drammaturgia.it
Home | Cinema | Teatro | Opera e concerti | Danza | Mostre | Varia | Televisioni | Libri | Riviste
Punto sul vivo | Segnal@zioni | Saggi | Profili-interviste | Link | Contatti

cerca in vai


Prove di Drammaturgia


Prove di drammaturgia, anno X, n. 2, dicembre 2004, euro 3,58
ISSN 1592-6680
Che il sistema teatrale italiano è in crisi si sa. A non essere in crisi sono tuttavia i teatranti italiani che riescono a mostrare, proprio in questo periodo, una spiazzante e naufraga vitalità. "Il malcontento [istituzionale, economico, artistico] – diceva il vecchio Oscar Wilde - è il primo passo verso il progresso". Alcuni hanno reagito alla crisi facendosi sistema: sono gli attori / autori cui era dedicato l'ultimo numero di «Prove di Drammaturgia» (Per una nuova performance epica). Altri invece – di cui si occupa, questa volta, la rivista - facendo sistema. In molti casi i rappresentanti del "farsi sistema" possono coincidere con quelli del "fare sistema". E "fare sistema" significa supplire alle carenze del sistema teatrale italiano coinvolgendo nella realizzazione degli spettacoli progetti e corsi, luoghi urbani, Teatri Stabili [o pubblici o privati o d’innovazione]. I teatranti dunque si sono rivolti alle zone del sistema rimaste disponibili al dialogo, hanno formato nuovi pubblici e hanno annullato i costi di produzione o (1) facendo spettacoli per un solo attore oppure (2) andando alla ricerca di eterogenee alleanze istituzionali e artistiche. «La posta in gioco è enorme. – scrivono Claudio Meldolesi e Gerardo Guccini – Si tratta di conservare, pur nelle difficili contingenze economiche, la possibilità di realizzare eventi animati da folte comunità artistiche che si confrontino col sociale, riprendendo e rinnovando, all'interno della scena come fra la scena e la platea, le molteplici possibilità dell'interazione drammatica».

Il contributo iniziale, Sulla tragedia Endogonidia, è a cura di Adele Cacciagrano e si struttura in due parti: la prima (Tra rivoluzione e teatro) introduttiva, la seconda in forma di intervista sui generis (a Romeo Castellucci, Claudia Castellucci e Chiara Guidi). La Tragedia Endogonidia della Socìetas Raffaello Sanzio è un progetto itinerante (in undici tappe fra cui  Cesena, Avignone, Berlino, Parigi e Strasburgo) che si estende nell'arco di tre anni (2002-2004) e che «per i suoi obiettivi di ricerca di una nuova forma contemporanea di tragedia, di sviluppo della consapevolezza della complessa genesi dei linguaggi europei, di incoraggiamento della mobilità degli artisti, di estensione della percezione di un teatro come luogo aperto alla discussione e di coinvolgimento di un pubblico eterogeneo, senza barriere dovute a fattori linguistici, culturali, ideologici o religiosi» è sostenuto dal Programma Cultura 2000 dell'Unione Europea. Il progetto nasce dalla convinzione che la tragedia oggi può solo essere evocata in forma fantasmatica. La tragedia del futuro dovrà sapersi emancipare da Eschilo e quindi dalla sicurezza di un patrimonio pre-testuale che era condiviso da tutti gli antichi greci, cioè da tutti. La tragedia del futuro sarà costretta a vagare fra le macerie del proprio passato e a riprodursi all'infinito per partenogenesi. In microbiologia infatti è detto "endogonide" un essere semplice che contiene in sé entrambe le gonadi.

I principali motori del tragico, inteso come sentire universale e a-temporale, sono due: il rapporto con la colpa e la necessità di abbattere le Leggi. Un gesto barbaro, quest'ultimo, che schiude però l'accesso alla bellezza della tragedia. Un gesto che, contenuto nell'Antico Testamento, affonda le proprie radici nella tradizione ebraica. La Tragedia Endogonidia nasce dalla contraddizione di guardare la cultura greca attraverso il filtro ebraico. La tragedia attica univa alla violenza enigmatica degli Episodi la funzione moderatrice, esplicativa e comunicativa del Coro. La Tragedia Endogonidia nasce dall’espulsione del Coro: «non c'è più una spiegazione a disposizione […], ragion per cui la visione dello spettatore è assolutamente unica e auto-concludente». Della tragedia attica restano solo gli "episodi". Aristotele che "tutto connetteva" li odiava almeno quanto li amavano i filo-platonici di Speusippo che vivevano la vita come se fosse un episodio e ciò significava – e significa - «accettare di essere in mezzo a questo mare aperto e trovare senso e forma in quello che viene».

