drammaturgia.it
Home | Cinema | Teatro | Opera e concerti | Danza | Mostre | Varia | Televisioni | Libri | Riviste
Punto sul vivo | Segnal@zioni | Saggi | Profili-interviste | Link | Contatti

cerca in vai


Segnocinema
Rivista cinematografica bimestrale

Anno XXVI, 2006, n. 137, Gennaio - Febbraio 2006, € 6,00
ISSN 0393 - 3865

Il numero 137 di "Segnocinema" si apre con la prima parte di un saggio, firmato da Paolo Cherchi Usai, dedicato alle riprese del nuovo film di Rolf de Heer (il regista di Bad Boy Buddy, The tracker e Alexandra’s Project), il primo lungometraggio interamente realizzato in lingua aborigena. Cherchi Usai firma una sorta di diario di bordo di questa "missione impossibile", a cui però sarebbe più opportuno riservare maggiore attenzione in seguito, quando ne verrà pubblicata la seconda parte, nel prossimo numero della rivista.

Il secondo saggio, Scene di lotta a Parigi, di Andra Bellavita, offre un interessante punto di vista sul confronto tra The Dreamers(2003) di Bernardo Bertolucci e Les aamants réguliers (2005) di Philippe Garrel, due film che hanno fatto molto discutere e che hanno segnato profondamente le rispettive stagioni cinematografiche. Pur nelle affinità tematiche (si tratta dello stesso brano di storia, il maggio del ’68 parigino, la stessa fase della vita, l’adolescenza, e viene sfruttato in entrambi i casi il corpo di Louis Garrel), i film sembrano differenziarsi dialetticamente proprio dal punto di vista di una contrapposta sensibilità autoriale: «La contrapposizione tra la strada, in cui si gioca la storia (e la posizione etica), e una grande maison borghese, in cui si segue la vita personale, l’arte, il sogno (e la dimensione estetica); la contrapposizione tra la massa (poco compresa, ridicolizzata) e l’individuo (centrale, combinato in forma di due, massimo tre unità); l’adolescenza come luogo d’incompiutezza tra la dimensione infantile (di cui permane l’eccitazione del gioco) e quella adulta (esclusivamente proiettiva, sempre assente e fuori campo, se non nella forma del dileggio» (Bellavita, p. 9). In effetti, se il film di Bertolucci tende ad annullare il confine tra Arte e Storia, tra Cinema e Politica (a favore del primo), nelle incertezze sognanti di tre adolescenze impacciate e inconcludenti, ma desiderose di scoprire la vita (e dunque la realtà) attraverso la lente deformante del cinema vissuto, il film di Garrel sembra porre, nel tragico finale, una netta distinzione; proprio perché Les amants réguliers inizia dove The dreamers finisce, allora «quello che la rivoluzione lascia sull’arte è quel senso di disincanto e disillusione, di accidia, di bianco e nero, o meglio, di grisaille. E’ questo in Garrel, il grande scacco alla Rivoluzione, il suo grande "tradimento": aver costretto l’artista a fare i conti con la sua posizione di marginale […]. Ecco perché Les amants réguliers non è un film sul ’68, ma semplicemente un film sul cinema» (Bellavita, p. 11).

La rubrica Segnospeciale propone la seconda parte dello speciale che la redazione ha dedicato ai cinquant’anni della Nouvelle Vague, Realtà e mito di una rivoluzione al cinema. Se sulla prima parte, uscita nel numero precedente ("Segnocinema", n. 136), avevamo avanzato delle riserve in merito alla coerenza e alla pretestuosità di alcune posizioni espresse, questa ripresa della discussione sembra essere molto più articolata, esaustiva e stimolante della precedente.

