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Bernhard Diebold

Il sistema dei ruoli nel teatro tedesco del Settecento

A cura di Umberto Artioli e Cristina Grazioli

Firenze, Le Lettere, 2001, 206 pp., L. 33.900, euro 17,50
ISBN 88 7166 605 4
La presente edizione, pubblicando per la prima volta in Italia la versione integrale del fecondo saggio di Bernand Diebold, uscito in Germania nel 1913 (anticipazioni antologiche sono apparse in Il teatro dei ruoli in Europa, Padova, Esedra editrice, 2000, pp. 229-280) colma una pluridecennale lacuna della storiografia teatrale nazionale. Come ben evidenziato dalle lucide introduzioni dei curatori Umberto Artioli e Cristina Grazioli, il saggio, pur fornendo un'attenta e documentata disamina della materia che ha per oggetto, fornisce infatti indicazioni teoriche e metodologiche di ben più ampia portata, tali da renderne ancora attuale e proficua la frequentazione.

Inserito nel fervido clima della "riteatralizzazione del teatro", facente capo all'università di Berlino e alla fondazione della Theaterwissenschaft (la scienza del teatro che affrancandosi dalla letteratura analizza gli accadimenti teatrali riconoscendone l'interna specificità), lo studio sul sistema teatrale tedesco del Settecento induce l'autore a interrogarsi su problemi di vasta portata e a costruire una dissertazione di forte impatto teorico.

L'osservazione concreta delle modalità dell'esercizio attorico se da una parte conduce Diebold a riconoscere la centralità dell'attore nell'evoluzione della storia del teatro, dall'altra lo porta a negare l'esistenza di un interprete "universale" e ad affermare la necessità teorica, oltre che storica, del sistema dei ruoli, considerato uno dei presupposti fondamentali dell'arte recitativa.

Di profondo interesse appaiono anche le distinzioni - e conseguenti gerarchie - che l'autore stabilisce tra ruoli tragici e ruoli comici, tra attore declamatore (Sprecher), nel quale domina l'aspetto letterario del fatto teatrale, e attore del corpo (Spieler), nel quale prevale invece la componente scenica e performativa che rende questo interprete, a differenza del primo, l'unico in grado di rielaborare e di rifondere creativamente la mimèsi del reale.

Un'ultima citazione - ma sarebbe lunga la lista degli spunti offerti da questo saggio che nonostante la nascita remota offre indicazioni di sorprendente modernità - merita l'intuizione che porta lo studioso di Zurigo a collegare il cambiamento della prassi recitativa e del sistema dei ruoli nella Germania degli anni '70 del Settecento, con l'avvento di un nuovo canone drammaturgico (introduzione di Shakespeare sulle scene tedesche e nascita di una forte drammaturgia nazionale). Un'osservazione, quest'ultima, che, se assunta come regola universale, potrebbe indurre a un'interessante riconsiderazione degli esiti di vitalità creativa prodotti in ogni epoca dal rapporto osmotico tra recitazione e drammaturgia.

di Francesca Simoncini


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