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Tra fato ed eroismo, sull’onda del belcanto

di Gianni Poli
  Beatrice di Tenda
Data di pubblicazione su web 26/03/2024  

Di allestimento alquanto raro, l’opera di Bellini è proposta quest’anno dal Teatro Carlo Felice di Genova. Le arti rappresentative sono mobilitate per un effetto d’eleganza stilistica, un recupero di qualità musicali d’alto livello, anche per la coproduzione con il Teatro La Fenice. A ciò s’aggiunge la scelta dell’edizione ripristinata da Franco Piperno sull’originale, collaudata al San Carlo di Napoli nel 2023 (argomentazione di Paolo Petazzi, nel Programma di sala) e mentre è appena scorso l’allestimento parigino all’Opéra Bastille (con regia di Peter Sellars) che ne addita le tematiche potenti – la giustizia e l’aspirazione alla libertà – espresse nella linea musicale “limpida e lirica” della partitura.

Il libretto della “tragedia lirica in due atti” era tratto dall’omonima tragedia storica di Carlo Tedaldi Fores (1825). Il debutto programmato subì un ritardo (per malintesi e contrasti fra compositore e librettista) e la prima segnò un insuccesso, ben superato in seguito.


Un momento dello spettacolo
© Marcello Orselli

L’argomento nasce da fatti reali del Quattrocento (riguardanti le terre di Liguria, Piemonte e Lombardia) rielaborati in una vicenda che serba ambiguità, sia storiche sia compositive. Pure i personaggi vivono equivoci, per condizionamenti politici e disparità sociali e sentimentali. Le quattro figure principali tessono relazioni drammatiche comunque esistenzialmente rilevanti. Il giovane Filippo Maria Visconti, sposata la vedova di Facino Cane, la contessa Beatrice Lascari, ne assume la dote cospicua e i privilegi. Ma non la ama, è insofferente al prestigio della sua maturità e frequenta un’amante più giovane, Agnese del Maino. Questa, innamorata di Orombello – il fedele seguace di Facino, ora devoto a Beatrice d’un amore silenzioso – trama per gelosia contro la rivale e ne denuncia l’adulterio. Filippo intenta processo contro i giudicati amanti, condannandoli a morte, in circostanze scaturite da volontà personale prevaricatrice più che da fatalità ineluttabile.

Un pregio riconoscibile è la sintonia fra musica e libretto (non specialmente poetico, offre funzionalità d’efficace comunicazione emotiva) per cui esecuzione in forma di concerto e rappresentazione possono assumere ciascuna valore autonomo. Rassomigliata ad Anna Bolena di Donizetti, rispetto a Norma la composizione fu giudicata inferiore. Le prove recenti (come quelle date al Festival della Valle d’Itria e al Teatro San Carlo) ne mostrano l’originalità anticipatrice per ingredienti e strutture, quali l’intreccio di elaborati, pregevoli trii e quartetti e l’uso del coro; esso non respira soltanto secondo i bisogni di un popolo e ne commenta sventure e speranze, ma è fraterno agli eroi. Alle spalle dei contendenti o a fianco delle vittime, ama, parteggia nella buona o nella ria sorte.


Un momento dello spettacolo
© Marcello Orselli

L’ambientazione è ora rapportata, nei costumi, a fine Ottocento, ma con il recupero di materiali d’epoca. La scenografia, semplice e sobriamente austera, dispone l’uso dello spazio fra uno sfondo murario a settori e tre pedane unite da gradinate. Emanuele Sinisi elabora reperti architettonici in rovina e corrosi dal tempo, segni della decadenza del potere (ricordano scene di Peduzzi per Chéreau), con inserti di rielaborazioni fotografiche del finlandese Ola Kolehmainen. Risaltano quindi i nefasti politici e sociali, come nell’allestimento parigino che, nella cinta muraria d’acciaio, evocava la violenza d’uno stato repressivo. Anche il giardino alluso partecipa d’un estremo isolamento e si fa misura d’un non-luogo suggestivo, da cui provengono le voci di patetiche invocazioni umane.

