Questo è il classico caso in cui possiamo acquistare un disco, metterlo nel lettore Cd e ascoltarlo con piacere dall'inizio alla fine. Ma chi è l'artista? I Beatles. Ma non si sono sciolti nel 1970? Certo. Ma perché ogni anno esce un loro disco che in fondo recupera materiale già edito e solo poche curiosità? E' una bella domanda. Perché da una parte l'asfittico mercato discografico preferisce promuovere artisti consolidati, dall'altra quella dei Beatles è una storia senza fine. L'attualità della loro produzione è tale che basta un tocco di classe nel confezionare il materiale per poter godere in modo diverso di canzoni già sentite. Come è stato nel 2003 con Let It Be Naked (ovvero la riedizione del loro ultimo album senza il lavoro di Phil Spector), così è nel 2006 con Love, prodotto Emi dove sono stampati anche i logos degli altri due marchi storici dei Fab Four, Parlophone e soprattutto Apple.
Love è un atto d'amore. Un lavoro nato dalla grande passione per il gruppo di Liverpool da parte del fondatore del Cirque du Soleil Guy Laliberté, che conobbe personalmente il compianto George Harrison, il Beatle morto nel 2002. L'idea di uno spettacolo in cui utilizzare musiche dei Beatles non poteva però essere realizzata senza l'aiuto forse dell'unica persona che poteva disporre del materiale, il produttore George Martin, vero e prorio quinto componente del gruppo, che con il figlio Giles e il direttore artistico del Cirque Dominic Champagne a partire dal 2003 si sono messi all'opera per realizzare un sogno. Divenuto poi realtà con un lungo lavoro di recupero di brani e pezzi di sedute di registrazione (molte già inserite nella Beatles Anthology, sei cd divisi in tre volumi e usciti tra il 1995 e il 1996) e finalmente andato in scena nel giugno 2006 a Las Vegas.
The Beatles
Non conosciamo la parte visiva, che conoscendo il valore del Cirque du Soleil immaginiamo di grande fascino, ma quella musicale non può passare inosservata. Un comune fan dei Beatles, che magari possiede tutta la produzione ufficiale, può non sentirsi attratto dalla scaletta dato che tutti i brani (tranne una sorpresa) sono stati già editi. Eppure, a differenza di One, che raccoglieva tutti le canzoni dei Beatles numero uno nelle classifiche e quindi poteva essere prescindibile dallappassionato medio, qui cè qualcosa di nuovo, che lascia senza fiato. Ed è proprio il lavoro coordinato da George Martin ad affascinare e a rendere ancora più meritoria la sua opera. Perché nonostante avesse lavorato con i Beatles nei '60, sa bene (forse anche grazie alla collaborazione con il figlio) come funziona la musica popolare nel 2000. Siamo nell'età nella manipolazione, dei suoni campionati, delle sovrapposizioni, delle contaminazioni di tutto con tutto. Basta saperlo fare bene. Come i Dj più quotati di oggi riescono ad avere un successo internazionale grazie alla loro abilità nello scegliere musiche accattivanti e a saperle accostare in modo giusto, così Martin combina il materiale sonoro in modo che tutto scorra in una lunga suite con i brani che rivivono nella loro essenza pur con dei cambiamenti sostanziali nell'atmosfera in cui sono inseriti. Qualche esempio: Octopus's Garden (di e con la voce di Ringo Starr) ha nella prima strofa l'accompagnamento orchestrale di Good Night (dall'album bianco, e anch'essa cantata da Ringo). Get Back ha come introduzione laccordo iniziale di A Hard Day's Night e la batteria di The End, in Glass Onion ci sono gli accordi d'organo di Only a Northern Song, Being for The Benefit of Mr.Kite è introdotta dal rullo di tamburi di All You Need is Love, e potremmo continuare per molte righe a descrivere i brani nascosti oltre a quelli indicati sulla copertina del disco. Ma ci sono anche due versioni minimaliste, quanto affascinanti, di due brani che in maniera diversa sono timbricamente molto ricchi, Strawberry Fields Forever e While my Guitar Gently Weeps. E la sorpresa è Gnik Nus, ovvero Sun King registrata alla rovescia, così come successe per un breve inciso di Rain che a suo tempo fu incluso nella registrazione originale.
The Beatles
Ribadiamo che il piacere di questo disco sta proprio nell'ascoltarlo dall'inizio alla fine con tutte le scelte fatte da Martin (il periodo 1967-70 è preponderante su quello 1962-66), gli innesti e i collegamenti tra un brano e l'altro che spesso disorientano l'ascoltatore abituato a concepire le vecchie scalette dei dischi. Però si esce presto dal labirinto e ci accorgiamo che c'è una strada nuova, larga abbastanza per percorrerla con la nostra memoria e i nostri sogni. D'altra parte i Beatles non sono ricordati come i Fab Four?
Michele Manzotti
|
|