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Bianco e nero
rivista quadrimestrale del centro sperimentale di cinematografia

Anno LXIV, n. 1-3 (fascicolo n. 547), inverno 2003, euro 48,00
Il numero 1-3 (fascicolo 547), numero triplo, recupera l’annata 2003 e dà avvio ad una nuova serie di Bianco e Nero, rivista sostenuta e finanziata dal Centro Sperimentale di Cinematografia, articolato al proprio interno in Scuola Nazionale di Cinema e Cineteca Nazionale.

La nuova serie di Bianco e Nero si prospetta parte del più ampio programma del Centro Sperimentale di Cinematografia, teso alla valorizzazione e promozione del patrimonio culturale cinematografico. Il direttore del comitato scientifico, Leonardo Quaresima, espone in questo numero gli obiettivi e gli scopi fondamentali prefissi dalla rivista. La sua introduzione appare quasi un manifesto, l’affermazione di un’impostazione metodologica che delinea un progetto di rinnovamento degli studi sul cinema fondato su un inedito approccio alle fonti. Caratteristica fondamentale intorno alla quale ruota la nuova serie di Bianco e Nero è l’importanza attribuita ai documenti, visti e interrogati secondo mutate prospettive d’indagine. Il comitato scientifico di Bianco e Nero afferma, in linea di principio, di avvalersi di una teoria ampliata del concetto di fonte, in cui anche i reperti non filmici assumono pari dignità degli altri: in tal modo i documenti scritti e iconografici perdono il ruolo di fattori secondari, ed entrano a pieno diritto nella schiera degli strumenti necessari al fine della costruzione di una storia del cinema come parte di una storia più ampia.

Tale indicazione d’intenti si riflette in modo preciso nella sezione che apre la rivista, denominata La prima stanza, in questo numero affidata alla cura di Silvio Celli. La sezione, strutturata in vari interventi, mostra nuove possibilità di ricerca sul cinema del ventennio fascista e dell’Istituto Luce in particolare, rese possibili attraverso il ritrovamento di preziosi reperti individuati nel fondo archivistico di Giacomo Paolucci di Calboli (presidente dell’Istituto dal 1933 al 1940) e conservati presso l’Archivio di Stato di Forlì. I saggi possono essere ricondotti a due generici orientamenti: uno incentrato sull’analisi delle relazioni fra Istituto Luce e i vertici politici del fascismo e l’altro rivolto alla storia interna dell’Istituto. Ne emerge un quadro di complessi contrasti tra uomini politici e intellettuali, interessati più che a promuovere seri progetti culturali a inseguire le proprie ambizioni personali. Fra i documenti ritrovati nel fondo del Paolucci merita qui di essere segnalata la lettera di Luigi Freddi (responsabile della Direzione generale per la Cinematografia), datata novembre 1934 e inviata all'allora presidente del Luce (il Paolucci appunto), nella quale si trova l’ordine di produrre un breve filmato che celebrasse le imprese sportive di Mussolini, secondo le indicazioni dello stesso capo di governo. Su questo ritrovamento si articola la riflessione di Sorlin, che ci svela un Mussolini intento alla costruzione del proprio mito.

Alla prima sezione, la più ampia, ne seguono altre sette, alcune delle quali dedicate a far conoscere l’attività della Scuola Nazionale di Cinema.

Lascia piuttosto perplessi, quando non proprio basiti, il trattamento del materiale iconografico presente nella rivista. L’importanza attribuita al rispetto dei documenti, alla capacità dei testi "di parlare direttamente, senza l’ausilio di mediazioni" (Quaresima), sembra non coinvolgere affatto l’apparato iconografico, il quale risulta fortemente manipolato attraverso interventi grafici dell’artista Stefano Ricci, cui è affidata la veste grafica di Bianco e Nero. Significativo, a proposito, risulta il saggio di Lucia Cardone L’immagine misconosciuta. Manifesti, locandine e fotobuste del melodramma popolare italiano degli anni Cinquanta. Il materiale iconografico che accompagna l’articolo, vero soggetto della ricerca, risulta alterato da viraggi, tagli e riquadri bianchi. Stesso trattamento è riservato a tutto il materiale iconografico presente, riproduzioni d’atti d’archivio compresi; materiale che dovrebbe completare e arricchire la ricostruzione storica affidata alle parole e non divenire, come in parte accade, suggestivo corredo ornamentale.

 

Riccardo Castellacci


Copertina

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