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Bruna Filippi

Il teatro degli argomenti
Gli scenari seicenteschi del teatro gesuitico romano. Catalogo analitico


Roma, Institutum Historicum S.I., 2001, pp. 510, s.i.p.
Si tratta di un'opera preziosa destinata a durare nel tempo come oggetto di consultazione per studenti e studiosi. Il catalogo ordina un vasto materiale: gli «scenari» o «canovacci» (che furono rappresentati nel collegio gesuitico romano durante il Seicento dal 1616 al 1698) sono registrati con accurate descrizioni. Si dà conto delle caratteristiche tipografiche dei libriccini, delle illustrazioni, dei personaggi che vi agiscono, delle scenografie, delle azioni drammatiche ecc. Lunghe note storiche riferiscono notizie sulla prima rappresentazione e sulla fortuna critica e bibliografica. Di ogni volumetto si segnalano le collocazioni bibliotecarie.

È questo un punto di arrivo (e, come sempre, di partenza) di un interessante movimento di studi sul teatro dei gesuiti che ha registrato negli scorsi anni illustri esempi, da Marc Fumaroli (autore di importanti studi su padre Bernardino Stefonio, tra l'altro nel libro Eroi e oratori, Bologna, Il Mulino, 1990) a Ferdinando Taviani (oltre al suo classico volume su La fascinazione del teatro - Roma, Bulzoni, 1969 -, si ricordi l'intervento sul Christus Iudex di padre Stefano Tucci nel volume Meraviglie e orrori dell'aldilà: intrecci mitologici e favole cristiane nel teatro barocco, a cura di Silvia Carandini, Roma, Bulzoni, 1995), a Annamaria Cascetta, promotrice di studi sulle tragedie gesuitiche nell'opera collettanea La scena della gloria. Drammaturgia e spettacolo a Milano in età spagnola, Milano, Vita e pensiero, 1993.

Bruna Filippi, nel suo saggio introduttivo, ribadisce alcune importanti idee. In primo luogo, che la stesura di «canovacci» non fu esercizio esclusivo - come si ha l'abitudine di credere - dei comici professionisti e della Commedia dell'Arte. In realtà la pratica di appuntare le "azioni" piuttosto che le battute del testo letterario apparteneva a un più vasto campo di operatori (dai dilettanti d'accademia agli studenti dei collegi) accomunati dal preminente interesse per la pratica spettacolare. Secondariamente, ma non troppo, la Filippi evidenzia la natura composita dello spettacolo gesuitico che, soprattutto nella seconda metà del secolo, accolse parti ballate e cantate, sia corali che solistiche. Aumenta inoltre, sulla base anche di solide argomentazioni teoriche, lo spazio della lingua italiana rispetto al latino, mentre gli intermezzi si fanno - come era inevitabile - autonomi, ripetitivi e ipertrofici. È insomma il trionfo di una grande spettacolo totale, una sorta di Grand Opéra cattolico che solo l'idealismo post-crociano ha saputo sottovalutare. Il grande capitolo di un'utopia pedagogica, fondata sull'uso del teatro come pratica organica del corpo (canto, ballo, recitazione, mimo), grazie a questo libro, diventa più leggibile.

Manca soltanto - ma immagino che a questo tema l'Autrice si dedicherà più avanti - una pertinente analisi delle componenti neoplatoniche che sottendono l'estetica di quel teatro. Il libro infatti potrebbe suggerire, a chi non avesse letto i lavori di Cascetta, Taviani e Fumaroli, l'impressione di un netto prevalere dell'artigianato materiale sul progetto ideologico e morale. In verità questa drammaturgia, basata sul genere della «tragedia cristiana», mira a rispecchiare sulla terra e sul palcoscenico l'armonia del cielo e del creato, si costituisce insomma come specchio delle idee e della fede. In altre parole, è un teatro ambizioso che mira a dare forma, nella finzione, alla totalità dell'universo. Erede dell'umanesimo ficiniano e della drammaturgia di Andreini, è il corrispettivo laico dei riti festivi, musicali e retorici, della corte del Re Sole.

di Siro Ferrone


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