Innanzitutto va dato merito a Bandirali e Terrone di aver aperto lo speciale con una lunga intervista a un grande protagonista di quella stagione, Claude Chabrol. Dalle parole dello stesso regista francese viene accantonata le "vecchia" idea che i giovani autori non avessero poi niente in comune, tranne naturalmente la formazione critica baziniana esercita ai Cahiers e la solidarietà comune tra amici esordienti. «Dopo tutto, – ammette Chabrol – adesso, credo possibile quello che allora non credevamo affatto. Alla fine ci sono molti più punti in comune di quanto allora non sembrasse» (p. 14). La predilezione per le riprese in esterni, le scenografie naturali, la registrazione del suono diretto, la fotografia in bianco e nero con luce vivida, l’uso dei movimenti di macchina sono tutti tratti stilistici e poetici comuni agli enfants terribles del cinema francese e a distanza di un cinquantennio sembrano restituire lo spirito unico di un’avventura collettiva.

Il secondo saggio, Citazioni ed eccitazioni, di Roy Menarini, propone una breve, ma precisa analisi sui motivi cha hanno portato i registi della Nouvelle Vague a infarcire i loro film di citazioni e allusioni ai classici del cinema che, da critici, avevano amato. Questo perché, attraverso il trucco della citazione il cinema diventa un discorso prima su se stesso: «In pratica i registi della Nouvelle Vague ci stanno dicendo che il cinema è parte della vita, che attraverso il cinema si fonde una socialità e una forma di civiltà […] e che questa civiltà assume nella condivisione del cinema per cui si parteggia caratteristiche di stampo antropologico e tribale» (Menarini, p. 18).

In Onda su onda Bandirali ripercorre i rapporti e le influenze che la Nouvelle Vague ha esercitato nelle coeve cinematografie nazionali, europee ed extraeuropee tra gli inizi degli anni Sessanta fino ad oggi, ravvisando nel cinema italiano un imperituro senso di (auto)conservazione, mentre Nell’Italia degli zoom e dei flashback Pezzotta riaffronta il problema del perché una Nouvelle Vague italiana non è esistita, a fronte degli esordi, nei primi anni Sessanta, di importanti registi come Pasolini, Bertolucci, Bellocchio ecc.: l’eredità del Neorealismo (una sorta di gigantesca Nouvelle Vague ante litteram tutta italiana) era ancora all’epoca troppo pesante…

Nel saggio La messinscena degli autori Terrone ritorna ai temi affrontati nella prima parte dello speciale, in gran parte dedicato all’importanza della rivoluzione critica, ancor prima di quella cinematografica, di cui furono protagonisti "i giovani turchi" dei Cahiers. Un tributo che la critica di oggi non può non ravvisare: «Basta con le disanime, i dubbi, la dialettica! Quanto sono patetici i critici che si ostinano a prendere appunti durante la visione: che cosa se ne faranno mai? Perché ostinarsi a riflettere, dibattere, dirimere, quando è così bello amare?» (Terrone, p. 24). Per dirla con le parole di Rivette, «la dialettica è una ragazza che va a letto con il primo venuto del pensiero filosofico, e si offre a tutti i sofismi; e i dialettici poi sono delle canaglie» ("CdC", n. 46, 1955). In sostanza si tratta di un’affermazione forte di quella politique des auteurs che da allora influenzerà sempre più la critica cinematografica, e non solo francese. Se da un lato ciò contribuì, all’inizio degli anni Sessanta, a svecchiare i modelli critici allora imperanti (spesso intrisi di superficialità e dogmatismo), dall’altro però (e questo Terrone lo evidenzia per bene) produsse delle evidenti storture, in riferimento all’assioma "discorso cinematografico = messa in scena": «Da ipotesi metodologica la messa in scena diviene presto una sorta di formula magica […] capace di assicurare il valore di un film nell’assoluto diniego di qualsiasi argomento critico» (Terrone, p. 25).

Chiudono lo speciale una preziosissima intervista realizzata da Gabrielle Lucantonio ad André Sylvain Labarthe, il critico e regista d’oltralpe che fu per primo, nel 1960, a scrivere un libro sulla Nouvelle Vague, e la "irriverente" mini-rubrica su film e autori Col senno di poi (parte 2).

Marco Luceri


Segnocinema 137

cast indice del volume


 



 
Firenze University Press
tel. (+39) 055 2757700 - fax (+39) 055 2757712
Via Cittadella 7 - 50144 Firenze

web:  http://www.fupress.com
email:info@fupress.com
© Firenze University Press 2013