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Annamaria Cascetta

La passione dell'uomo
Voci dal teatro europeo del Novecento

Roma, Edizioni Studium, 2006, euro 25,00
ISBN 88-382-3998-3
Spiritualità, antropologia cristiana e teatro hanno avuto modo, nel corso di un Novecento caratterizzato da una straordinaria sperimentazione espressiva, di incontrarsi più volte. Ma «cercare la traccia del cristianesimo nell'arte e nel teatro - scrive Annamaria Cascetta nell'Introduzione al suo libro - vuol dire primariamente cercare la traccia del Cristo»: «il teatro europeo del Novecento […] raccontando l'uomo, è riandato ripetutamente, in modo esplicito o in modo implicito, fra apoteosi e derisione, fra negazione e desiderio, al racconto originario di Cristo. I suoi personaggi sono stati assai spesso figura Christi»: in continua oscillazione fra la sofferenza cui li condanna una  umanità destinata al rifiuto e alla morte (Christus patiens) e una divinità che decreta la loro vittoria finale tanto sul dolore quanto sulla morte (Christus resurgens).

Vengono prese in esame le opere di nove autori che, obbedendo alla propria fede o istigati da un inquieto desiderio di porsi e porre domande, si sono lasciati «provocare» dal cristianesimo: alcuni da vicino (come Charles Péguy, Thomas S. Eliot, Georges Bernanos, Diego Fabbri, Giovanni Testori e Mario Luzi) e altri da lontano (come Samuel Beckett, Jerzy Grotowski e Tadeusz Kantor).

Dell’intellettuale militante Péguy (nato a Orléans nel 1873 e morto in guerra nel 1914), fondatore dei «Cahiers de la Quinzaine», viene analizzato il secondo dei suoi due testi teatrali che, incentrato come il primo sulla figura di Giovanna d'Arco, si intitola Le mystère de la charité de Jeanned'Arc (1910). Si tratta di un'opera drammatica, in prosa e in versi, che, ambientata, su una riva della Mosa, in un mattino d'estate del 1425, coinvolge tre ragazze: l'inquieta Jeanette, tormentata da domande cui non sa dare risposte che la soddisfino, la docile e allegra amica Hauviette, e la giovane monaca francescana Madame Gervaise, personaggio che, completamente inventato da Péguy, favorirà, anche in virtù di una sua ispirata rievocazione della Passione di Gesù, la graduale maturazione interiore della protagonista. Tre ragazze cui corrispondono altrettante tendenze personificate: la scelta dell'imitatio Christi, della regressione infantile e della vita contemplativa. Al centro del dramma di Péguy è dunque il travaglio di una vocazione «che immobilizza per un momento la persona prima di scatenarla nell'azione decisa una volta compiuto l'itinerario interiore e fatta emergere la scelta».

Altro personaggio che segue un percorso di imitatio Christi fino al martirio è quello di Thomas Becket in Murder in the Cathedral, sacra rappresentazione che, scritta da Eliot nel 1935, descrive gli ultimi giorni di vita (dal 2 al 29 dicembre 1170) del protagonista. Fedelissimo cancelliere del regno di Francia, una volta nominato arcivescovo di Canterbury, Becket si rende inviso al re Enrico II subordinando la sua autorità a quella papale. Tornato nella sua cattedrale, dopo un lungo esilio, viene condannato a morte per tradimento e ucciso da quattro cavalieri mandati dal re. Caratterizzata da una scansione che presenta varie analogie con l'articolazione della Messa, l'opera mostra un Thomas Becket che incarna perfettamente la figura Christi in quanto sceglie di abbandonarsi alla volontà di Dio ed in tal modo di dare un senso, spezzandola, alla vana ciclicità del tempo come viene comunemente inteso dagli esseri umani. 

Al capitolo dedicato a Murder in the Cathedral, segue quello relativo ai Dialogues des Carmélites (1948), dramma scritto da Bernanos poco prima di morire e ispirato alla vicenda delle sedici carmelitane di Compiègne ghigliottinate il 17 luglio 1794, per ordine del tribunale rivoluzionario, con l'accusa di ostinazione nella schiavitù della religione. E' un personaggio corale, in questo caso, a mettersi sulla strada dell'imitazione di Cristo: accanto alla figura inventata della novizia Blanche de la Force, figlia del Marchese de la Force, compaiono quella di M.me de Croissy, priora del Carmelo, di M.me Lidoine, nuova priora, di Mère Marie de l'Incarnation, sotto priora e della giovanissima, solare Sœur Constance. Imitare Cristo, per le monache, significa accettare il martirio con un atteggiamento giusto: non per il fascino dell'eroismo ma per obbedire a un ordine degli uomini e per redimerli dalla loro malvagità sacrificando la propria vita e abbandonandosi alla volontà di Dio.