La regia di Italo Nunziata trova suggestioni in Calvino, nell’idea per cui l’inizio d’ogni «racconto si riferisca a qualcosa che è già accaduto fuori dal libro» e di Saint-Exupéry considera come verità «non è ciò che è dimostrabile, ma ciò che è ineluttabile» (Programma di sala). Dal principio, la sensazione resa claustrofobica dagli spazi, dal gusto “gotico”, è causa di suspense tesa alla catastrofe, che promana soprattutto dal clima oppressivo e conflittuale instaurato dal sovrano. Nel primo atto si hanno rivelazioni e sospetti sul passato, quali il dissidio sul trattamento dei sudditi e l’incomprensione di coppia, aggravanti del dramma. Il secondo si concentra sul processo pretestuoso, macchiato d’ingiustizia e prepotenza palesi e gratuite, che sancirà la tragedia. Accanto a personaggi traversati da contrasti e incertezze, Beatrice sola mostra coerenza e volontà integrali, forza morale incrollabile. Rispetto ai caratteri e alle vocazioni personali, parrebbe prevalere la bella complessità della partitura, del canto in particolare. Così le contraddizioni s’accentuano in Filippo – secondo il libretto, «giovane, dissoluto, simulatore, ambizioso, e mal sofferente dei ricevuti benefizii» – accusatore drastico, pregiudiziale e scrupoloso per rimorso e nella condanna spietato.


Un momento dello spettacolo
© Marcello Orselli

L’interpretazione di Beatrice trova fulgida resa in Angela Meade, sicura e appassionata titolare di ruoli belcantistici esemplari, sostenuti con superba e misurata dinamica di registri ed autorevolezza espressiva. I mezzi canori, sfruttati con abilità e malizia, qui esaltano la “libertà” di tessitura concessa da linee melodiche raffinate; recitativi di scaltra e immediata sincera effusione, volute e legati virtuosistici. Momenti alti variegano la continuità della prestazione, da “Fra queste ombrose piante...”, e “Oh! Mio rossor...” (Sc. IV), fino al crescendo finale, partecipato con pathos sincero, sia inteso quale ascesi cristiana, sia di esemplare condotta civile e morale: come nello scontro con Filippo e i Giudici (Gran scena e Quintetto) e il confronto con Agnese, per il perdono, quasi esteso a un voto di benedizione universale. E l’addio “Ah! Se un’urna è a me concessa...”, accettazione della morte sublimata. Le risponde con rudezza scenica e vocale il baritono Mattia Olivieri (basso, nella designazione originale), un Filippo sentito dal regista polivalente, «al di là della figura violenta ombroso e mutevole, crudele ma umano».


Un momento dello spettacolo
© Marcello Orselli

Mostra varietà di gamma, modulazione sicura e tenuta penetrante e ferma, come nel denunciare il peccato della moglie, mediante lo scritto carpito e le testimonianze non verificate (atto II). Limpido ed energico il soprano Carmela Remigio in Agnese. La bellezza sensuale e volitiva s’affina man mano, dolente di pentimento. Protagonista in apertura con la romanza “Ah Non pensar che pieno...”, e in duetto con Orombello (Francesco Demuro), per “Silenzio. È notte intorno...”. L’amico fedele dell’eroina volge accorati appelli negli acuti (rare e veniali le sbavature timbriche del tenore) e chiude con elegante dolcezza in “Angiol di pace all’anima...” (Sc. X), quando dal giardino la sua voce entra all’unisono con quelle delle due donne. Di composta, precisa presenza, Manuel Pierattelli (tenore), in Anichino, amico di Orombello e Giuliano Petouchoff, in Rizzardo del Maino (basso), fratello di Agnese.


Un momento dello spettacolo
© Marcello Orselli

L’orchestrazione di Riccardo Minasi, tanto attenta all’aggiornamento critico quanto all’istinto, mira a un apporto romantico senza indulgenze (legittimato dalla genetica del lavoro) in un’analisi dei rapporti strumentali, dagli ottimi risultati per l’autonomia degli interpreti e nel dosaggio dei reciproci volumi. La “banda” in scena, prevista nel finale, non compare. La bella fusione dei cori è regolata da Claudio Marino Moretti con sensibile continuità e omogeneità nel rispettare le numerose esigenze di intime variazioni emotive e drammatiche. Incontro molto apprezzabile e gradito, con applausi a scena aperta e nelle chiamate ripetute.




Beatrice di Tenda



cast cast & credits
 
trama trama


Un momento dello spettacolo messo
in scena al Teatro Carlo Felice di Genova
© Marcello Orselli


 
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