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Bianco e nero
Rivista quadrimestrale del centro sperimentale di cinematografia

Anno LXV, n. 3 (fascicolo n. 550/551), settembre-dicembre 2004/gennaio-aprile 2005
Il doppio fascicolo 550/551 di «Bianco e Nero» presenta un ampio dossier, curato da Luca Mazzei e Leonardo Quaresima, dedicato «alle microteorie del cinema muto italiano». Micro, dal greco mikròs, primo elemento di composti, significa piccolo, ma ha finito per indicare più spesso 'visibile solo al microscopio'. Come nella biologia vi sono elementi piccoli che non possono essere trascurati, lo dimostra la presenza dei temibili microrganismi, così nella storia del cinema troviamo alcuni contributi, visibili solo attraverso l'adozione, se non di un microscopio, di buone lenti e acuta capacità di osservazione, che, «prima di altri, hanno offerto originali strumenti alla comprensione del fenomeno cinematografico o proposto, se non nel clamore, certamente con evidenza e limpidezza espositiva, idee anticipatrici». Sotto la lente di un nuovo metodo di ricerca storiografica, consapevole del valore del documento, della sua importanza e allo stesso tempo della sua relatività, assistiamo all'esposizione di una serie nutrita di testi, in alcuni casi trascurati o semplicemente sottovalutati dalla critica e dagli storici.

I contributi, che percorrono il periodo del cinema muto italiano dal 1908 al 1928 secondo un ordine non strettamente cronologico, dimostrano, nella loro asistematicità, caratteristica tutta italiana, il livello di elaborazione concettuale di cui era stato oggetto il cinematografo nei primi anni Dieci e Venti del Novecento. Il volume di «Bianco e Nero» pubblicando questi testi in edizione integrale recupera e riporta alla visibilità discorsi e pensieri bloccati e oscurati sotto il peso di opinioni affermatesi come le sole verità, pubblicazioni che per il loro carattere minore sono rimaste fuori dalla rete di citazioni e sulle quali il pensiero contemporaneo ritrova stimoli non ancora scoperti e discussi, studi in molti casi sconosciuti o dei quali in alcuni casi si aveva solo una vaga idea.

Molteplicità e varietà sono le due caratteristiche fondamentali sulle quali Mazzei e Quaresima dispongono questa lunga carrellata di scritti, commentati e presentati da autorevoli studiosi di storia del cinema. Ed emergono chiarissimi elementi, forme insolite e originali rispetto al panorama che si credeva conoscere.

Il primo saggio riportato è una celebre microteoria, quella di Emmanuele Toddi, che esplora uno degli elementi su cui sembra fondarsi il cinema: quel suo essere imitazione imperfetta dell'occhio, che non riesce a restituire il campo aperto della visione oculare, nel cinema ristretto e stabilito in un rettangolo 25x19. «Nessuna pupilla, anche nel mondo filmico, ha potuto essere rettangolare, nessuna è 25x19 o di dimensioni proporzionali a queste: tutti gli occhi [...] hanno visione rotonda, soltanto rotonda». Toddi si sofferma sulla verità lapalissiana della sola presunta corrispondenza fra congegno ottico e cinematografico: «Imitato, così, quanto più perfettamente possibile, l'occhio umano nella macchina da presa, vi si introdusse, improvvisamente, un elemento eterogeneo: la sagomazione rettangolare del fotogramma: venticinque millimetri per diciannove».

Un intervento abile, leggero, mosso da profonda ironia, che sembra richiamare gli esperimenti di Ejzenštejn durante gli anni Trenta sulla modificazione del formato. Un saggio capace di offrire - come afferma Mazzei nelle pagine che lo precedono - una soluzione di mezzo fra sapere umanistico e scientifico.

Non stupisce che molte delle microteorie presentate siano in molti casi il frutto di relazioni scientifiche anche se letterariamente ispirate. Il sapere umanistico si sarebbe presto impossessato della cultura cinematografica e tali interventi non avrebbero avuto più spazio. L'ex studente di ingegneria Enrico Thovez, il fisiologo Giuseppe D'Abundo, la complessa figura di Emmanuele Toddi, offrono punti di vista sul cinema che partono dall'adozione di una cultura positivista che nei primi anni del Novecento era filtrata da ricerche «nel campo dello spiritismo e delle latenti potenzialità psichiche dell'uomo» (Mazzei).

Anche la microteoria successiva, quella di Thovez, presenta notevoli motivi di interesse come sottolinea nella sua introduzione Casetti: in particolare l'importanza che deve essere attribuita alla dimensione popolare del cinema, al suo successo, che ne caratterizza la natura e che per Thovez è elemento disconosciuto, sottovalutato dai filosofi. Thovez già nel 1908 indicava, con grande intuito e capacità profetica, il cinematografo come «la cosa o l'idea chiamata a conferire il proprio nome al secolo morituro»; infatti, «se a dare il nome ad un periodo di tempo è chiamata la creatura o l'idea che maggiore influenza ebbe sugli spiriti, che più profondamente dominò l'esistenza umana, si può anticipare fin d'ora il giudizio: il secolo attuale [...] sarà semplicemente il secolo del Cinematografo».

Ogni intervento si presenta come un tassello di un mosaico ancora da completare, con elementi e spunti che varrebbero una trattazione completa. Fra i numerosi saggi si sottolinea quello sullo spettatore popolare di Furio Lopez, in cui emerge, come afferma Orio Caldiron nel commento, l'esigenza di «dare un volto allo spettatore invisibile del cinema dell'epoca». Accanto ai novatori delle arti, di cui i futuristi rappresentavano il modello, Lopez individua nel cinematografo la vera nuova arte popolare, tracciando un collegamento con la commedia all'improvviso, di cui il cinema condividerebbe lo stesso tipo di pubblico e modalità di ricezione. Il cinematografo è come «la nostra comicamente gloriosa commedia dell'arte, di cui pochi e poveri sono i nomi degli artisti, e celebri, le compagnie che ne recitavano gli scenarii», e l'artista cinematografico è «lo scrittore del popolo».

Ezio Godoli, per la sezione Figure, sottolinea la vitalità dell'illustrazione italiana durante gli anni della prima guerra mondiale, come risulta evidente nelle riviste di cinema dell'epoca. La rivista In Penombra (1918-1919), fra le altre, diede un contributo originale alla stagione sperimentale che stava allora attraversando l'illustrazione italiana, grazie soprattutto alla scelta di affidare la firma delle copertine al «multiforme talento di Sto», Sergio Tofano, attore di teatro e di cinema, scenografo, costumista, disegnatore di moda, creatore sul Corriere dei Piccoli del celebre personaggio Signor Bonaventura. In questo caso i documenti iconografici che accompagnano l'articolo sono stati risparmiati dai soliti interventi grafici che caratterizzano la veste editoriale di Bianco e Nero, e le immagini risultano "semplicemente" virate in verde.


 

Riccardo Castellacci


Copertina

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