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Bianco e nero
Rivista quadrimestrale del centro sperimentale di cinematografia

Anno LXIV, n. 1 (fascicolo n. 548), gennaio-aprile 2004, euro 24,00

Con il numero 548 prosegue la pubblicazione della nuova serie di «Bianco e nero» secondo le linee metodologiche che il direttore scientifico, Leonardo Quaresima, aveva già tracciato nel numero precedente. La parte monografica denominata La prima stanza, che apre come da consuetudine della nuova serie ogni numero di «Bianco e nero» e ne caratterizza il contenuto, è in questo caso rivolta al tema della novellizzazione in Italia e curata da Raffaele De Berti. Data l’eco che tale argomento detiene nel panorama degli studi sul cinema (è di pochi giorni la conclusione del Convegno Internazionale di Udine dedicato allo stesso tema), la recensione si soffermerà essenzialmente sull’analisi degli interventi che compongono questa sezione della rivista.

De Berti nell’introduzione alla parte monografica del volume si propone di specificare cosa si intenda per novellizzazione e di delimitare l’orizzonte di oggetti cui può essere riferita tale pratica, tenendo presente il fatto che a proposito esiste una certa confusione e il rischio non nascosto di una generalizzazione che ne sminuisca la portata interpretativa. De Berti definisce la novellizzazione come pratica di «trasposizioni da testi audiovisivi» che, nata a cavallo degli anni Dieci negli Stati Uniti, ha coinciso fin da subito con la trascrizione della trama del film in testo letterario.

Negli interventi presenti in questo numero di «Bianco e nero» è possibile rinvenire una rinnovata impostazione storiografica circa l’approccio alle fonti. I vari contributi fanno spesso riferimento ad un tipo di reperto che interrogato secondo nuove prospettive dimostra tutta la sua complessità e ricchezza informativa per la ricostruzione della storia culturale italiana: la rivista (cinematografica e non). Ed è certo un nuovo approccio critico ad ampliarne l’efficacia: una volta stabilito che ogni documento è anche monumento, può essere messa in discussione la forte gerarchizzazione fra fonti primarie e secondarie. Nel caso presente delle novellizzazioni una fonte secondaria per eccellenza, la rielaborazione di un testo che nasce in un altro medium, è preposta dal ricercatore come elemento privilegiato per spiegare fenomeni fondamentali dell’esperienza cinematografica.

La novellizzazione si configura come fattore importante per analizzare le diverse forme della ricezione. Quaresima nel suo intervento propone di considerarla «voce dello spettatore», «voce anonima di tendenza d’interpretazione»: in tal modo può configurarsi come fonte per la storia dello spettatore, poiché descrive i rapporti stabiliti fra film e pubblico, fornendo elementi di rappresentazione tipici della cultura popolare.

Gli interventi presenti nella sezione La prima stanza seguono un preciso ordine cronologico, tuttavia in questa breve sintesi saranno avvicinati per affinità di impostazione. Luca Mazzei, attento conoscitore dei rapporti fra letteratura e cinema, si sofferma sugli anni Dieci e Venti e in particolare sul caso de Il volto di Medusa, scritto da Gaetano Campanile, giornalista, commediografo, sceneggiatore nonché riduttore di film stranieri (e viene spontaneo ricordare padre del geniale commediografo Achille), e così facendo ci offre un caso paradigmatico di immagine prodotta dalla novellizzazione, quella di uno sguardo impietrito, «incatenato alla letteratura ma rivolto al cinema»: uno sguardo fermo, morto, ma certo spettatoriale, ancora carico della tensione che lo volgeva al film.

Caratteristica delle novellizzazioni è quella di presentarsi solitamente come banalizzazione e semplificazione del testo di partenza: è il caso analizzato da Andrea Meneghelli, Il sogno di Momi fascicolo del mensile «L’Arte Muta», edito a Napoli, in cui i riferimenti bellici presenti nel mediometraggio La guerra e il sogno di Momi (Segundo de Chomòn, 1917) risultano depurati a causa di un indirizzo diverso dato alla ricezione. Elementi di banalizzazione e di arresto di aperture al moderno appaiono evidenti anche nelle novellizzazioni analizzate da Elena Mosconi (Ore nove: lezione di chimica), in cui le varianti inserite dai novellizzatori offrono spesso espressioni di una morale più tradizionalista. Anche Lucia Cardone rileva la visione semplificante e la predilezione per le figure schematiche, come se il passaggio alla versione cartacea (nel caso Catene amare, novellizzazione in bilico fra il film L’intrusa di Raffaello Matarazzo e il testo teatrale cui si riferisce il film La moglie del dottore), presentasse più manifeste caratterizzazioni di genere rispetto al film.

Cristina Jandelli, che proprio al Convegno di Udine ha ampliato e completato l’intervento qui riferito, mostra come grazie ad uno studio attento di un caso di novellizzazione (il romanzo Za la mort di Emilio Ghione per il film dello stesso autore L’incubo di Za la Vie) sia stato possibile mettersi sulle tracce di un film che si credeva perduto, sepolto fra i labirinti e le oscure trame degli archivi cinematografici italiani.

Il tema della novellizzazione, così centrato a misura del problema del rapporto negoziale fra spettatore e forme di produzione spettacolare, ha legami diretti con i modelli di produzione propri dell’industria culturale. A tal proposito incontriamo alcuni interventi volti ad analizzare i risultati in mezzi che dell’industria culturale sono l’emblema, e che durante la fine del Novecento vanno sostituendosi al cinema per forza di diffusione popolare: fumetto (Matteo Stefanelli), radio (Paola Valentini), televisione (Stefania Carini e Massimo Scaglioni).

Per concludere questa recensione non potendo dar conto di tutti gli interventi, vale la pena segnalare per la sezione Figure l’articolo di Matilde Tortora, interessata ai modi di appropriazione popolare delle immagini cinematografiche attraverso le cartoline illustrate. Anche stavolta, ma è ormai cifra stilistica di riconoscibilità scelta da «Bianco e nero», l’impaginazione segue i gusti e le inclinazioni artistiche di Stefano Ricci, curatore del progetto grafico. Iniziamo ad abituarci, ma continuiamo a non comprenderne il gusto.








Riccardo Castellacci


Copertina

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