Una monografia per ricostruire la straordinaria carriera artistica di Monica Vitti: il primo volume della neonata collana dedicata agli attori diretta da Antonio Costa per la casa editrice LEpos presenta unarticolata trattazione, numerose interviste e una voluminosa appendice di apparati (iconografia, filmografia, teatrografia, programmi televisivi, premi, recensioni ai film, indice ragionato dei nomi e bibliografia). Lautrice, Cristina Borsatti, riannoda pazientemente le fila del lungo percorso professionale dellattrice non lasciandosi intimidire dal suo temperamento eclettico. Nel volume una dopo laltra si snodano le varie stagioni della Vitti, dal cinema di Antonioni alla rivelazione del talento comico, dai numerosi sodalizi artistici stretti nella maturità con registi internazionali come Losey e Buñuel e con il partner ideale, Alberto Sordi, fino al tardivo debutto letterario con i due romanzi scritti negli anni Novanta, Sette sottane e Il letto è una rosa.
Con il pudore dovuto alloggetto dellindagine - unattrice restia a farsi monumentalizzare eppure ancora vigile e attenta nellamministrare la propria immagine - Cristina Borsatti indica proprio nei due romanzi scritti dalla Vitti, almeno in un caso con dichiarato intento autobiografico, la pista da battere per comprendere le zone grigie del personaggio, le sue imprendibili contraddizioni così fertili per il percorso artistico. Rispettando la riservatezza della Vitti l'autrice si ferma su quella soglia, limitando al minimo i riferimenti biografici e concentrandosi invece sulle tappe della parabola artistica.
Alcuni coni dombra continuano a oscurare la grandezza di Monica Vitti. Pesa soprattutto la posizione espressa dallattrice in merito al sodalizio con Antonioni: «quanto Antonioni deve a me non lo so: non me lo sono mai chiesto e non desidero saperlo». Quando la caratterizzazione femminile da lei reinventata con Sordi, lamante gelosa sfiancata di botte sulla spiaggia, emerge nel suo fulgore, finisce per respingere i personaggi antonioniani al limite del quadro, in una zona oscura e minacciosa accuratamente rimossa: il silenzio è rotto dagli strepiti rochi e un antico fantasma di donna, licona femminile del tormento, cede il passo alla soubrette piena di verve e fascino. Anche se le due immagini si respingono la loro compresenza è essenziale per definire il ruolo di Monica Vitti nel cinema italiano degli anni sessanta e settanta. Ed è stato Monicelli a valorizzare le potenzialità ancora inespresse dellinterprete, per la verità già scoperte a teatro dal maestro della Vitti, Sergio Tofano: «vedevo che lei», dice Monicelli alla Borsatti, «nonostante facesse dei film con Antonioni, interpretasse personaggi – come dire – da film muto, personaggi misteriosi, daltri tempi, nella vita invece era vivace, divertente, piena dumorismo. Era allegra e losservavo». La seconda Vitti eclisserà di fatto la prima.
Ma la modernità di Monica Vitti non si comprende se non si pongono continuamente le due facce a confronto per osservare dove la Claudia de Lavventura lasci trapelare Mimì Tirabusciò e viceversa. La contaminazione, a dire il vero, è lieve quanto ardita, e fa di Monica Vitti uninterprete straordinaria non solo per la sua versatilità. È una pista che vale la pena non trascurare mettere continuamente a confronto il personaggio antonioniano a cui fanno male i capelli con quello i cui capelli vengono violentemente strapazzati dallamante geloso e manesco di turno. Ne scaturisce unimmagine di strabiliante originalità: una donna tormentata, in crisi, che sa ridere dei propri malesseri e fa ridere amaramente come alle donne belle fino a quel momento non era consentito di fare. Gli anni sessanta e settanta del cinema italiano sono illuminati dalla luce dei suoi capelli scomposti.
Cristina Jandelli
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