinema d’autore" (p. 63). Molinari dedica invece un bell’articolo a quella che da sempre è il fiore all’occhiello della kermesse torinese, e cioè la retrospettiva, quest’anno dedicata al cinema di Robert Aldrich. Chiudono la rubrica i pezzi sulle sempre ottime giornate del cinema muto di Sacile (con tanti prodigiosi eventi in cartellone, denso anche di appassionanti riscoperte) e il deludente bilancio della Festa del Cinema di Roma, al suo debutto.

Marco Luceri


Segnocinema n. 143

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