L'attenzione del capitolo successivo si concentra sul metateatrale Processo a Gesù (1954) di Diego Fabbri: un gruppo di ebrei ha costituito una sorta di piccola compagnia di giro che viaggia per le città rappresentando nei teatri il Processo a Gesù e rimettendone le sentenze. La scena è trasformata  in un'aula di tribunale, gli attori estraggono a sorte i propri ruoli e, se ne avanza uno, come nell'occasione descritta dall'autore, viene invitato uno spettatore a interpretarlo. L'imputato non fa parte dei personaggi ma viene costantemente evocato dalla madre e anche da gente del pubblico come l'Infelice, il Provinciale, la Donnetta delle pulizie che sono «come i soggetti delle Beatitudini, coloro che meglio incarnano la struttura dell'umano» e che, perciò, per il loro rapporto personale con Gesù, possono diventare figurae Christi.    

Di Beckett, Grotowski e Kantor, cui sono riservati i tre capitoli che separano Fabbri da Testori, le opere prescelte sono soprattutto, rispettivamente, En attendant Godot (1952) vista come una sorta di riscrittura del Libro di Giobbe; Apocalypsis cum figuris (1969) e La classe morta (1975). Nella prima Vladimiro ed Estragone, in attesa di un Godot che non arriva mai e manda in sua vece un ragazzino (un messaggero-figlio) ad annunciarne il ritardo, passano il tempo raccontando episodi  della Bibbia. Il Cristo che soffre, che chiede a Dio perché l'ha abbandonato è il compagno di strada di tutti gli esseri umani semplici, che vivono alla giornata, e nello stesso tempo il loro punto di riferimento in virtù dell'intimità «in lui realizzata e promessa con Colui che non si può nemmeno nominare e che è sempre più lontano e nascosto». La seconda e la terza opera vengono esaminate «come espressione della Passione, la passione dell'uomo e la passione di un popolo [il popolo ebraico]». Nella Apocalypsis di Grotowski, opera in cui si fa esplicito omaggio a Simon Weil citando una pagina dalla sua Connaissance surnaturelle, una piccola brigata reduce da una notte di festa e di orgia decide di cimentarsi in un gioco teatrale: rappresentare l'antica storia dell'innocente che redime e della Seconda Venuta di Cristo. I ruoli sono quelli di Simon Pietro, Maria Maddalena, Giovanni, Lazzaro, Giuda e infine dell'Innocente-idiota di dostoevskijana memoria (il Simpleton, ovvero il semplice, lo scemo del villaggio, il «folle di Dio», potente figura Christi) che alla fine viene cacciato dal gruppo.

Quanto alla seduta drammatica La classe morta, non è altro che una riflessione sulla morte: l'essere umano, per il fatto di aver escluso tale riflessione dalla propria esistenza, ha provocato la morte tanto da indurla a vendicarsi «contaminando di sé la vita attraverso la diffusa sensazione del non senso, dell'assurdo». E' una morte non intesa naturalmente come riappropriazione dell'Essere ma come «tentazione nichilistica, come scacco, vertigine del nulla» che schiaccia gli esseri umani, li travolge, li polverizza: Cristo ha promesso un suo superamento. E se La classe morta si conclude su uno scenario dominato dal non senso e dal non scopo, un barlume di speranza sembra illuminare il finale della successiva opera di Kantor, Wielopole-Wielopole.

Gli ultimi due capitoli del volume sono tenuti in serbo per Testori e Luzi, due scrittori ancora una volta attratti soprattutto dall'umanità del Christus patiens: del primo interessano in modo particolare i Tre lai - ovvero i lamenti funebri di Cleopatra per Antonio, di Erodiade per Giovanni Battista e di Maria per suo figlio - e del secondo le meditazioni poetiche scritte, su commissione di  Giovanni Paolo II, per le stazioni della Via Crucis celebrata al Colosseo il Venerdì Santo del 1999. Meditazioni dette fuori campo, in quell'occasione, dall'attore Sandro Lombardi.

Malgrado colpisca il fatto che non citi neppure alcuni autori la cui opera ha spesso gravitato intorno alla figura del Christus patiens, come per esempio Pasolini, la Cascetta ha diretto con maestrìa una operazione che, considerata la problematicità dell'argomento, si prospettava molto delicata: facendo seguire alla puntuale analisi delle varie opere una sintesi che le inquadra nella cornice della tesi stabilita, l'autrice riesce a dimostrare, dopo averlo individuato chiaramente, qual è uno dei principali motivi conduttori che attraversa parte della drammaturgia più significativa di tutto il XIX secolo. Chiudono i primi otto capitoli altrettanti paragrafi relativi alla fortuna scenica di ogni testo. Completa il volume un interessante apparato iconografico.
Giulia Tellini


copertina

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