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Tell me why

di Vincenzo Borghetti
  Guillaume Tell
Data di pubblicazione su web 23/04/2024  

Dal Guillaume Tell della Scala si esce con sensazioni molto contrastanti, tanto esaltati per la parte musicale, quanto avviliti da quella teatrale. Per la prima volta l’opera arriva nel teatro milanese nella versione in quattro atti, in francese, con i balletti e con il reintegro di alcune parti che lo stesso Rossini aveva tagliato prima della prima del 3 agosto 1829 (l’opera risultava troppo lunga persino per gli standard generosi dell’Opéra).

Chiara Muti (regia) ambienta lo spettacolo in una dimensione cronologica incerta dove il passato medievale della vicenda si fonde con l’Ottocento dei movimenti operai e un futuro tecnologico ovviamente distopico. Le scene richiamano una sorta di fosco E.U.R. dove è sempre notte (scene di Alessandro Camera; luci di Vincent Longuemare); in scena il coro usa i tablet (curiosamente solo a mo’ di torce elettriche), ma compaiono anche guerrieri in armatura, mantelli, spade e bandiere. Gli svizzeri vestono abiti lisi in grigio e nero, e sembrano una via di mezzo tra il popolo dei dipinti socialisti di Pellizza da Volpedo (sì, di nuovo!) e i ragazzi della via Pál; gli austriaci vestono invece “da cattivi” con stivaloni e borchie, ma i colori restano gli stessi, e solo Gessler ha il privilegio del rosso acceso (costumi di Ursula Patzak).

Un momento dello spettacolo © Bresca e Amisano - Teatro alla Scala
Un momento dello spettacolo 
© Brescia e Amisano - Teatro alla Scala

Muti imposta la sua lettura ponendo l’accento sulla violenza dei dominatori nei confronti dei dominati: già dall’inizio si vede ogni sorta di vessazioni ai danni di Guillaume e della sua gente, vittime di giochi sadici cui è poi dedicato tutto il lungo divertissement del terzo atto, dove le danze sono un insistito sfogo di crudeltà sui poveri oppressi (coreografie di Silvia Giordano). Il problema è che, nella versione scelta, questo Tell dura oltre cinque ore, ma le idee finiscono tutte più o meno a metà del primo atto; poi la somma di sguardi truci e cattiverie a iosa crea in brevissimo tempo un effetto di saturazione che toglie ogni interesse all’azione in scena. Anche perché l’uniformità cromatica non crea alcuna differenza tra i luoghi, e non permette di distinguere i protagonisti dai comprimari, né, peggio ancora, i buoni dai cattivi. Qualcosa di nuovo sembra accadere nel citato divertissement del terzo atto: qui per Gessler (in rosso) si allestisce un baccanale pasoliniano di sesso e sangue memore di Salò e che porta almeno un po’ di colore. Ma il divertissement è lungo, e l’idea di fondo perde presto di efficacia perché è l’ennesima ripetizione di quanto già visto dal primo atto: senza un dosaggio oculato delle efferatezze compiute dagli austriaci, manca una climax, e la noia prende presto il sopravvento anche qui. Mi chiedo perché la Scala abbia accettato di produrre uno spettacolo simile: nell’esperienza di chi scrive, uno dei peggiori visti in questo teatro.

Un momento dello spettacolo © Bresca e Amisano - Teatro alla Scala
Un momento dello spettacolo 
© Brescia e Amisano - Teatro alla Scala

Per fortuna c’è l’altro spettacolo, quello provvisto della parte musicale. Che è miracolosa, per la qualità della resa, e per la mancanza di qualsivoglia influsso negativo da parte di quanto accade in scena. Michele Mariotti (direzione) nello stato di grazia che lo caratterizza quando dirige – Rossini, e il Tell in particolare – ha condotto i complessi della Scala accarezzando i suoni, plasmando i fraseggi, seguendo i cantanti senza mai perdere d’occhio la visione d’insieme della partitura. L’Ouverture è stata la dichiarazione d’amore verso l’opera, l’inizio di un idillio che è proseguito per quattro atti e oltre cinque ore di musica sublime sotto la sua bacchetta. Al solo di violoncello il pubblico era già rapito e lo ha seguito fino alla fine come sotto l’effetto di un autentico incantesimo; merito anche dell’orchestra e del coro, splendidamente preparato da Alberto Malazzi. Michele Pertusi (Tell) è forse uno dei pochi cantanti ad avere oggi una storia così lunga e significativa col Guillaume Tell. Fu lui il primo interprete dell’edizione completa a Pesaro nel 1994, ed è lui che a trent’anni torna al ruolo con l’esperienza e la maturità accumulate in una carriera ormai ultratrentennale. Il canto è sempre morbido, legato e insieme tutto sulla parola; il testo è declamato con grande chiarezza e fluidità, e sempre attento alle sfumature e ai colori: commovente il suo “Sois immobile”, il punto culminante dell’opera, in cui Pertusi ancora una volta dà prova della sua arte.

Un momento dello spettacolo © Bresca e Amisano - Teatro alla Scala
Un momento dello spettacolo 
© Bresca e Amisano - Teatro alla Scala

Non sono molti i tenori che possano affrontare il ruolo di Arnold con la sicurezza di Dmitry Korchak: in uno dei ruoli più impervi dell’intero repertorio operistico il cantante non arretra di fronte a nessuna delle difficoltà, senza per questo perdersi unicamente dietro agli acuti (e ce ne sono tanti e tutti centrati), ma facendone una chiave interpretativa di un Arnold irruento. Salome Jicia non è forse del tutto a suo agio nei panni di un’eroina romantica come Mathilde. La cantante ha un bel timbro caldo e domina bene tutti i registri, ma è più a suo agio nel canto di agilità (come nell’aria del terzo atto “Pour notre amour plus d’espérance”) che nelle frasi cantabili, tant’è che ne emerge qualche piccolo affanno nella gestione dei fiati, evidente in modo particolare nel duetto con Arnold: qui soprano e tenore cantano le stesse frasi, ma il numero dei respiri, e di conseguenza il fraseggio, risultano diversi.

Molto bene Luca Tittoto (Gessler), ormai un veterano del ruolo, capace di emergere nonostante una regia penalizzante, e insieme a lui Géraldine Chauvet (Hedwige), una presenza di lusso per il personaggio, che in questa versione riacquista la preghiera del quarto atto, tagliata da Rossini già nel 1829. Bene il resto degli interpreti, tra i quali Catherine Trottmann (Jemmy), Nahuel Di Pierro (Walter Fürst), Evgeny Stavinsky (Melchtal) e Dave Monaco (Ruodi) – per quest’ultimo una menzione speciale, dato che a lui spetta aprire l’opera con i temibili couplets di “Accours dans ma nacelle”, affrontati con precisione ed eleganza encomiabili.

Il successo è stato caloroso per tutti. Per Mariotti l’ovazione è iniziata subito dopo l’ouverture; alla fine dell’opera è seguito un autentico trionfo. Alla prima del 20 marzo, le cronache riportano un coro di contestazioni per la regia.




Guillaume Tell
Opéra in quattro atti


cast cast & credits
 
trama trama



Un momento dello spettacolo
© Bresca e Amisano - Teatro alla Scala


 
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