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Roger Odin

Della finzione


Milano, Vita e Pensiero, 2004, € 25,00
ISBN 88-343-0885-9
Che cosa significa "leggere" un film in quanto opera di finzione? Quali condizionamenti inducono lo spettatore ad accogliere gli elementi testuali come indicazioni per costruire un mondo e una storia e quali competenze egli dispiega in questa azione? E ancora, qual è il ruolo effettivo del testo rispetto al contesto in cui il film opera? Sono questi alcuni dei problemi che muovono la ricerca di Roger Odin, il cui intento è fornire una descrizione sistematica delle dinamiche che costituiscono la finzione cinematografica e, al tempo stesso, introdurre un conseguente metodo di analisi dei testi audiovisivi.

Della finzione è dunque molto più di un tentativo di porre delle domande e cercare di fornire delle risposte a dei problemi teorici di non facile soluzione. E’ il punto di arrivo di un originale percorso di ricerca e di analisi più che ventennale, e cioè il progetto di una teoria semiopragmatica del cinema, ovvero una spiegazione dei modi in cui lo spettatore produce il senso di un film a partire dalle indicazioni del contesto istituzionale da un lato, dei testi dall’altro.

Non solo sistemazioni teoriche, naturalmente, ma un lavoro di analisi dei testi filmici che Odin ha sempre voluto portare avanti come supporto e spiegazione delle sue speculazioni. Un lavoro, anche questo, che non si è mai solo rivolto ai film strettamente "di finzione", ma che si è aperto alle forme altre del cinema, come i documentari, i cartoni animati, i videoclip musicali e il film famigliare, fino ad arrivare al linguaggio di un altro medium, la televisione.

Della finzione non si sottrae a questa personale tradizione; il volume infatti è diviso rigorosamente in due sezioni: la prima (I processi della finzionalizzazione) che raccoglie sistematicamente gran parte dei saggi scritti da Odin in questi anni, e la seconda (Letture) in cui l’autore procede nell’analisi di alcuni testi filmici: Partie de campagne di Jean Renoir (lettura finzionalizzante), Le tempestaire di Jean Epstein (lettura performativa), Notre planète, la terre di A. P. Dufour (lettura documentarizzante) e Lettres d’amour en Somalie di Frédéric Mitterand (lettura autobiografica).

Come hanno osservato Francesco Casetti e Ruggero Eugeni nella bella presentazione dell’edizione italiana del libro, Odin si pone oltre la semiologia indicata da Christian Metz (soprattutto quello di Cinema e linguaggio): per comprendere come il film viene compreso dallo spettatore "bisogna rendere conto dei meccanismi di produzione del senso mediante un confronto tra il testo e il suo orizzonte extratestuale; lavorare sulle istanze testuali senza dimenticare che queste sono prodotte a partire da un’interazione con vincoli e dinamiche testuali". Vale a dire, cioè, che l’interrogativo centrale per la teoria rimane sempre lo stesso, comprendere la comprensione del film ma, rispetto a Metz, le coordinate del discorso si spostano: la produzione del senso dipende dalla sequenza di alcuni processi, che vengono svolti quali operazioni e compiti dello spettatore e che sono individuabili all’interno di determinati spazi socio-culturali. I processi della finzionalizzazione, cioè, cominciano dalla diegetizzazione, ovvero dalla costruzione di un mondo fittizio abitabile, a cui seguono i processi di narrativizzazione, di messa in fase e di fittizzazione. Il mondo finzionalizzante deriva quindi direttamente dalla presenza forte della marca di una struttura enunciativa.

Federica Villa
, in un intervento apparso su un recente volume curato da Paolo Bertetto (Metodologie di analisi del film), ha puntualizzato molto bene la posizione di Odin all’interno della storia della teoria: "E’ evidente che siamo di fronte a uno spettatore ancora implicato nel testo e non pienamente empirico, uno spettatore «calcolato», che prelude quello concreto, lo spettatore corpo, che troverà giusto riconoscimento tanto dalle scienze cognitive quanto dai Cultural Studies. […] Se da una parte l’attenzione sui modi di produzione di senso comporta un’apertura verso una dimensione contestuale, dall’altra questa idea di contesto non assume pienamente i contorni di storicità, cioè non scende a patti con determinazioni socio-culturali puntuali e concrete, ma resta implicata nei testi. […] E’ evidente come questa idea di contesto sia ancora fortemente legata alla nozione di situazione comunicativa. […] Questa linea di ricerca, che invita a pensare il testo nel suo costituirsi e nel suo collocarsi dentro un quadro comunicativo, passando attraverso l’analisi di fenomeni precisi quali l’utilizzo di forme deittiche o di strategie discorsive legate alla grammatica degli sguardi, cerca di rintracciare la modalità con le quali un testo prefigura e costruisce un percorso per il proprio spettatore, stipulando con lui un preciso patto comunicativo" (cit., pp. 38-40).

In Italia questa strada è stata portata avanti dallo stesso Casetti, anche nel suo ultimo libro, L’occhio del Novecento, che getta uno sguardo anche sulla prospettiva della semiopragmatica "matura" di Odin, sulla constatazione, cioè, che il senso si produce fuori dal testo. "Questo tipo di semiopragmatica però non lavora direttamente sull’esperienza dello spettatore", precisa ancora Casetti nella presentazione, "ma su un modello astratto che possa eventualmente rendere conto a posteriori delle forme esperenziali della fruizione del film. Lo spettatore di Odin resta in ogni caso una istanza implicata dal testo e dai testi affinchè essi possano funzionare in sintonia e sinergia con le frammizzazioni istituzionali – affinchè, si potrebbe dire, la produzione del senso abbia un senso".

Marco Luceri


Della finzione, copertina

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