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Scena <e>
Studi sulla vita delle forme del teatro

Anno IV, n.7-8, Gennaio-Aprile 2002, euro 20,00
Il numero conclusivo di questa rivista (come purtroppo annuncia l'articolo di chiusura In exitu) consiste in un corposo dossier su Vsevolod Mejerchol'd.

Dopo un lungo periodo di rimozione l'opera del regista russo è stata progressivamente riscoperta, a partire dagli anni Cinquanta, fino ad arrivare, oggi, a una sorta di processo di "beatificazione" in cui le teorie della biomeccanica vengono esaltate contro la lezione di Stanislavskij. Una semplificazione entusiastica che non tiene conto del rapporto dialettico tra i due registi, dalla quale mettono giustamente in guardia i vari contributi della rivista; una riduzione altrettanto difettosa dell'indiscriminata esaltazione, nel recente passato, del metodo Stanislavskij, magari in salsa Actor Studio.

Una seria ricerca su Mejerchol'd restituisce piuttosto il ritratto di una figura molto complessa, il cui fascino risiede proprio nel condensare emblematicamente nella propria vicenda biografica molti dei passaggi forti attraverso cui si è evoluta la cultura teatrale nel secolo appena trascorso: l'adesione in fasi successive alle grandi correnti estetiche di riforma spettacolare (il Naturalismo, il Simbolismo, e infine l'Avanguardia) nello sforzo di trovare un linguaggio più efficiente per comunicare con il pubblico; la vicenda umana, all'insegna di un impegno intellettuale che diventa nel corso del tempo una precisa ideologia, che si conclude tragicamente con la epurazione del regista da parte del potere costituito; e infine l'impegno nel definire la funzione del regista partendo dallo studio del lavoro dell'attore.

Questo è l'aspetto in cui Mejerchol'd maggiormente appare come un nostro contemporaneo. Lo studio sulla dinamica dei movimenti è la più nota di una serie di "indagini sperimentali" che il regista ha dedicato, fra l'altro, alla Commedia dell'arte, alle tecniche degli attori stranieri, al teatro dei ruoli. Un lavoro importante non solo per la pratica del teatro (basti pensare a quanto il training delle neoavanguardie del secondo dopoguerra debba al lascito mejercholdiano) ma anche per l'avanzamento degli studi teatrali. Se è vero infatti che le conclusioni del regista sulla Commedia dell'arte ci appaiono oggi ingenue, prive di basi scientifiche e viziate dall'eredità dell'immaginario romantico, e che lo schema dei ruoli (parti) proposto da Mejerchol'd appare inutilmente complicato e slegato dalla pratica degli attori di mestiere, queste teorizzazioni hanno avuto il merito, in anni in cui in Italia imperava una visione riduttiva e punitiva dell'attore (l'interprete funzionale sottomesso alla dittatura del testo e del regista), di stimolare i giovani studiosi ad indagare fenomeni come questi, legati al mestiere dei comici e considerati argomenti di scarso rilievo.

Parlando di Mejerchol'd i curatori della rivista ricordano anche Giorgio Kraisky, il suo principale traduttore italiano, figura meno nota di Ripellino ma altrettanto importante nello spingere la cultura italiana (e in particolare quella di sinistra) degli anni Sessanta a rivedere i granitici giudizi zdanoviani sullo sviluppo dell'arte in URSS, sostanzialmente accettati negli anni Quaranta-Cinquanta.

Slegata dal dossier, ma consonante con l'interesse di Mejerchol'd e dei costruttivisti per le relazioni fra movimento e oggetti, una sezione di interventi sul rapporto fra danza contemporanea e spazi urbani.

di Paolo Albonetti


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