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Ridotto


Ridotto, n. 10/11, ottobre/novembre 2004, euro 7,00
Ad aprire il Ridotto n. 7/8 del luglio/agoso 2004 era l'editoriale intitolato Vedremo! : Ubaldo Soddu, dopo aver vagliato le cattive acque in cui navigava il Teatro italiano (valorizzazione della drammaturgia nazionale pari a zero, distribuzione pressocchè bloccata da conflitti d'interesse, mediocri direttori di Stabili, ecc), suggeriva ai partiti un progetto politico «per bonificare e  risagomare i vari settori» (musica, danza e teatro). In chiusura l'editoriale esibiva un agrodolce tono fra il cauto e il  fiducioso: «In Italia, l'insieme delle erogazioni del Fus per il Teatro sfiora i 200 miliardi. Per ora. Nel 2005 vedremo!». Il ministro dei Beni e delle Attività culturali Giuliano Urbani aveva infatti testualmente dichiarato all'Ansa: "Non sarà tagliato il Fus per il 2004, per quel che riguarda il 2005, vedremo". Questa volta l'editoriale di Ubaldo Soddu si intitola invece Mobilitazione [cui manca, però, il confortante appoggio del vecchio punto esclamativo]. La pagina inizia così: «Va sempre peggio per lo Spettacolo in Italia». E finisce così: «Altro che promesse mancate! Col fallimento annunciato non ci si maschera più, si agisce in piena burrasca, a mare i più deboli, si salvi chi può». Nel 2004 il Fus (Fondo unico dello Spettacolo) è stato tagliato di 40 milioni. In pratica, nel 2005, l'investimento del Governo per il Fus è di 900 miliardi delle vecchie lire e non più di 1000, «limite minimo e giudicato miserabile da tutti gli operatori».

Desiderosi di trovare una momentanea via di fuga dall'amara realtà descritta da Soddu, dopo esserci addentrati nella sezione Testi, ci avventuriamo nella lettura di Samarinda. Atto unico dall'invitante ed esotico titolo scritto da Mario Prosperi e tratto da una lettera di Michael Kirby. Si tratta della struggente storia di Michael, professore americano sessantenne che, malandato e con due matrimoni falliti alle spalle, trova in Indonesia – tramite Agenzia - una ragazza musulmana, Maya, disposta a sposarlo. Mosso da un accecante e disperato bisogno d'affetto (oltre che dalla volontà di avere un figlio), va a trovarla nella sua città (Samarinda, appunto), si converte alla sua fede, spende per lei e i numerosi familiari tutti i suoi soldi, se ne innamora con innocente abbandono, ne rispetta l'assoluta castità fino al matrimonio: «Eccomi qua, davanti ad una persona che capisce… e può volermi un po' di bene, forse, per il poco tempo che mi resta… Questo è più di quello che sperassi di trovare… […] Io, sai, Maya, conoscendoti, parlandoti… anche se mi hai tenuto a bada… e Dio sa quanto io desideri tenerti fra le braccia… Io non ho più coscienza di averti trovato col mezzo di un'Agenzia…». Alle confidenze sempre più accorate che Michael le fa, Maya – piena di rancore e prevenuta, in seguito ad alcune atroci scoperte, nei confronti degli occidentali - risponde poco più che a monosillabi. All'inizio fredda e divertita, poi sempre più tenera, dolente e con un'ombra di amaro imbarazzo nei modi. Ottiene un bacio, Michael, prima di scoprire la verità che sta dietro alle reticenze di Maya. Di tutte le verità possibili, forse, la più crudele. Ottiene un bacio, Michael, prima di scoprire una verità che, nel corso della storia, mille indizi rivelavano. Prima di scoprire in che modo i propri "ridicoli" e inopinati sentimenti sono stati strumentalizzati. Prima di fare a Maya l'ultimo regalo.   

