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Segnocinema
Rivista Cinematografica Bimestrale

Marzo - Aprile 2005, a. XXV, n. 132 € 6,00
Il «Segno cinema» di questo numero presenta un approfondimento tematico, Retorica del capolavoro assoluto, intelligente, ironico, interessante: uno speciale capolavoro dedicato alla memoria di un grande critico e studioso di cinema, Fernaldo Di Giammetteo, scomparso il 30 gennaio 2005, il cui ultimo libro, firmato con Cristina Bragaglia si intitola, appunto, Dizionario dei capolavori del cinema.

Parlando di cinema il termine è spesso abusato: in qualunque situazione, ambiente, contesto, fra critici cinematografici, intellettuali inflessibili, cinefili e spettatori qualsiasi; sui giornali, in televisione, in internet, tutto è, o può essere, capolavoro. L’attribuzione di tale titolo dovrebbe essere accordata ad un’opera in seguito ad un giudizio valutativo fondato su serie e articolate motivazioni; tuttavia spesso rappresenta un manto calato al fine di togliere la possibilità di discutere, per celare un oggetto che, come una nuova Minerva, ha il potere di impietrire l’interlocutore.

Il capolavoro oggi lo decide la televisione, i servizi dei Tg, gli uffici del marketing. Nella società dello spettacolo ogni prodotto deve raggiungere l’immaginario, colpire la sfera emozionale e aspirare ad essere irrinunciabile. Tutti capolavori, come il titolo dell’intervento di Buccheri: il film, l’automobile, l’amore, la piadina, lo sguardo; niente sfugge alla fagocitazione del sistema che crea estetica anche là dove non ne esiste traccia, confondendo l’arte e la sua mercificazione. La stessa opera d’autore diviene un’etichetta di mercato, soggetta a strategie commerciali e dinamiche pubblicitarie precise.

Paolo Cherchi Usai introduce lo speciale attraverso una riflessione terminologica: dire capolavoro è affermare l'imprescindibilità di quel dato film, che non è ammissibile non aver visto, e, al tempo stesso, un modo per assicurare l’autorità intellettuale di chi ne proclama il valore. L’inflazione del termine per quanto riguarda il cinema (meno in pittura o in musica) non è, secondo Usai, che l’indice di «un complesso d’inferiorità, un altro patetico tentativo di emancipazione dal ghetto dell’effimero».

Per Luca Bandirali il capolavoro è un dato interessante nel momento in cui diviene «intesa intersoggettiva all’interno della comunità istituzionale», che fa capo al cosiddetto «“mondo del cinema”». L’elevazione ad opera somma è effetto di una valutazione che, se non fondata su una seria riflessione critica, rischia di risolversi in asserzioni di tipo tautologico e autocelebrativo.

Enrico Terrone rintraccia due atteggiamenti «detestabili» nei confronti del capolavoro: il rifiuto, da parte della critica che si vorrebbe scientifica e non approva e respinge il metodo valutativo; l’abuso, nella pubblicistica informativa, ma anche in quei saggi che si rifugiano in veri miti cinematografici, senza illustrare le ragioni del verdetto. Terrone s’inoltra a chiarire quali sono gli argomenti che presiedono all’elezione del capolavoro, al fine di portare la critica fuori «dal dominio della chiacchiera, della rapsodia, e dell’impostura».

De Bernardinis chiude lo speciale riflettendo sul ruolo del critico, al quale non è più concesso di essere il depositario del giudizio sul film.


Riccardo Castellacci


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