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Segnocinema
Focus on Sound 2°. I suoni non musicali nel cinema

a. XXV, 2005, n. 131 € 6,00
ISSN 0393-3865
Il presente numero di «Segno cinema» si contraddistingue per la continuazione dello speciale intitolato Introduzione all’ascolto dei suoni non musicali nel cinema, e per la presenza di alcuni saggi che riflettono sul ruolo della critica e sul concetto di autorialità in cinema.

De Bernardinis, nel saggio che introduce il numero, procede a una interessante e ironica lettura della critica cinematografica contemporanea, attraverso la scelta di uno strumento che consente di allontanare l’oggetto guardato e di rendere minimi e insignificanti i particolari: il cannocchiale rovesciato di pirandelliana memoria. Secondo questa prospettiva geometrica e temporale (l’autore sceglie di trasportarsi nel 2055, poiché occorrono almeno cinquant’anni per distanziarsi dal flusso della vita) è possibile distinguere due atteggiamenti contrapposti, che fanno capo a due figure, quelle esili (dal cannocchiale s’intende) ma distinte, di Umberto Eco e Enrico Ghezzi: uno critico, cultore della scrittura, del metodo, «segno neo illuministico della dea ragione», l’altro tragico, che vede il cinema come luogo in cui si esercita la resistenza del mondo a divenire inquadratura e sequenza. I due atteggiamenti convergerebbero poi in un ulteriore aspetto filologico che afferisce al «Gusto», e in cui si scopre l’ambizione fondamentale della critica, quella di farsi letteratura, non senza una piccola raccomandazione: «a questo punto o si è Moravia o ci si scioglie come neve al sole».

La domanda sull’autorialità della critica è alla base anche dell’intervento di Marcello Walter Bruno, che la rapporta e riconduce all’annoso problema della definizione di autore in cinema: nozione critica di questi tempi, dove il nome del regista appare sempre più schiacciato da monumentali attori o produzioni.

La parte principale della rivista è dedicata alla continuazione dello speciale sul suono. Se nel numero precedente era stato delineato il quadro teorico, ora si analizza la prassi del cinema sonoro, attraverso gli scritti di responsabili della realizzazione cinematografica. L’intento è dichiaratamente pedagogico: «invitare lo spettatore all’ascolto cosciente e razionale dei suoni non musicali», nella consapevolezza che l’apporto di tale componente è di fondamentale importanza per la riuscita estetica del film. Il sound designer Randy Thom, collaboratore abituale di Robert Zemeckis, fa notare come spesso l’elaborazione del suono richieda al pari di altri elementi (la scenografia, i costumi) impegno e cura anche in fase progettuale, al fine di evitare effetti non accordati con i significati che si vuole dare al film. Altre indicazioni di metodo circa la complessità che presiede alle scelte sul sonoro sono date dall’intervista a due registi europei, che esplorano da anni la ricchezza del suono diretto, rifiutano il dolby e si legano alla lezione di Rohmer, per il quale «quello che si vede e quello che si sente sono inseparabili»: Jean-Marie Straub e Daniele Huillet.

A questi articoli seguono altri due che offrono esempi concreti di analisi di testo sonoro: De Bernardins mostra i sottili rapporti di senso che si instaurano fra suoni, silenzi e movimenti della m.d.p., attraverso l’analisi di alcune scene de Lo strano mondo di Daisy Clover (R. Mulligan, 1966); Riccardo Giagni, musicista italiano, si sofferma su Nouvelle Vague di Godard, confrontando il film con la sua colonna sonora (fatta uscire dopo sette anni e curata dallo stesso regista). Conclude lo speciale la seconda parte della piccola storia del cinema sonoro con nove esempi, da America Graffiti a Lunedì mattina, passando per Alien e Toro scatenato.

 

Riccardo Castellacci


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