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Cineforum
Rivista mensile di cultura cinematografica

Cineforum 445 a. 45, n. 5, giugno 2005, € 7,20
Il presente numero di «Cineforum» si apre con un bilancio e una riflessione sull’ultimo Cannes 2005, a cura di Bruno Fornara. Il festival, diversamente dalle trascorse edizioni, ha puntato su registi affermati, nomi celebri della cinematografia contemporanea, confermando che l’autore consacrato, pur fra alti e bassi, può ancora offrire un cinema importante, che non sia circoscrivibile a realizzazioni occasionali. Il riferimento di Fornara è in quest’ultimo caso agli autori creati e nutriti dai festival stessi, rapidamente dispersi fra le nebbie dell’est europeo, o fra le vaste pianure del sud-est asiatico. Autori consacrati contro autori da festival, con la vittoria schiacciante dei primi sui secondi: Van Sant, Jarmusch, Cronenberg, Wenders, Von Trier (per citarne alcuni), rivelano come sia possibile ancora mediare la scelta autoriale con l’orizzonte d’attesa dello spettatore.

Per la sezione Cinema e storia, storie di cinema, troviamo due approfondimenti: uno di Carlo Altinier, Mein Ciak: Hitlers returns La caduta e i suoi precedenti, l’altro di Roberto Chiesi Selma Lagerlöf da Sjöstrom a Bergman. Altinier oltre a giudicare La caduta «per quanto furbesco e calcolato al millimetro», «un film coraggioso, persino sfrontato: per una produzione tedesca destinata ad un pubblico internazionale, candidata all’Oscar, la scelta di confrontarsi con il passato nazista senza sfiorare nemmeno il tema della colpa è senz’altro significativa», si sofferma ad elencare e analizzare le interpretazioni precedenti di Hitler, visto in quanto macchina attoriale, «affastellamento di segni», «un puro nulla» come affermava Bazin. Il Führer si presentò nel 1919 quale star in senso hollywoodiano, per poi assurgere a ruolo di monstrum, incarnazione del male assoluto, cui non è consentita la ripresa in primo piano, ma solo da una distanza rassicurante per lo spettatore, anche contemporaneo.

Primi piani è focalizzato su due celebri, e in alcuni casi sottovalutati, autori: Ernst Lubitsch e John Landis. Giulia Russo rintraccia alcuni degli ingredienti che generano quello che è stato definito il Lubitsch touch: la scelta di una ristretta nicchia di attori (Maurice Chevalier, Jeanette McDonald e le star James Stewart, Greta Garbo), la predilezione per il triangolo amoroso come motore dell’intreccio, l’attenzione riservata ai costumi e agli accessori (immediata la mente corre al cappello parigino di Ninotchka), usati per sottolineare ogni cambiamento di stato d’animo dei personaggi.

Ad un capolavoro della cinematografia degli anni Trenta è dedicato l’approfondimento di Tullio Masoni, Une partie de campagne di Jaen Renoir. Masoni rileva (l’incantevole) sospensione fra istanza realista e impressionista su cui oscilla l’opera di Renoir, film fondamentale per capire l’influenza del regista francese sulla cinematografia, soprattutto italiana, degli anni quaranta (al mediometraggio lavorò in qualità di aiuto regista e costumista tale Luchino Visconti). Lo stesso Renoir espose in un’intervista del 1967 questo concetto di ‘realismo del fare’, come lo definisce Masoni, sul quale è imperniato il film: «In realtà ciò che mi accade è una specie di incapacità di comprendere il senso di una scena prima di averla vista materializzata. Come direbbe Sartre io credo che l’essenza viene dopo l’esistenza», «ogni scena deve essere un’esplorazione».
 
Riccardo Castellacci


Copertina

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Greta Barbo
Greta Barbo in "Ninotchka" di E. Lubitsch, 1939

 
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