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Bernard-Marie Koltès

Da Sallinger a Roberto Zucco
con l’aggiunta di Le amarezze e L’eredità
A cura di Franco Quadri

Milano, Ubulibri, 2005, pp. 167, € 22,00
ISBN 88-774-8217-6
Nel 1991 Ubulibri raccoglieva in un libro, Il ritorno al deserto e altri testi, le opere teatrali di Bernard-Marie Koltès scritte negli anni Ottanta e premiate dal riconoscimento internazionale anche a seguito del sodalizio con Patrice Chéreau che curò le regie. Si tratta di Combat de négre et de chiens (Scontro di negro contro cani), Quai Ouest, Dans la solitude de champs de coton (La solitudine dei campi di cotone) e Le retour au désert (Il ritorno al deserto). Intanto lo scrittore era morto nel 1989, quarantaduenne, colpito dall’AIDS. La stessa casa editrice milanese completa la conoscenza della drammaturgia di Koltès, spesso affrontata dalla scena italiana, proponendo un prezioso volume affidato alla cura di Franco Quadri, Da Sallinger a Roberto Zucco con l’aggiunta di Le amarezze e L’eredità.

In apertura si legge Sallinger, opera commissionata da parte di Bruno Boëglin che la mise in scena con grande difficoltà al Théâtre de l’El Dorado nel 1977, dove restò in programma per circa un mese senza attirare l’attenzione del pubblico. Pubblicato solo nel 1995 a Parigi da Minuit, il dramma è ispirato alle novelle dello scrittore americano Jerome David Salinger ed è ambientato nella New York conosciuta di persona durante il breve soggiorno del 1968. Sostenuta da un linguaggio pulsante e ironico, malinconicamente poetico e provocatoriamente osceno, la pièce affronta il tema del declino del modello di vita americano radiografando il crollo di una famiglia, colta nel momento di turbamento per la scomparsa di Rosso, così soprannominato per il colore dei capelli e morto suicida in segno di protesta.

Il gesto estremo è stato compiuto "la sera prima" dell’apertura del sipario. Tuttavia il giovane defunto, come uno spettro, appare di continuo, rimbalza tra la vita e la morte, tra realismo e humour inquietante, con atteggiamenti e parole di odio e passione, in una dimensione ora reale ora irreale del tempo e dello spazio. I personaggi appaiono moralmente turbati, frammenti di esistenze sofferte ai quali la società americana ha trasmesso valori di crudeltà e di aggressività. Mentre all’orizzonte di intravedono le giungle del Vietnam e aleggia il ricordo della Corea (oggi si direbbe Afganistan o Irak), lo sguardo vicino si perde nel buio e nella notte attraversata dal volo di uccelli tenebrosi sul cielo di un mondo privo di valori morali, malato di febbre di consumismo e di potere. Anna, sorella del Rosso e "sull’orlo di una crisi di nervi", esprime tutta la sua drammatica modernità quando afferma che l’uomo è portato a "se déguiser pour tenter de plaire", a perdere la propria identità per omologarsi alla società e condividere i suoi modelli.

Nel suo ultimo anno di vita, Koltès, benché soffrisse in maniera atroce e fosse costretto alla sedia a rotelle, scrisse Roberto Zucco che venne pubblicato postumo e presentato prima in lingua tedesca alla Schaubühne di Berlino il 12 aprile 1990 da Peter Stein, con gli attori Max Tidof e Dorte Lyssewski, poi in versione fonica, nel giugno dello stesso anno, da France-Culture nella rielaborazione di Catherine Lemire. L’opera maturò in modo del tutto casuale: un giorno Koltès vide sulle pareti della metropolitana di Parigi il volto di un giovane parricida e pluriomicida, Roberto Succo, di origini italiane, che era fuggito durante una licenza universitaria dal manicomio criminale in cui era recluso ed era ricomparso in Francia compiendo efferate atrocità. Catturato dalla Polizia del Veneto, era poi riuscito ad evadere di nuovo prima di finire definitivamente in carcere e suicidarsi qualche giorno dopo in ospedale all’età di ventisei anni.

Tra i due intercorre un elemento comune: entrambi molto giovani, condividono l’attesa della morte imminente. Per Koltès, Roberto Zucco (con la S iniziale del cognome dovuta forse per errore di trascrizione) diventa l’antieroe puro e semplice, il manifesto di onirica follia che abolisce qualsiasi rapporto e tabù umano. Nella rielaborazione drammaturgica del fatto di cronaca il protagonista si deve liberare di coloro che lo amano al punto da impedirgli di avanzare verso il sole. Sorta di Icaro moderno alla ricerca dell’ignoto impossibile, come un malato inguaribile, Zucco coniuga la vita nella morte e viceversa sospinto dall’inquietante ansia di voler superare sempre nuove frontiere. Il linguaggio del dramma è freddo ed essenziale, assai poco letterario, i dialoghi tracciano brevi scene, quasi brandelli di un discorso interrotto dalla furia esistenziale.

Impreziosisce la qualità del volume della casa editrice milanese la pubblicazione di due pièces scritte agli inizi della carriera. Reduce da un viaggio negli Stati Uniti e in Canada, Koltès soggiornò per qualche mese a Parigi, poi si trasferì a Strasburgo. Qui alcuni amici gli organizzarono una serata teatrale. Per il ventenne Bernard-Marie era la prima volta che assisteva ad uno spettacolo e la visione di Maria Casarès nella magistrale interpretazione di Medea di Euripide lo sconvolse a tal punto da decidere quella sera stessa di scrivere per il teatro nella segreta speranza di consegnare le sue opere all’abilità di quella prestigiosa attrice. Il rapporto artistico si materializzò nel 1972 quando la Casarès interpretò Les amertumes (Le amarezze), dopo che l’opera era stata presentata in prima assoluta a Strasburgo con la regia dello stesso autore anche interprete della parte di Alexis. Il testo, presente nella raccolta Ubulibri, è la trascrizione teatrale del romanzo autobiografico Infanzia di Maxim Gorkij.

L’hèritage (L’eredità) è praticamente la prima vera opera teatrale di Koltès, che fu diffusa nel 1972 da Radio-France/Alsace in un allestimento di Jacques Taroni e successivamente trasferita sul palcoscenico a Gap nel 1977 nel Théâtre La Passerelle con la regia di Catherine Marnas. Imbevuto di richiami autobiografici, il dramma crea suggestioni visionarie e oniriche derivate da Maeterlinck in un tessuto narrativo segnato da impulsi di morte, ribellioni, violenze, aneliti di libertà. Pahiquial, il giovane protagonista, al momento della morte del padre rimane in bilico tra il desiderio d’amore e la paura d’amore, tra sottomissione e insurrezione. Nel corso della vicenda gli uomini si cercano e si respingono secondo quel principio di fuga liberatrice che diventerà la tematica dominante nella poetica e nella drammatica esistenza di Bernard-Marie Koltès.
Massimo Bertoldi


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