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Antonio Costa

I leoni di Schneider
Percorsi intertestuali nel cinema ritrovato


Roma, Bulzoni Editore, 2002; collana «Sopralluoghi», pp. 214, euro 11,00
ISBN 88-8319-766-6
Il titolo di questa raccolta di sette studi di Antonio Costa, allude ai diciotto leoni del domatore Alfred Schneider, scritturato nel 1910 dalla casa di produzione Ambrosio di Torino, per realizzare cinque film insieme ai suoi animali. «Alfred Schneider e i suoi leoni», principale attrazione di film come La nave dei leoni di Luigi Maggi (1912) e Nelly la domatrice (1912) di Mario Caserini, ispirano a Costa, nella prima parte della raccolta, un'esplorazione in ambiti poco noti e rimossi del cinema muto italiano, tra cui il fantastico, rappresentato da Le avventure straordinarissime di Saturnino Farandola (1914) di Marcel Fabre, il filone «gotico» («tutto da riscoprire e da rivalutare», pagina 84), con il fascinoso Malombra (1917) di Carmine Gallone, e La maschera e il volto (1919) di Augusto Genina, che lo studioso analizza in relazione alle problematiche espresse dalla commedia teatrale di partenza, di Luigi Chiarelli, da alcuni ritenuta esempio di teatro «grottesco», da altri ascrivibile alla «pura e semplice tradizione» (pagina 107).

Ogni studio è stato sollecitato dai film proposti (restaurati e non), a partire dal 1987, dal Festival del «Cinema Ritrovato» di Bologna. Le singole analisi sono condotte attraverso la verifica di relazioni intertestuali, con l'obiettivo di recuperare «l'enciclopedia dello spettatore modello che il film presuppone» (pagina 13). Riguardo Saturnino Farandola, ad esempio, sono segnalate sia le relazioni con gli universi di Méliès e Verne, sia quelle con il libro, scritto e illustrato da Albert Robida, che ha ispirato il film stesso, e la successiva «migrazione» (pagina 14) del tema con Le avventure di Saturnino Farandola disegnate e apparse su «Topolino»; oppure sono riferiti i rapporti tra le incisioni dantesche di Gustave Doré, realizzate nel 1861, e l'Inferno (1911) di Adolfo Padovan, Francesco Bertolini e Giuseppe De Liguoro e Maciste all'inferno (1926) di Guido Brignone.

Non si parla, però, solo di film muti. Nel capitolo su Malombra di Gallone, ad esempio, in relazione all'omonimo rifacimento di Mario Soldati (1940), Costa dedica alcune pagine al cosiddetto «calligrafismo» del cinema italiano. Nella seconda parte della raccolta, inoltre, si sofferma su La signora di tutti (1934) di Max Ophüls, e L'assedio dell'Alcazar (1940), sempre di Genina: del primo pone in evidenza la «tessitura formale, straordinariamente complessa» (pagina 151), mentre il secondo è confrontato ai cinegiornali e ai documentari monografici Luce di propaganda sulla guerra civile spagnola.

di Costantino Maiani


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