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Cineforum Americana, di Emanuela Martini
Cineforum, anno XLI (2001), n. 10, pp. 3-4
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"Sean Penn fa un cinema che non va di moda, ugualmente lontano dal fragore dell'effetto speciale e della superficialità adolescente in cui si è per lo più suddivisa la Hollywood degli ultimi vent'anni; un cinema di persone normali in circostanze che solo la concentrazione della narrazione rende eccezionali, dove ognuno ha radici che affondano nell'anima del paese, ricordi che si riaffacciano a straziare la vita, famiglie dalle quali fuggire e o alle quali ritornare (...)".
"Poco appassionato ai dibattiti sullo stile (nell'intervista apparsa nel numero di settembre dei 'Cahiers', a una domanda sui suoi sontuosi carrelli risponde che semplicemente lui esprime così quello che sente), Penn tende sempre a ritornare all'essenza dell'uomo. Di tutti gli uomoni: anche se avvitati sui protagonisti che guidano per mano la vicenda con il loro sviluppo psicologico, i suoi film sono ricchissimi di personaggi collaterali che non sono mai pure fisionomie, cliché, ma ai quali un tratto, una battuta, un semplice sguardo regalano una storia e un ruolo preciso nell'economia del racconto (...)".
Nulla è accessorio, messo lì per far colore o sfoggio di bravura, nei film di Penn. Tutto è morale. E' da questa rigorosa autonomia di costruzione che probabilmente nasce anche la sua abilità nel maneggiare figure desuete (o abusate) come il ralenti, il flashback, la dissolvenza incrociata, cui il suo cinema restituisce un senso. Ed è grazie a questa minuziosa ricerca di senso che Penn sta costruendo uno dei rari spaccati odierni dell'autentica way of life".
estratto
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