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Ridotto


Ridotto, n. 12, dicembre 2004, euro 7,00
Tommaso Le Pera, in trentacinque anni di carriera, ha immortalato col suo obiettivo fotografico più di quattromila spettacoli. Guido Talarico rende ora omaggio all'opera omnia dello storico fotografo calabrese dedicandole una collana in dodici volumi. Dopo la prima pubblicazione riservata agli spettacoli pirandelliani, la seconda - che è appena uscita – raccoglie le fotografie scattate ai protagonisti delle messe in scena shakespeariane. A segnalarla è Maricla Boggio nell'editoriale che apre il «Ridotto» di dicembre. «Le foto di Tommaso, – scrive la Boggio – evitando quasi sempre la genericità di un palcoscenico completo, si incentrano su di un volto o su di un gesto, ne ritrovano l'intensa umanità, scartando l'inanità del contorno, spesso costoso, della scenografia fine a se stessa o dei costumi fuori tempo per moda o capriccio, di cui rimane un'ombra scura o una luminosità che rende il volto parlante». Testimoniando la morte di quello stesso attimo che desidera salvare, la fotografia di Tommaso Le Pera quell'attimo sa risuscitarlo. Sa, in un certo senso, trasfigurarlo. Tanto più se riesce a coglierlo mentre passa su un volto. Sul volto di un attore, sui volti degli attori.   
 
Nella sezione Testi ritroviamo ancora Maricla Boggio in veste di curatrice della elaborazione drammaturgica – nonché poi regista - di Matteotti, l'ultimo discorso.

Per dovere di memoria scriveremo in breve quanto segue. Il segretario del Partito socialista unitario Giacomo Matteotti, il 30 maggio 1924, tenne alla Camera un discorso: denunciò i brogli elettorali e le violenze di cui si erano resi colpevoli i fascisti nel corso delle elezioni del 6 aprile 1924 e propose l'annullamento in blocco dei deputati inclusi nel listone. Il 10 giugno fu rapito e ucciso da una squadra fascista. Aveva da poco compiuto 39 anni. Il corpo fu ritrovato nella campagna intorno a Roma il 16 agosto 1924. Gli assassini, processati nel 1926 e condannati a sei anni di detenzione, vennero presto amnistiati.

Dietro commissione di Giuseppe Tamburano, presidente della Fondazione Nenni, Maricla Boggio - basandosi sul resoconto stenografico del discorso parlamentare e su documenti e giornali dell'epoca – ha dato dimensione teatrale al discorso avvenuto quel 30 maggio. Ennio Coltorti e gli allievi dell'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica hanno interpretato rispettivamente Giacomo Matteotti e i deputati del Governo Mussolini nella rappresentazione avvenuta, su invito del Sindaco Walter Veltroni, nella Sala Consiliare del Campidoglio, il 26 novembre 2004. Con distacco ed esattezza, l'autrice descrive il detto e l'accaduto senza dimenticare alcuni particolari omessi dagli stenografi, come per esempio il pestaggio del generale Bencivenga segnalato dall'«Avanti!» il 31 maggio 1924. Senza dimenticare la frase che Mussolini disse all'Onorevole  Cesare Rossi durante la votazione finale: «Quell'uomo dopo questo discorso non dovrebbe più circolare». Rossi, abbandonato il fascismo, riporterà questa frase nel suo Memoriale.

«Io espongo fatti – disse Matteotti – che non dovrebbero provocare rumori. I fatti o sono veri o li dimostrate falsi. Non c'è offesa, non c'è ingiuria per nessuno in ciò che dico; c'è una descrizione di fatti». Forte di una inattaccabile onestà morale esemplare ieri come oggi, Matteotti - difendendo la libera sovranità del popolo italiano e rivendicandone la dignità - ebbe il coraggio di andare consapevolmente incontro alla morte. Lui che - intellettuale ben lontano dall'essere un "eroe da guerriglia" - in una lettera spedita il 10 maggio 1924 a chi gli chiedeva di essere prudente e accettare una cattedra universitaria, aveva scritto: «Purtroppo non vedo prossimo il tempo nel quale ritornerò tranquillo agli studi abbandonati. Non solo la convinzione,  ma il dovere oggi mi comanda di restare al posto più pericoloso, per rivendicare quelli che sono, secondo me, i presupposti di qualsiasi civiltà e nazione moderna». All'Onorevole Cosattini che, al termine della seduta, gli disse: «Mi congratulo con te, Giacomo. Hai avuto un gran coraggio a denunciare le violenze dei fascisti», Matteotti rispose: «Però voi adesso preparatevi a fare la mia commemorazione funebre». Su queste parole si chiude il necessario Matteotti, l'ultimo discorso di Maricla Boggio.  
      
L'oneroso impegno di bilanciare in qualche modo la grave drammaticità di questa prima parte della sezione Testi se lo assumono, con molta probabilità involontariamente, Camilla Migliori e Stefania Porrino, autrici dei due libretti per "musicals" che completano la sezione, ovvero Quanto è vero che mi chiamo Desdemona e Paradisi pucciniani. Gli spettacoli, realizzati da allievi e docenti del Conservatorio di musica "Licino Refice" di Frosinone, sono andati in scena sabato 27 e domenica 28 novembre 2004. In Quanto è vero che mi chiamo Desdemona, la «pia creatura nata sotto maligna stella» di Arrigo Boito è una ninfomane isterica che, dopo aver sbattuto in faccia al marito la propria relazione adulterina con Cassio, riesce comunque alla fine ad avere letteralmente il coltello dalla parte del manico. Paradisi pucciniani è invece un divertissement para-femminista in cui si immagina che, dopo la morte, Giacomo Puccini raggiunga le proprie eroine predilette – Mimì, Butterfly  [qui, per le amiche, Ciò] e Tosca – nel paradiso dell'opera e precisamente nel girone denominato appunto "Caffè Puccini". Mentre Pink [ossia quel famoso Pinkerton mai abbastanza detestato da generazioni di accanite melomani] serve al bar e lava i piatti, i tre personaggi femminili che hanno ritrovato il proprio autore, invece di passare il tempo a odiarlo in quanto  responsabile delle loro morti atroci, hanno «messo su compagnia»: Mimì ha preparato un monologo sulle condizioni degli home-less, Ciò ha creato una coreografia sul tema della maternità consapevole in stretto stile kabuki e Tosca, naturalmente, canta. Soprattutto il suo "cavallo di battaglia" che è la marsigliese rock.

Nella sezione Libri incontriamo ancora una volta Maricla Boggio che segnala il nuovo numero di «Ariel» curato da Guido di Palma e dedicato a Rocco Galdieri e a suo figlio Michele. Giorgio Taffon invece presenta il volume Il teatro italiano fra 1918-1940, scritto dal giovane studioso polacco Cezary Bronowski e pubblicato dal dipartimento di Italianistica dell'Università di Torun.

La lettera spedita alla redazione da Maria Silvia Caffari a nome del Teatrino al Forno del pane chiude la rivista con tonici accenti – scusate il pessimo gioco di parole - di speranza e di ottimismo spiritualista: «ci sono momenti in cui bisogna, ognuno usando i propri talenti, mostrare qualcosa di Dio, la nostra unica forza. Ecco, ogni arte, quindi anche l'arte teatrale, può aiutare Dio ad aiutarci. Ci vuole un rinnovato innamoramento, innamorarsi, riinnamorarsi di Dio è aiutarLo ad aiutarci». E un attore, si sa, non dovrebbe mai dimenticarsi - Zooey Glass docet - di recitare bene per far piacere alla Donna Grassa.  


Giulia Tellini


copertina

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