Dal Guillaume Tell della Scala si esce con
sensazioni molto contrastanti, tanto esaltati per la parte musicale, quanto
avviliti da quella teatrale. Per la prima volta lopera arriva nel teatro
milanese nella versione in quattro atti, in francese, con i balletti e con il reintegro
di alcune parti che lo stesso Rossini aveva tagliato prima della prima
del 3 agosto 1829 (lopera risultava troppo lunga persino per gli standard
generosi dellOpéra).
Chiara Muti (regia) ambienta lo spettacolo in una
dimensione cronologica incerta dove il passato medievale della vicenda si fonde
con lOttocento dei movimenti operai e un futuro tecnologico ovviamente
distopico. Le scene richiamano una sorta di fosco E.U.R. dove è sempre notte
(scene di Alessandro Camera; luci di
Vincent Longuemare); in scena il
coro usa i tablet (curiosamente solo a mo di torce elettriche), ma compaiono
anche guerrieri in armatura, mantelli, spade e bandiere. Gli svizzeri vestono
abiti lisi in grigio e nero, e sembrano una via di mezzo tra il popolo dei
dipinti socialisti di Pellizza da Volpedo (sì, di nuovo!) e i ragazzi
della via Pál; gli austriaci vestono invece “da cattivi” con stivaloni e
borchie, ma i colori restano gli stessi, e solo Gessler ha il privilegio del
rosso acceso (costumi di Ursula Patzak).
Un momento dello spettacolo © Brescia e Amisano - Teatro alla Scala
Muti imposta la sua lettura
ponendo laccento sulla violenza dei dominatori nei confronti dei dominati: già
dallinizio si vede ogni sorta di vessazioni ai danni di Guillaume e della sua
gente, vittime di giochi sadici cui è poi dedicato tutto il lungo divertissement del terzo
atto, dove le danze sono un insistito sfogo di crudeltà sui poveri oppressi
(coreografie di Silvia Giordano). Il
problema è che, nella versione scelta, questo Tell dura oltre cinque ore, ma le idee finiscono tutte più o meno a
metà del primo atto; poi la somma di sguardi truci e cattiverie a iosa crea in
brevissimo tempo un effetto di saturazione che toglie ogni interesse allazione
in scena. Anche perché luniformità cromatica non crea alcuna differenza tra i
luoghi, e non permette di distinguere i protagonisti dai comprimari, né, peggio
ancora, i buoni dai cattivi. Qualcosa di nuovo sembra accadere nel citato divertissement del terzo atto: qui per Gessler (in rosso) si allestisce un
baccanale pasoliniano di sesso e sangue memore di Salò e che porta almeno un po di colore. Ma il divertissement è lungo, e lidea di
fondo perde presto di efficacia perché è lennesima ripetizione di quanto già
visto dal primo atto: senza un dosaggio oculato delle efferatezze compiute
dagli austriaci, manca una climax, e
la noia prende presto il sopravvento anche qui. Mi chiedo perché la Scala abbia
accettato di produrre uno spettacolo simile: nellesperienza di chi scrive, uno
dei peggiori visti in questo teatro.
Un momento dello spettacolo © Brescia e Amisano - Teatro alla Scala
Per fortuna cè
laltro spettacolo, quello provvisto della parte musicale. Che è miracolosa,
per la qualità della resa, e per la mancanza di qualsivoglia influsso negativo
da parte di quanto accade in scena. Michele
Mariotti (direzione) nello stato di grazia che lo caratterizza quando
dirige – Rossini, e il Tell in
particolare – ha condotto i complessi della Scala accarezzando i suoni,
plasmando i fraseggi, seguendo i cantanti senza mai perdere docchio la visione
dinsieme della partitura. LOuverture
è stata la dichiarazione damore verso lopera, linizio di un idillio che è
proseguito per quattro atti e oltre cinque ore di musica sublime sotto la sua
bacchetta. Al solo di violoncello il pubblico era già rapito e lo ha seguito
fino alla fine come sotto leffetto di un autentico incantesimo; merito anche
dellorchestra e del coro, splendidamente preparato da Alberto Malazzi. Michele
Pertusi (Tell) è forse uno dei pochi cantanti ad avere oggi una storia così
lunga e significativa col Guillaume Tell.
Fu lui il primo interprete delledizione completa a Pesaro nel 1994, ed è lui
che a trentanni torna al ruolo con lesperienza e la maturità accumulate in
una carriera ormai ultratrentennale. Il canto è sempre morbido, legato e
insieme tutto sulla parola; il testo è declamato con grande chiarezza e
fluidità, e sempre attento alle sfumature e ai colori: commovente il suo “Sois
immobile”, il punto culminante dellopera, in cui Pertusi ancora una volta dà
prova della sua arte.
Un momento dello spettacolo © Bresca e Amisano - Teatro alla Scala
Non sono molti i
tenori che possano affrontare il ruolo di Arnold con la sicurezza di Dmitry Korchak: in uno dei ruoli più
impervi dellintero repertorio operistico il cantante non arretra di fronte a
nessuna delle difficoltà, senza per questo perdersi unicamente dietro agli
acuti (e ce ne sono tanti e tutti centrati), ma facendone una chiave interpretativa
di un Arnold irruento. Salome Jicia
non è forse del tutto a suo agio nei panni di uneroina romantica come
Mathilde. La cantante ha un bel timbro caldo e domina bene tutti i registri, ma
è più a suo agio nel canto di agilità (come nellaria del terzo atto “Pour notre amour plus
despérance”) che nelle frasi cantabili, tantè che ne emerge qualche piccolo
affanno nella gestione dei fiati, evidente in modo particolare nel duetto con
Arnold: qui soprano e tenore cantano le stesse frasi, ma il numero dei respiri,
e di conseguenza il fraseggio, risultano diversi.
Molto bene Luca
Tittoto (Gessler), ormai un veterano del ruolo, capace di emergere
nonostante una regia penalizzante, e insieme a lui Géraldine Chauvet (Hedwige), una presenza di lusso per il
personaggio, che in questa versione riacquista la preghiera del quarto atto,
tagliata da Rossini già nel 1829. Bene il resto degli interpreti, tra i quali Catherine Trottmann (Jemmy), Nahuel Di Pierro (Walter Fürst), Evgeny Stavinsky (Melchtal) e Dave Monaco (Ruodi) – per questultimo
una menzione speciale, dato che a lui spetta aprire lopera con i temibili couplets di “Accours dans ma nacelle”,
affrontati con precisione ed eleganza encomiabili.
Il successo è stato caloroso per tutti. Per Mariotti
lovazione è iniziata subito dopo louverture;
alla fine dellopera è seguito un autentico trionfo. Alla prima del 20 marzo,
le cronache riportano un coro di contestazioni per la regia.
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