Chiaroveggenza. Navicelle corsare e istituzioni-fortino è l'impegnativo titolo del contributo di Marco Martinelli. Dopo che nel 1991 il Teatro delle Albe (attivo dal 1977) si è trasformato in Teatro Stabile (il Ravenna Teatro), alcuni interrogativi, apparentemente retorici, si sono trovati a sorgere spontanei: «può un'istituzione teatrale comportarsi in modo alternativo, praticare logiche eretiche, battere bandiera "corsara"? […] può uno "stabile" andare "di corsa", evitando il pericolo di restare fermo e impantanato nella palude dei mestieranti e della noia?». Per fortuna, e non solo, la risposta pare sia «sì». Nel 1992, al Ravenna Teatro fu proposto di tenere laboratori teatrali negli istituti medi superiori della città. Venne così data vita a una non-scuola di teatro al termine della quale (nel 1998) fu messo in vita I Polacchi, spettacolo cui parteciparono dodici adolescenti che hanno, in seguito, continuato a crescere all'interno delle Albe. Fedele al dogmatico gergo delle Albe, mi è accaduto, con una certa dose di premeditazione, di usare le espressioni "non-scuola" e "mettere in vita": «Non andavamo a insegnare. – scrive Martinelli - Il teatro non si insegna. Andavamo a giocare, a sudare insieme. […] Il teatro è una palestra di umanità selvatica e ribaltata, di eccessi e misura, dove si diventa quello che non si è; la scuola è il grande teatro della gerarchia e dell'imparare per tempo a "essere" società. […] Non "mettere in scena", ma "mettere in vita" i testi antichi: resuscitare Aristofane, non recitarlo». Nel maggio 2004 ha quindi  debuttato lo spettacolo Salmagundi, "favola patriottica" che ha visto, a sua volta, la luce alla fine del "corso di formazione per attori" [anche se questa definizione è troppo burocratica e troppo poco imperfetta] intitolato "Epidemie", finanziato da Emilia Romagna Teatro Fondazione (E.R.T.) e condotto, con spirito artigianale, da Marco Martinelli fin dall'ottobre 2003.

Gabriele Vacis descrive quindi, con una passione letteraria pari a quella teatrale, il suo VOCAZIONE/Set. Teatro del diventare grandi secondo Wilhelm Meister, suggestivo adattamento scenico, rappresentato in cinque "luoghi deputati" collocati nel cuore di Torino (dall'Archivio di Stato al Circolo degli Artisti, dalla Cavallerizza Reale al teatro Carignano), del romanzo di formazione – sogno proibito di «chiunque faccia teatro» - La vocazione teatrale di Wilhelm Meister (1776-1785) di Wolfgang Goethe. VOCAZIONE/Set è il punto d'arrivo – sostiene il regista - degli esperimenti drammaturgici fatti in vent'anni di spettacoli. Ci suscita solo qualche perplessità il fatto che Vacis, dopo aver giustamente presentato Amleto come il principale antenato del protagonista, includa fra i suoi discendenti – in virtù della comune ostinazione nel rifiutarsi di affrontare le responsabilità - Julien Sorel, David Copperfield e Holden Caulfield. Tre personaggi che, chiusi in una stanza, non esiterebbero a togliersi gli occhi a vicenda.

In "Gilgameš" di Teresa Ludovico. Un processo creativo e il suo contesto di produzione, Roberta Gandolfi analizza la genesi artistica di Gilgameš che, diretto da Teresa Ludovico, ha debuttato nell’autunno 2003 al Teatro Kismet OperA di Bari, lo stabile di innovazione responsabile, fra le altre cose, della produzione dello spettacolo: «un effervescente e complicato organismo a più teste – come lo definisce la Gandolfi - che vive di faticosi processi decisionali di tipo assembleare». Per quanto riguarda Gilgameš, si tratta di una visionaria e ambiziosa scrittura per la scena – che contamina recitazione e danza - «intorno all'eroe delle antiche terre di Mesopotamia, per due terzi divino e per un terzo umano, la cui epopea racconta il confronto doloroso con la finitezza e la mortalità». Ad essere coinvolti sono sei "performer" di lingue e culture differenti debitamente, a rigor di simmetria, divisi in coppie: quella maschile degli eroi (Gilgameš e Enkidu), quella femminile delle dee (Ishtar e Ninsun, la madre di Gilgameš) e, infine, quella metanarrativa (il danzatore bianco e la scriba interpretata dalla stessa Ludovico).

Chiudono questo numero di «Prove di Drammaturgia» un articolo di Cira Santoro sulla decisione del Governo attuale di "cancellare dalla propria agenda" il progetto dell'Eti "Aree Disagiate" che, volto a «incrementare la diffusione, la promozione e la formazione alla cultura teatrale in sette regioni e in ventitré città del Mezzogiorno», è stato attivo - con straordinario successo - dal 1998 al 2003 per poi essere completamente interrotto e, infine, l'intervista, di Lorenzo Mucci, all'attore e regista grotowskiano François Kahn.

 


Giulia Tellini


copertina

cast indice del volume


 



 
Firenze University Press
tel. (+39) 055 2757700 - fax (+39) 055 2757712
Via Cittadella 7 - 50144 Firenze

web:  http://www.fupress.com
email:info@fupress.com
© Firenze University Press 2013