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Theaterheute


2007, n. 1, pp. 72, € 9,80
ISSN 0040 5507

Il confronto tra due allestimenti della stessa commedia, Tri sestry (Tre sorelle) di Anton Cechov, apre la sezione dedicata alle novità teatrali ("Aufführungen") del nuovo numero di "Theaterheute". Nella Schaubühne di Berlino Falk Richter modella uno spettacolo asciutto, muove gli attori in una fredda scena metallica, specchio di esistenze solitarie avvolte nella nebbia e nell’attesa di un indefinito qualcosa, pronte a scatenare una sorta di cannibalismo collettivo. Pregevole è apparsa la prova della compagnia formata da Steffi Kühnert (Olga), Julie Böwe (Irina), Bibiana Beglau (Mascia), Thomas Bading (Kulygin), Lore Stefanek (Anfissa).

Diversa si presenta la messinscena proposta nei Kammerspielen di Monaco. Andreas Kriegerburg ambienta la vicenda nella Russia cechoviana, presenta le tre sorelle come fossero gemelle con vestiti bianchi e capelli neri uguali che hanno l’effetto di annullare la staticità del tempo e alimentare il movimento dei pensieri dedotti dal serbatoio dell’infanzia. Nei ruoli principali si sono esibite le dinamiche e grintose Katharina Schubert (Irina), Annette Paulmann (Olga), Sylvana Krappatsch (Mascia), e con loro Walter Hess, Jean–Pierre Cornu, Oliver Mallison, René Dumont.

Anche nel caso di Geschichten aus dem Wiener Wald (Storie del bosco viennese) di Ödön von Horvàth si anima un confronto a distanza tra due diverse interpretazioni sceniche. La rappresentazione di Colonia, affidata alle competenze di Albrecht Hirche, si concentra principalmente sui temi dei soldi e del sesso, e trasforma i personaggi del dramma in appassionati sportivi consegnati alle abilità espressive di Michael Altmann, Vanessa Stern, Steven Scharf. Sul palcoscenico della Volksbühne di Berlino gli attori, guidati con maestria da Christoph Marthaler, regista tra l’altro assai appassionato di Horvàth, incarnano figure inquietanti e torbide, squallide e brutali, che bene colgono il declino dei valor morali e spirituali di una piccola borghesia austriaca ormai risucchiata nelle sabbie mobili del nazismo. Tra gli attori si sono distinti Bettina Stucky (Marianne), Josef Ostendorf (Zauberkönig), Katja Kolm (Valerie), Uelly Jäggi (Oskar), Stefan Kurt (Alfred).

La rassegna delle novità si conclude a Weimar per dare risalto ad un giovane e talentuoso regista, Tilmann Köhler, recentemente salito alla ribalta con la messinscena di Krankheit der Jugend (Gioventù malata), dramma espressionista scritto nel 1926 da Ferdinand Bruneck, e un Otello shakesperiano attento alle problematiche dell’adolescenza con Paul Enke (Don Rodrigo), Thomas Braungardt (Iago), Antje Trautmann (Desdemona), Jonathan Loosli (Cassio) e Matthias Reichwald nel ruolo del titolo.

Christopher Schmidt, critico teatrale della "Süddeutschen Zeitung", ha avanzato pesanti critiche al teatro tedesco, denunciando un decadimento della regia che spesso ricorre a soluzioni suggestive, come l’abuso del sangue in scena, per supplire la mancanza di idee nuove e originali. Inoltre, a suo vedere, gli allestimenti di testi classici filtrati in ambientazioni contemporanee tradiscono la vitalità dei contenuti e producono esiti artistici assai modesti e molto superficiali. Risponde a queste accuse Björn Bicker, Dramaturg dei Kammerspiele di Monaco, il quale contrasta l’invito al "realismo moderato" lanciato dal giornalista liquidandolo come anacronistico recupero della retorica del teatro borghese. Crollato il Muro di Berlino, finita la stagione delle contrapposizioni ideologiche, il teatro oggi deve sentirsi libero di esplorare e sperimentare soluzioni aperte alle molteplicità dei linguaggi del corpo della parola, e anche della tecnologia. La serie "Positionen der Kritik" prosegue con le riflessioni di Petra Kohse, firma autorevole della "Frankfurter Rundschau" e di "Theaterheute", che solleva dubbi circa i metodi seguiti dai maggiori teatri tedeschi per la programmazione culturale, assai debole nel rapporto con il territorio e le caratteristiche del pubblico.

