Il castello di Elsinore
anno XVIII, 52, 2005, euro 18,00
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Denso e eterogeneo questo numero de «Il castello di Elsinore» presenta tre ampi interventi sui temi della quête, della gnosi e della metafisica condotti sullanalisi dellopera di tre artisti appartenenti a epoche e temperie culturali diverse.
Il saggio di apertura propone uno studio di Elena Randi sulla Caterina di Heilbronn scritta da Heinrich von Kleist nel 1807 e messa in scena per la prima volta nel 1810 e pone in relazione il dramma con il contemporaneo saggio-racconto dellautore tedesco, Sul teatro di marionette, datato anchesso 1810. Lautrice individua nella protagonista i tratti della «Marionetta divina» e legge il testo portando alla luce gli elementi orfici e neoplatonici che ne costituiscono il sostrato.
La presenza di marionette, attori e burattini diviene diretta e esplicita nellanalisi di Siepe a nordovest (1919) di Massimo Bontempelli condotta nellintenso e lineare saggio di Cristina Grazioli che indaga la natura di tali presenze in un testo che, per la sua struttura a incastro e la natura metateatrale, mostra forti punti di contatto con Zum Grossen Wurstel (Al gran teatro dei burattini) composto da Arthur Schnitzler nel 1901. La valutazione dei rapporti e delle relazioni intercorsi tra lo scrittore e Giorgio De Chirico che, nel 1922, illustrò una nuova edizione della «farsa in prosa e in musica» di Bontempelli induce quindi lautrice a sviluppare alcune considerazioni sul manichino come «variante metafisica della marionetta».
Lo scritto di Antonio Attisani chiude la sezione saggi della rivista cercando di individuare le tracce di un individuale e originale percorso gnostico compiuto da Grotowski allinterno del suo lavoro di ricerca teatrale. Lindagine critica di Attisani è preceduta da una lunga e articolata premessa che denuncia come il regista polacco, figura fondamentale del teatro contemporaneo, pur essendo oggetto di una nutrita e vasta bibliografia, manchi a tuttoggi di studi approfonditi in grado di restituire in modo completo e consuntivo la natura del suo operato.
Completano il numero una conversazione tra Eugenio Barba e Ruggero Bianchi e un saggio di Antonello Motta che studia alcuni allestimenti di Ingmar Bergman (Re Lear, Peer Gynt, Spettri) inserendoli nel più ampio contesto della sua intera produzione e dedicando particolare attenzione al ritratto dartista come figura contrapposta ai detentori del potere sociale.
Francesca Simoncini
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