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Giona A. Nazzaro, Andrea Tagliacozzo

Il dizionario dei film di Hong Kong
1979-2004

Libreria Universitaria Editrice, Chieti, 2005
ISBN 88-86619-19-7
Il cinema di Hong Kong ha ormai definitivamente acquisito un’ampia diffusione, fruizione e godibilità anche in Italia, grazie all’opera instancabile di quanti, ricercatori studiosi appassionati, hanno promosso dibattiti e tavole rotonde, organizzato rassegne e festival, avviando, e in molti casi con una certa difficoltà, l’incontro con questa cinematografia.

Il cinema di Hong Kong ha conosciuto una notevole promozione in Europa e in America durante gli anni Ottanta/Novanta, quando alcuni nomi sono divenuti presenze costanti nei festival internazionali e il sistema hollywoodiano, sempre attento alle potenzialità industriali delle cinematografie nazionali, ha cercato di convogliare a sé alcune delle figure emergenti di questo paese (il caso di John Woo è emblematico). Se la collaborazione diretta con Hollywood ha mostrato in breve tempo tutti i suoi limiti, è ormai superfluo rilevare come il cinema di Hong Kong abbia diffuso un linguaggio costituitesi ben presto paradigma su scala mondiale del “rinnovamento spettacolare” per il film d’azione. La penetrazione delle strutture narrative asiatiche ha imposto nuovi canoni a livello internazionale, rinnovato generi cinematografici ormai defunti (il cinema di cappa e spada ora suona «wuxiapian», la Tigre e il dragone o La foresta dei pugnali volanti e tutte le filiazioni americane) e imposto nuovi codici di spettacolarità (vedi Matrix e Kill Bill impensabili senza l’influenza del cinema hongkonghese).

La cinematografia di Hong Kong si manifesta fenomeno vasto e complesso, che contempla diversi approcci al suo interno: quello autoriale di Wong Kar-Way, quello commerciale e controverso di Wong Jing, le opere sospese fra lirismo e spettacolarità di John Woo, regista capace di ibridare il codice eroico/poetico wuxiapian con quello hollywoodiano, di farsi interprete profondo della sua terra, punto d’incontro fra Occidente e Oriente. Certo il cinema della piccola repubblica a statuto speciale (che tornerà ad essere parte integrante del territorio cinese nel 2046, come ricorda il film di Wong Kar-Way) presenta una geografia sempre più conosciuta, ma ancora capace di offrire scoperte e sorprese inaspettate. Un aspetto affascinante del cinema hongkonghese è rintracciabile nella capacità di segnare una distanza fra le nostre attese di spettatori occidentali e ciò che viene presentato. Spesso l’arte trae origine dal malinteso, dal fraintendimento, da codici di rappresentazione differenti fra spettatori e realizzatori. Quello che a noi appare novità assoluta di linguaggio e nuovo modo di rappresentazione è spesso semplicemente effetto di una codificazione appartenente ad una tradizione che ignoriamo e alla quale applichiamo il nostro metro occidentale.

Chow Yun-fat e Danny Lee in
Chow Yun-fat e Danny Lee in "The Killer"

Il volume raccoglie 850 schede scegliendo il 1979 come termine a quo: troppo difficile sarebbe stato procedere più indietro, dove molto è stato perduto, altro è introvabile, alcune cose non vale la pena vedere. Lo sforzo degli autori è stato grande, frutto di un lavoro di schedatura durato sette anni e di una passione per questo cinema mai venuta meno (si pensi allo speciale A Touch of Hong Kong, pubblicato su «Cineforum» o al Cinema di Hong Kong – Spade, kung fu, pistole, fantasmi, 1997). Certo gli autori hanno dovuto affrontare non pochi problemi di ordine pratico nel ritrovamento e visione delle pellicole (spesso VHS di pessima qualità, videonoleggi cinesi non proprio autorizzati: chi ha provato ad andare fuori dal tracciato lo sa bene), ma il risultato è stato notevole. Le schede riportano il titolo in inglese che ne dà l’ordinamento, la trascrizione del nome in cinese e altre informazioni (regia, interpreti, incasso e giudizio – le odiate amate stellette); spiace che non vi sia un indice ordinato di registi e attori, ma per queste informazioni basta spostarsi sui database reperibili in internet.

Il destino dei dizionari è di dimenticare, volutamente o no, qualcosa di fondamentale, e certo il lettore proverà subito a mettere alla prova le proprie conoscenze e i propri giudizi. In fondo, vedere tutto è solo l’utopia di un cinefilo accecato dall’onnivoro bisogno di etichettare e catalogare.

Nazzaro e Tagliacozzo sono riusciti a scrivere un’opera agile cui l’appassionato, come il curioso o l’esperto, non potrà fare a meno di confrontarsi: da tenere accanto e sfogliare, senza esaurire. Coloro che si avvicinano al cinema di Hong Kong lo troveranno uno strumento indispensabile per accostarsi a quello che in molti casi si presenta come oscuro oggetto del desiderio, realizzando un incontro che permetterà di recuperare chiavi di lettura importanti al fine di comprendere alcune derive del cinema contemporaneo.

Riccardo Castellacci


Copertina

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