Dopo l'editoriale di Ubaldo Soddu e Samarinda, ci accorgiamo che la sezione Testi prevede un secondo atto unico, di Lilli Maria Trizio: Rapporto di coppia. Il titolo, questa volta, ci dà immediatamente conferma del fatto che al tono drammatico della prima metà si uniformerà ormai anche quello della seconda metà di questo «Ridotto». L'acuto atto unico della Trizio esamina la fenomenologia di un rapporto di coppia talmente paradossale da risultare iperrealistico. O talmente realistico da risultare iper-paradossale. Marito e moglie vivono separati e si amano moltissimo. Paradossalità vuole che vivano separati da un semplice muro e che comunichino attraverso una finestra. Quando - all'incirca una volta ogni due mesi - si incontrano, esaurito in breve il desiderio dell'abbraccio iniziale, tutto va per il verso sbagliato. Marito e moglie emotivamente non si consumano, non litigano mai, non si fanno del male. Lavorano e basta. Non hanno tempo per essere. Vogliono rimanere «saldamente inchiodati nel non essere».

Immaturi, viziati dall'egoismo, concentrati sulle personali nevrosi, blandiscono le proprie debolezze, se ne auto-compiacciono e sono tragicamente impreparati a gestire un rapporto di coppia giocato nei medesimi spazi: «Non c'è niente di più fragile di un uomo e una donna che vivono insieme in una casa… stretta geometria che imprigiona le menti… si abbandonano quando non devono abbandonarsi, si guardano quando non devono guardarsi. I ritmi biologici sono corde d'arpa che vanno pizzicate alla perfezione, ma l'arpa è arduo strumento che pochissimi sanno suonare per cui si finisce col vivere tra stridori, disarmonie». Conoscersi troppo nuoce, per loro, al rapporto perché determina la sconcertante epifania di quei precipizi della mente definiti da Patrizia Valduga «paurosi, a picco, impenetrati, bui»: «C'è una legge dell'esaurimento nella convivenza:  ognuno porta un patrimonio spirituale da regalare all'altro. Quando questo bagaglio si esaurisce, restiamo spogli con orrende e miserabili nudità in mostra». Parlare del più e del meno non è pericoloso, non logora un rapporto. E l'amore è necessario come forma di auto-riconoscimento. La solitudine, tuttavia, uccide i due coniugi-single. La solitudine fortifica la tachicardia, l'ipocondria, l'impietoso sarcasmo e l'irrequietezza di lei: «Se sono seduta mi voglio alzare, se mi muovo mi annoio subito, ho una smania che mi fa straniera a me stessa… forse ad un punto della solitudine l'io è stufo di seguirsi, di ascoltarsi e cerca di schizzar fuori… desidera altri lidi. Due persone insieme dimenticano il tempo… noi non ci riusciamo… il solitario può esserne ossessionato… di qualche facilità o di qualche sconto, amore, ora io ho bisogno». La solitudine eleva all'ennesima potenza l'aridità sentimentale, l'inettitudine comunicativa di lui: «non ho da darti comprensione, tenerezza, non ho da darti niente, sono arido, vuoto […] non mi lasciare, le mie parole senza di te sono vento nel deserto… sono niente».

Nelle ultime pagine della rivista, fra le altre cose, Maricla Boggio segnala, prima, una Compagnia di attori professionisti, il Teatro Scientifico di Verona, che mette in scena soprattutto testi di autori italiani contemporanei; e, poi, due spettacoli italiani che, per spessore culturale e alta professionalità, si offrono quali antidoti al «teatro trash oggi imperante»: la rappresentazione medievale di Stella messa in scena da Luciano Alberti nella chiesa di San Saba a Roma e Napoli Hotel Excelsior di Raffaele Viviani per la regia e l'interpretazione di Tato Russo. La sezione Libri è occupata dalla ricca segnalazione di Mario Verdone al volume di Raffaele De Ritis Illusionismi. Settemila anni di Teatro, scienza e religione (Stampa alternativa, Nuovi equilibri, Viterbo, 2004): una suggestiva panoramica sulle maggiori personalità dell'arte circense; dagli illusionisti ai giocolieri, dai trasformisti ai prestigiatori. Partire da settemila anni fa significa prendere le mosse dall'epoca preistorica quando lo spettacolo magico nacque ad opera dello sciamano: «il primo mago, un sacerdote che – affermava Novalis – "è sempre restato il vero poeta"». Chiude il numero, dopo la consueta rubrica Testi italiani in scena curata da Claudio Rossini, il programma del 57° Festival Nazionale d’Arte Drammatica di Pesaro.         

Giulia Tellini


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