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Comunicazioni Sociali
Rivista di media, spettacolo e studi culturali

A cura di Massimo Locatelli

Anno XXVI Nuova serie n.1 Gennaio-Aprile 2004, euro 13.50
ISSN 0392-8667
Il presente numero di «Comunicazioni sociali», Civiltà delle macchine. Il cinema italiano e alle sue tecnologie, si inserisce nel quadro di studi tracciato dalla ricerca nazionale interuniversitaria Cofin - Le tecnologie del cinema, le tecnologie nel cinema - coordinata da Francesco Casetti, cui si deve ascrivere il merito circa l’emersione di temi e questioni che diversamente rischiavano di rimanere relegati ai margini degli studi sul cinema.

Ai fini della piena affermazione degli studi tecnologici del cinema, è indispensabile la diffusione di un nuovo linguaggio, condiviso dalla comunità scientifica, in cui le nozioni tecniche non rappresentino più solamente un materiale secondario e impenetrabile. Deve essere ancora promossa la divulgazione di un sapere che è stato da tempo relegato ai margini, a causa della divisione gerarchica fra sapere umanistico e tecnico, improduttiva quanto falsa. La storia del cinema può dunque divenire, attraverso lo studio dell’evoluzione tecnologica, un campo in cui applicare il progetto di un sapere più vasto, punto di incontro di nuove e complesse forme di conoscenza. La sfida è aperta.

La rivalutazione dell’apparato tecnico, le sue strutture, effetti e implicazioni, è frutto della recente storiografia cinematografica, e coincide con l’abbandono di alcuni vizi di ordine teleologico che in passato hanno condizionato le riflessioni intorno al problema. La visione teleologica prevede che ogni nuova tecnologia segua un’altra in vista di un’ultima perfezione, che nel caso del cinema sembra coincidere con la piena (ri)produzione di realtà. Tuttavia è dimostrabile storicamente che ad una forza che spinge verso il riammodernamento e l’innovazione si oppone un’altra, uguale e contraria (basti pensare alla lentezza con la quale il cinema si è dotato di alcuni sistemi come il sonoro o il colore, che non è spiegabile da un punto di vista esclusivamente tecnico). Esistono varie cause che intervengono nell’evoluzione di una tecnologia rispetto a un’altra e fanno capo al complesso relazionarsi di motivi tecnologici, economici e ideologici (per riprendere la ormai celebre affermazione di John Belton).

È proprio la nozione di ‘tecnica’ ad essere messa in discussione, come puntualizza Massimo Locatelli nell’introduzione al volume: il termine mostra un frastagliato e vasto orizzonte semantico, per cui tecnica e tecnologia vengono a configurarsi più propriamente quali «costruzioni sociali e talvolta arbitrarie, e non invece magnifiche sorti e progressive».

Varie e molteplici possono essere le declinazioni assunte dalla tecnologia in rapporto agli studi sul cinema, e in questo numero di «Comunicazioni sociali» vengono mostrati diversi approcci a differenti tematiche. A una certa frammentarietà negli interventi (16 saggi su circa 140 pagine), supplisce la scelta di seguire una precisa linea diacronica, che dalle origini del cinema arriva a lambire problematiche attuali, e l’individuazione di aree tematiche strutturali.

I primi tre interventi sono dedicati al cinema antecedente al sonoro. L’articolo di apertura di Luca Mazzei si sofferma sull’affascinante e inquietante descrizione che un letterato, scrittore, giornalista, critico, figura sfuggente e poliedrica, Giustino Lorenzo Ferri, ebbe a realizzare della fabbrica Cines: il congegno industriale appare macchina infernale, oscura e inquietante, cui l’uomo di lettere cerca di sfuggire riconducendo il linguaggio a un vecchio e rassicurante codice teatrale. Elena Mosconi propone un’analisi del Politeama, struttura che ha teso ad assorbire durante gli anni Dieci e Venti diversi generi di spettacolo, fra cui il cinema, il varietà, istituzionalizzandoli. Raffaele De Berti ripercorre attraverso lo studio dei manuali Hoepli, opere di divulgazione scientifica, le considerazioni di cui era oggetto il cinema nei primi anni: da tecnica corollario di altre applicazioni, come la lanterna magica, il cinematografo riesce a strappare lo status di sistema tecnologico a sé stante, tanto da meritare, già nei primi anni Venti, una trattazione esclusiva.

Seguono gli interventi sul sonoro, forse il nucleo tematico più ampio, che prendendo avvio dall’analisi di casi esemplari (il marchio Tobis-Klangfilm, le officine Pio Pion, la Fono Roma di Cologno Monzese), in cui risultano evidenti le modificazioni attuate dalle ditte in relazione al contesto produttivo, approdano alla riflessione di Massimo Locatelli sul paesaggio sonoro nel cinema del dopoguerra, «nel momento in cui il grande schermo assume la massima importanza nel suo ruolo di catalizzatore dell’immaginario, non solo tecnologico, nazionale e assieme si prepara a cedere il campo a un nuovo sistema audiovisivo».

Al tema del formato sono dedicati gli interventi di Miriana Scorza e Barbara Grespi. Quest’ultima riconduce l’analisi allo studio di un particolare utilizzo del panoramico, il wide screen all’italiana, ovvero il Techniscope di Sergio Leone, in cui risulta evidente la perfetta corrispondenza fra scelte stilistiche, esibizione dell’effetto speciale in pura valenza attrazionale – caratteristica del grande formato alla sua origine, quale elemento distintivo rispetto alla televisione – e risultati di alto e complesso valore estetico.

La traversata del mare magnum tecnologico non può che condurre alle acque profonde della ricezione (Mariagrazia Fanchi e Georgia Conte), e a quella cornice, la sala ma non solo, ormai redenta da ruolo di scatola a quello assai più composito di luogo, ambiente, in cui si consuma l’atto del guardare in quanto esperienza complessa della visione cinematografica. L’origine del cinema coincide con l’istituzione della sala cinematografica: arrivati ai nostri giorni viene da chiedersi se questo luogo sopravvivrà, anche se modificato negli smisurati edifici costruiti per l’industria dell’intrattenimento, oppure conflagrerà in una miriade di piccole sale cinematografiche domestiche.


Riccardo Castellacci


Copertina

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