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Armando Petrini

Attori e scena nel teatro italiano di fine Ottocento
Studio critico su Giovanni Emanuel e Giacinta Pezzana

Torino, DAMS Università degli studi di Torino, 2002, pp. 261, euro 19,00
Il saggio, uscito per la collana "I quaderni del Castello di Elsinore", propone un'analisi parallela dello stile di due protagonisti della scena del secondo Ottocento, che li sottrae al cliché riduttivo di "attori naturalisti". L'autore, partendo dalla distinzione lukacsiana tra realismo e naturalismo, indica come la Pezzana non sia interessata, interpretando un personaggio, alla imitazione naturalistica ma ad una sintesi "tipica" in cui il realismo psicologico e la classicità degli stilemi recitativi si fondono determinando una resa della parte potente ma allo stesso tempo straniante, che mantiene una voluta distanza tra attore e personaggio e impedisce l'immedesimazione dello spettatore per costringerlo alla riflessione. Una sorta di anticipazione ancora larvale dell'ipotesi brechtiana di un teatro didattico, indebolita da un populismo moralista (vedi la centralità assoluta del tipo della madre nel repertorio degli ultimi anni dell'attrice), e totalmente estranea all'ideologia sottesa alla poetica naturalista della borghesia italiana, che ricerca invece una riproduzione della realtà improntata a una "naturalezza" espressiva che porta lo spettatore alla confusione acritica tra la vita quotidiana e la vicenda rappresentata. Ciò determina l'isolamento della Pezzana, che per molti anni si ritira dalla scena e al suo rientro colleziona una serie di delusioni: sia per le reazioni negative del pubblico che per l'estraneità manifestata da altri attori e dai letterati che avevano avviato i primi esperimenti di compagnie stabili proto-registiche (Boutet e Lanza) a cui l'attrice partecipa. Per Emanuel occorre articolare il discorso partendo dalle interpretazioni giovanili, come l'Amleto, fortemente polemico nei confronti della resa tardoromantica di Ernesto Rossi ma caratterizzato dal ricorso a stilemi antimimetici, che riportano anche in questo caso alla "tipizzazione" critica del realismo. Solo nel decennio 1882-93 Emanuel aderisce compiutamente alla poetica naturalista, raggiungendo il massimo successo di critica e di pubblico, ma venendo apprezzato più come diretttore di una compagnia d'insieme che come attore; infatti il voler ridurre, indipendentemente dalle caratteristiche proprie della scrittura drammaturgica, tutti i personaggi a una cifra quotidiana (dove per quotidiano si deve intendere borghese) porta a delle interpretazioni shakespeariane che non convincono completamente né la critica né il pubblico, e alla fine forse neanche lo stesso Emanuel, che entra in una fase di apparente crisi artistica. L'esito finale, con cui anche lui finisce per risultare inadeguato al teatro dell'epoca, è uno stile di recitazione sobrio e monotono, didascalico, che (analogamente a quello della Pezzana) vuole un'attenzione critica dello spettatore, posto di fronte a una sorta di commento del testo drammatico e a una dimostrazione distaccata della resa della parte.

Uno studio approfondito e intelligente che propone una tesi sostanzialmente convincente e fornisce dei contributi validi e originali allo studio del teatro italiano basandosi sullo spoglio di una ingente quantità di testimonianze d'epoca che costituiscono la parte più apprezzabile della bibliografia ragionata.

di Paolo Albonetti


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