In un periodo di ricorrenze rosselliniane che sembra paradossalmente trascorrere tra mito e oblio, tra clamori mediatici e inattesi silenzi il bel volume che Elena Dagrada ha dedicato ai film con Ingrid Bergman di Roberto Rossellini (Le varianti trasparenti. I film con Ingrid Bergman di Roberto Rossellini, LED, Milano 2005) assume un significato del tutto particolare, acquistando i tratti di un testo necessario. Lautrice, in un percorso originale, felicemente in bilico tra rigore e passione, analizza e confronta i film della coppia, mettendone a fuoco i caratteri peculiari, allacciando e sciogliendo i fili sottili che danno a questo corpus (Stromboli, Europa 51, Viaggio in Italia, Ingrid Bergman, Giovanna dArco al rogo e La paura) la complessità e la saldezza, se così si può dire, frammentata di un polittico.
Figure in forma di narrazione, i film del polittico raccontano molte storie: quella della diva nordica respinta come un corpo estraneo troppo alta, troppo bionda, troppo bella da questo cinema del sud, così basso, vocato alla terra; quella dellautore europeo e dellirriducibilità del suo cinema e del suo metodo ai canoni del cinema medio, della buona scrittura di matrice hollywoodiana; e quella del loro incontro, dellincontro di due estraneità.
Le varianti trasparenti ricostruisce la vicenda professionale e intima della coppia Bergman / Rossellini, coppia dello scandalo nellItalia beghina e perbenista del dopoguerra, una storia che è insieme notissima e misconosciuta. Dagrada ordisce un itinerario filologicamente impeccabile che si snoda attraverso una fitta rete di testimonianze, lettere e documenti spesso inediti, e sempre indagati da uno sguardo nuovo, capace di cogliere echi e richiami segreti, rime sorde e sotterranee tra cinema e vita, tra sperimentazione e autobiografia.
La parabola di Ingrid Bergman in Italia, la sua estraneità e radicale differenza, è leggibile nel volto e nel corpo dellattrice, che sembra di film in film (e di figlio in figlio) trasformarsi, perdere i tratti della diva, diventare finanche goffa, a disagio perché fuori posto, fuori fuoco. Quanto è lontana lalgida e quasi statuaria saldezza di Spellbound e Casablanca dalla mobile trascuratezza di Ingrid Bergman, episodio di Siamo donne, dove Ingrid è tiranneggiata non solo dalla temibile vicina di casa, signora Annovazzi, e dal suo pollo, ma anche dalla macchina da presa di Rossellini, così distante dai tagli hollywoodani, così solerte nel sottolineare linadeguatezza, linevitabile esclusione dellattrice da questa pratica del cinema. Dagrada osserva come la cinepresa rosselliniana insista con una sorta di cattiveria, quasi una vendetta in forma di sguardo, sul corpo di Bergman, sui capelli scarmigliati, sulla camicetta di taglio dozzinale, sulla goffaggine dellaccento. Attraverso il corpo della diva, sul quale esercita unironia che rasenta la malevolenza, Rossellini sembra volersi vendicare di quel cinema mainstream che lo tiene ai margini, del suo non essere compreso dal pubblico e dalla critica: occhio per occhio, esclusione per esclusione. Lanalisi di Dagrada consente di seguire questo legame, guardando con non celata simpatia (e femminile solidarietà) Ingrid Bergman, che si getta con passione nel cinema del sud che pure la respinge, accettando le consuetudini del metodo rosselliniano, lalea del non scritto, la scommessa della recitazione istintiva. Improvvisare da idee solide: la teoria e la pratica del cinema secondo Rossellini è agli antipodi della rassicurante professionalità di matrice hollywoodiana. Eppure Ingrid accetta la scommessa e si mette in gioco, come mostrano i film del polittico: la macchina da presa del marito la segue in un cammino che è propriamente di passione, un percorso quasi doloroso, che prova limpossibilità di conciliare due idee di cinema luna allaltra straniera. Il caso di Stromboli il primo film della coppia, prodotto dalla RKO - con le sue varianti dautore e apocrife (ne esistono almeno tre versioni) mostra questa tenace estraneità. La riflessione proposta da Dagrada confrontando le diverse copie mette in rilievo da un lato la palmare alterità di Ingrid, ancora bellissima nel campo di prigionia, vestita di stracci, splendente e chiara nelle tetraggini vulcaniche dellisola; dallaltro lato non può che constatare linconciliabilità di Rossellini con il canone hollywoodiano, con la rigida scorrevolezza del découpage. Dagrada, analizzando puntualmente la versione rivista e corretta dalla Major e mettendola in parallelo con le altre, individua con acume i criteri adottati dagli americani, i tentativi di spezzare le lunghe riprese rosselliniane, di interpolarle con primi piani ed inserti girati ad hoc per ottenere leffetto della continuità e dellalternanza. è la sindrome di Griffith, afferma lautrice, lirresistibile tendenza a segmentare, ad introdurre raccordi esplicativi o patemici, chiose che vogliono spiegare tutto. Alla RKO si prova a trasformare Stromboli in puro melodramma, contando sulla struttura forte del genere per incanalare il senso del racconto, altrimenti sfilacciato, ambiguo, incompiuto. Ma non si può correggere Rossellini, non è possibile ricondurre il cinema degli uomini drappeggiati nei rigidi panni del découpage. La sfuggevolezza del linguaggio rosselliniano permane, e Stromboli nella sua sostanza più profonda resta unopera irredimibile, non modificabile, conclude Dagrada.
Questo primo film, al pari degli altri del polittico, racconta, ben oltre il primo livello di lettura, storie di relazioni impossibili: tra la straniera e luomo del sud, tra il cinema della scuola italiana della Liberazione e il sistema hollywoodiano, tra la chiarezza dellimmagine e lambiguità della realtà. Ma se questo cinema rifugge la forma melodrammatica, con le sue convenzioni e rigidità, il mélo si insinua nella vita reale dei coniugi Rossellini, mescolando ancora una volta bazinianamente amalgamando realtà e finzione. Le varianti trasparenti evidenzia infatti la componente autobiografica riscontrabile nei film del polittico, osservando come, nelle storie di incomunicabilità e nellesperienza dellesclusione, si rifletta la vicenda privata della coppia. In un certo senso, proseguendo nella direzione indicata da Dagrada, si può dire che per Rossellini Ingrid è come Isotta dalle bianche mani, è laltro da sé, è doppiamente, intimamente, straniera poiché proviene da un mondo e da un cinema estraneo, lontanissimo. E, come scriveva Denis de Rougemont, non si può sposare Isotta: Ingrid, la straniera venuta dal paese dei sogni, è destinata a rimanere irraggiungibile, separata pur nella vicinanza, inconoscibile e misteriosa, esclusa. Infine, il lavoro di Elena Dagrada somiglia anchesso a Isotta: suscita domande e desideri di percorsi ulteriori, di andare oltre, di continuare a cercare.
Lucia Cardone
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