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Mariagrazia Fanchi

Spettatore


Milano, Il Castoro, 2005
ISBN 88-8033-316-x

L’autobiografia di uno spettatore di Italo Calvino resta uno dei contributi più rappresentativi fra gli scritti di cinema di area italiana: senza alcuna pretesa teorica, getta uno sguardo personale ma acutissimo su uno degli snodi fondamentali della storia del cinema, il passaggio dal classico al moderno, descrivendo il profondo senso di perdita causato dal regime autarchico che in Italia spezzò la consuetudine con il cinema hollywoodiano che poi la guerra e il neorealismo contribuirono a far percepire come inautentico, mai più uguale a prima («Finita la guerra tante cose erano cambiate: io ero cambiato, e il cinema era diventata un’altra cosa (…). La mia biografia di spettatore riprende ma è quella di un altro spettatore, che non è più soltanto spettatore»). Analogamente, il racconto che Alberto Asor Rosa fa della visione di Roma città aperta ne L’alba di un mondo nuovo riesce a comunicare con lucida consapevolezza lo sconcerto di una sala della periferia romana all’indomani della liberazione («stavamo tutti lì, a occhi spalancati e a bocca aperta, a vedere che cosa diavolo ci era capitato in quei così vicini mesi terribili»). Sono loro, gli spettatori empirici, il nucleo delle più affascinanti indagini teoriche condotte nell’ambito degli studi di cinema recenti, dischiuse negli anni Settanta dalle teorie del film elaborate delle femministe le cui eredi oggi mutuano le metodologie d’indagine dalle discipline etnografiche, raccogliendo i racconti di vita per meglio comprendere la genesi dei processi identitari che scaturiscono all’interno del sistema mediale. Il volume Spettatore è l’esito finale di un lungo percorso di studi condotto da Maria Grazia Fanchi nell’ambito del Dipartimento di Scienze della Comunicazione e dello Spettacolo dell’Università Cattolica di Milano.

La struttura della collana Le Dighe, diretta da Leonardo Quaresima per la casa editrice Il Castoro, obbliga gli autori dei volumi ad adottare una scansione fissa: a un breve saggio introduttivo fa seguito una sezione dedicata a ripercorrere gli studi sull’argomento per poi concludere con alcuni “riscontri”, cioè documenti (estratti saggistici o altro) particolarmente significativi. Chiude una bibliografia ragionata, indispensabile punto di partenza per studi a venire. In questa scansione l’autrice di Spettatore sembra trovarsi a suo agio: può dispiegare nella seconda parte, con lodevole chiarezza, il percorso fin qui delineato in ambito internazionale, e nella prima è libera di interrogarsi sul perché rivesta tanta importanza nel dibattito odierno il ruolo dello spettatore: «Dalla diffusione del Vcr all’introduzione delle tecnologie del digitale l’identità dello spettatore cinematografico e le forme della sua esperienza sono cambiate profondamente», scrive. Di più, sono in costante evoluzione. Si potrebbe dire che lo spettatore e le pratiche di visione si siano trasformate negli ultimi decenni assai più radicalmente dell’oggetto della visione, il film, anzi abbiano contribuito in modo sensibile a trasformarlo. Si delineano, come spiega Maria Grazia Fanchi, nuovi paradigmi spettatoriali, inediti al punto da rendere necessaria una descrizione appropriata del fenomeno.

La sezione dedicata ai neospettatori, accuratamente descritti e definiti sulla scorta degli studi più recenti, risulta originale nonché intrinsecamente divertente: è inevitabile infatti cercare un riscontro personale nei vari profili proposti.

Il nuovo flâneur è lo spettatore postmoderno che in qualche misura somiglia a quello delle origini, cioè allo svagato passeggiatore baudelairiano immortalato da Walter Benjamin, che segue il flusso della folla e si lascia portare dal caso (in sintonia con il cinema delle origini che proponeva testi “aperti”). L’eccitazione e la vertigine convivono però, nella sua versione aggiornata, con la capacità di esercitare un controllo sulla propria esperienza di visione: la pratica del riavvolgere e rallentare lo scorrimento delle immagini offerta dal videoregistratore descrive la modalità con cui questo tipo di spettatore contemporaneamente si perde nel film e insieme si svincola dall’obbligo dei palinsesti televisivi. Giustamente questa tipologia è la prima della serie, perché in qualche modo già acquisita, anche se pone una questione centrale, cioè attesta la continuità e la sinergia fra cinema e televisione.

Lo spettatore aristocratico è invece competente, aggiornato e interessato a distinguersi trasformando l’esperienza della visione in uno status sociale: possiede un sapere enciclopedico quanto epidermico, è un collezionista di vhs e dvd, agguerrito tanto sul versante tecnologico quanto su quello del gossip cinematografico. Possiede un impianto home theatre e la sua formazione avviene entro le mura domestiche, ma ha bisogno di un côté di socialità per distinguersi grazie alle proprie competenze.

Infine, L’iperspettatore. «Passa in differenti ambienti mediali e interseca una molteplicità di altre pratiche di consumo». Ama il multiplex che garantisce una fruizione altamente tecnologica, coinvolgente e immersiva, ma ne prolunga il piacere fuori dalla sala: è abbonato alla pay-tv e alla tv satellitare e ha un collegamento a banda larga che gli consente di scaricare i film da Internet. «L’accesso al film, soprattutto quando avviene in modi non canonici (come nel peer to peer), è parte integrante del piacere della visione perché ratifica la sua competenza e lo pone al di fuori del meccanismo di controllo dell’apparato (…). Le conoscenze dell’iperspettaore (…) comprendono (…) un sistema di saperi ampio e non formalizzato». Parte del piacere è dato dalla manipolazione del testo: «fra film e spettatore si stabilisce una relazione che è insieme negoziale e intima, che mobilita emozioni e sentimenti profondi».

Le tre descrizioni fornite riguardo alle nuove forme di spettatorialità sono tanto più stimolanti quanto più contribuiscono a precisare anche in termini storici il progressivo passaggio dall’orizzonte postmoderno a uno nuovo, tuttora in formazione, dove una via d’uscita da pratiche immersive fatalmente passive è fornita dall’avvento dello spettatore «comodamente attivo» - meno superficiale e frastornato, anzi consapevolmente coinvolto dal piacere della visione. Se lo spettatore aristocratico appare l’esito finale della cultura postmoderna, l’iperspettatore ne è già fuori: sta sperimentando, insieme al cinema del nuovo millennio, nuovi paradigmi culturali e nuovi sguardi.




Cristina Jandelli


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