Le produzioni londinesi aprono il panorama della scena internazionale contenuto nella sezione "Ausland". Si inizia con Resurrection Blues di Arthur Miller trasferito da Robert Altman sulla scena dell’Old Vic Theatre, dove ha trovato ospitalità anche A Moon for the Misbegotten (Una luna per i bastardi) di Eugene O’Neill per la cura di Howard Davies e l’interpretazione di rilievo di Eve Best (Josie) e Kevin Spacey (Jim). Come nel lavoro dello scrittore americano domina il motivo dell’alcool, lo stesso succede in The Seafarer, novità di Conor McPherson presentata nel National Theatre. La commedia, incentrata sulla vicenda di Sharky rientrato a casa da Dublino per badare all’irascibile fratello che invecchiando è diventato pazzo, è interpretata da Conleth Hill (Ivan) e Karl Jonhson (Scharky). Pool (no water) è la novità di Mark Ravenhill scritta per Frantic Assembly e presentata presso il Lyric Hammersmith Theatre dalla coppia di registi Steven Hoggett e Scott Graham. Si tratta di una malinconica storia di invidie e gelosie vissute da un gruppo di amici (Cait Davies, Keir Charles, Leah Muller, Mark Rice – Oxley) che esplodono intorno al letto ospedaliero su cui giace in coma Sally.

La sala dello Young Vic ha ospitato un altro testo inedito per le scene, Love and Money di Dennis Kelly, emozionante storia di un amore drammatico raccontato da abili attori quali Joanna Bacon, Claudie Blakley, Kellye Bright, Grame Hawley, John Kirk, Paul Moriate. Chiude questa interessante rassegna londinese la notizia di una prima assoluta applaudita alla Royal Court, Drunk enough to say I love you? Di Caryl Churchill. Affidato alla cura del regista James Macdonald, il dramma sviluppa il tema di un’amicizia intensa ed eccessiva tra due amici, uno americano (Ty Burrell) e l’altro inglese (Stephen Dillane), che ricordano in modo ironico e molto polemico l’intesa tra Bush e Blair.

Da Londra si passa a Friburgo per illustrare il programma artistico concepito da Barbara Mundel, nuovo intendente del principale teatro cittadino che ha aperto la stagione all’insegna del comico con la performance di Thomas Mehlhorn ricavata dalla riduzione del romanzo La possibilité d’une île (La possibilità di un’isola, 2005) del canadese Michel Houellebecq, per la regia di Jarg Pataki attenta e abile nell’uso delle musiche live e di supporti video. Di qualità risulta anche la produzione successiva, Die Familie Schroffenstein, tragedia giovanile di Heinrich von Kleist. La regia compete a Sandra Strunz, che trasferisce il tema dell’odio nella nostra contemporaneità muovendo gli attori in un paesaggio desolato (Elisabeth Hoppe, Vanessa Valk, Matthias Breitenbach, Eva Spott, Helene Grass). Non manca l’attenzione al teatro danza con le performances di Joachim Schlömer, tra le quali spicca Medea ispirata ad Euripide e Heiner Müller con la presenza di Johanna Einworth nella parte del titolo.

Il testo del mese ("Das Stück") è Motortown di Simon Stephens. Rientrato da Bassora, il soldato Danny cerca di riannodare i fili della sua vita e, nel contempo, di chiudere mentalmente il capitolo con la drammatica esperienza della guerra irachena. L’impresa è votata al fallimento, come racconta lo stesso autore nell’intervista rilasciata a "Theaterheute", dalla quale emerge la sua drammatica visione del mondo contemporaneo. Il testo è stato allestito nello Schauspielhaus di Zurigo dal regista di origini irachene Samir e interpretato da Oliver Masucci nei panni del protagonista affiancato da Jennifer Mulinde–Schmidt.


Massimo Bertoldi


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