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Italo Moscati

Vittorio De Sica. Vitalità, passione e talento in un’Italia dolceamara


Rai Eri-Ediesse, 2004, pp. 194, euro 12,00
ISBN 88-230-1010-1
Fu uno dei più talentuosi uomini di spettacolo del Novecento italiano, Vittorio De Sica (1901-1974): attore, cantante, autore di cinema, sceneggiatore, ebbe la fortuna di attraversare un periodo che se non fu proprio d’oro per la società italiana, lo fu però per il nostro spettacolo, giusto a metà strada fra la grande tradizione degli attori ottocenteschi e il rinnovamento della regia (teatrale e cinematografica) del secondo Novecento. De Sica ebbe anche la fortuna – e l’istinto – di soffermarsi nella geografia più fertile del nostro secolo, tra Napoli e Roma, laddove i due mondi appena evocati seppero meglio fondersi e ibridarsi, come dimostrarono, nel corso della seconda metà del secolo scorso, le opere di Visconti, Rossellini e Eduardo, oppure Carmelo Bene, De Simone e Leo De Berardinis.

Inseparabile fu la sua opera dalla sua vita, tanto negli esordi teatrali che lo videro entrare in contatto con la tradizione "all’antica italiana" (di cui furono testimoni Sergio Tofano e la moglie stessa di De Sica, Giuditta Rissone, esponente di una solida famiglia d’arte) quanto nella complicità stabilita con la generazione dei nuovi narratori del cinema neorealista, capeggiati dal fecondo Cesare Zavattini.

L’intreccio vita-professione è ben delineato in questo libro che Italo Moscati ha desunto da una fortunata trasmissione televisiva. Il suo racconto non segue l’andamento cronologico della vita dell’attore-regista, anzi lo tradisce per lungo tratto, privilegiando un procedere tematico che va a pescare negli anni giovanili e in quelli maturi le costanti e le ossessioni (gli amori, il familismo, la passione per il gioco, la bulimia creativa) senza stabilire nessi di causa-effetto. In questo modo le diverse sfaccettature di una personalità eccezionale vengono esposte e rappresentate ma – fortunatamente – non spiegate. Questa struttura disarticolata, basata su anacronismi e accostamenti impertinenti, che alla fine lascia al lettore la possibilità di sospendere qualunque giudizio storico, è omogenea alla contraddittorietà di un’esistenza che fu nello stesso tempo responsabile e irresponsabile, moralistica e libertina. E dunque, sul piano artistico, irregolare e solida, profonda e disordinata, carica di immaginazione e facile al dilettantismo. Gran parte delle doti di De Sica derivarono dalle sue inesauribili capacità mimetiche, quelle stesse che lo spinsero a vivere voracemente i suoi giorni. Una passione che divenne un limite quando l’eclettismo si trasformò in "qualunquismo" artistico: centinaia di film girati (preziosa fonte d’informazione per noi posteri) in condizioni spesso casuali.

Moscati, nel raccontare molti sparsi episodi e aneddoti (ma quanta verità si nasconde in questi apparentemente superficiali detriti della storia dello spettacolo!), non solo forma – a mosaico – un ritratto moderno dell’attore-autore, ma lascia trasparire (suo malgrado?) una vena di malinconica nostalgia per un modo di fare arte che ha avuto poca fortuna nel trascorso Novecento. L’artista incarnato da De Sica non è un intellettuale (organico o disorganico) chiamato a indicare dall’alto del suo magistero creativo un percorso ai suoi contemporanei spettatori ma un fragile e appassionato innamorato della vita destinato alla sconfitta.

Per questo i tratti più belli di questo libro si trovano nella parte finale: «Eravamo in uno di quei tetri corridoi della Rai che fanno prendere polvere anche a chi ha lo sguardo limpido della "bella giornata" napoletana: sole, azzurro, mare; cose di ieri. Vittorio camminava solo e incerto. Mi avvicinai per salutarlo. I suoi occhi erano pallidi, un poco spenti. I giorni del suo calendario si stavano accorciando. Non gli chiesi come si sentisse e non trovavo però l'approccio giusto per dire qualcosa. Capì. Con una punta di ironia malinconica parlò e mi costrinse ad inghiottire quel che stavo per dirgli, una qualsiasi banalità. "Ricorda, ragazzo, che il tempo ruba le nostre ore", sussurrò. […] Vittorio aveva recitato la sua grande commedia e aveva rubato il tempo al tempo, sottraendogli ore e ore di pellicola e di scena per raccontare gli errori paradossali e inevitabili della commedia dell’esistenza».

(s.f.)


Vittorio De Sica

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