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Revue d'Histoire du Théâtre


a. LIV, 2004, n. 4 (224)
ISSN 1291-2530

Il quarto numero del 2004 della rivista Revue d'Histoire du Théâtre, trimestrale edito dalla Société d'Histoire du Théâtre con il concorso del ministero della cultura e della comunicazione francese, del CNRS e della Société des Auteurs et Compositeur Dramatiques, propone, nel consueto alternarsi di approcci multidisciplinari, importanti contributi sull'analisi dei codici espressivi e linguistici del teatro europeo.  

Il saggio di Martial Poirson, dedicato ad una rivisitazione della trentennale attività di Jean-Marie Villégier e corredato da un'ampia intervista al metteur en scène, rivela accanto all'importanza della memoria del patrimonio teatrale francese una consolidata pratica di messa in scena affatto legata all’idea di ''teatro-museo'' ma forte del dialogo tra il testo e la rilettura che Villégier ne fa alla luce delle conoscenze storiche estetiche e pratiche delle discipline spettacolari, col risultato di rappresentazioni sapientemente sperimentali e all'avanguardia.
Le tecniche di recitazione sono al centro del saggio di Isabelle Schwartz-Gastine sullo spettacolo Le Bal, che il Théâtre du Campagnol realizzò nel 1981 ed in cui a ritmo di ballo gli attori ripercorrevano gli eventi salienti della storia contemporanea,  individuando nel sapiente uso del corpo, in fattispecie della colonna vertebrale e del bacino, e soprattutto nella variegata scala espressiva dei movimenti muscolari la capacità sempre nuova dell’attrice Geneviève Rey-Penchenat di costruire per ciascuno dei suoi personaggi una storia psicologica precisa e leggibile. Le forme estetiche e drammaturgiche della messa in scena moderna sono analizzate nel contributo di Rafal Fudalewski attraverso le differenti interpretazioni di Le Mariage dello scrittore e drammaturgo polacco Witold Gombrowicz  nelle tre 'prime' europee degli anni Sessanta: quella di Lavelli del 1963 a Parigi, quella di Alf Sjöberg a Stoccolma del 1966 e quella di Ernest Schröder a Berlino del 1968. 

Jacques Misan-Montefiore presenta una minuziosa indagine sulla prima fortuna delle opere teatrali di Luigi Pirandello in Francia: dall'importante ruolo svolto dai traduttori Camille Mallarmé e Benjamin Crémieux, alla prima rappresentazione nel 1922 al  Théâtre de l’Atelier di La Volupté de l’honneur fino alla messa in scena di Gerges Pitoëff, pochi mesi più tardi, dei Six Personnages evento che fece invocare alla critica francese un risveglio dalle tenebre del teatro contemporaneo.
La sempre maggior presenza di monologhi nell'ambito del panorama teatrale a partire dagli anni Sessanta conduce lo studioso Dimitri Soenen alla formulazione di un nuovo genere, le pièces monologales in cui il monologo si fa motore della trama e della pièce: non più momento lirico-narrativo in cui l'azione rallenta fino a scomparire ma luogo in cui il personaggio, nell'interazione tra la situazione scenica ed i ricordi che questa evoca, spiega il presente scenico e, scoprendosi solista di una storia dove non trova più il suo posto, mette a nudo l'inafferabilità della sua identità.  

Prendendo spunto dalla protezione offerta dal principe di Condé all'attore e scrittore Jean-Baptiste Raisin più famoso come petit Molière, il saggio di Cristophie Blanchie mostra quanto i rapporti sociali con protettori e committenti fossero nel corso del Seicento alla base della pratica dei commedianti.
Vered Harel infine, ispirandosi al metodo della semantica strutturale di Greimas, individua nelle caratteristiche dei personaggi di Tchekhov e in quelli di Beckett la comune necessità di farsi beffa della struttura attanziale della commedia nel vano tentativo, incosciente per i primi, cosciente per i secondi, di evitare l'incontro con i  meccanismi assurdi della vita.



Leonardo Spinelli


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